CINQUE DITA DI VIOLENZA
CINQUE DITA DI VIOLENZA
GENERE: azione, arti marziali, kung fu
ANNO: 1972
PAESE: Hong Kong
DURATA: 102 minuti
REGIA: Chang-hwa Jeong
CAST: Ping Wang, Lo Lieh, Hsiung Chiao
"Cinque dita di violenza", un film cult del 1972 diretto da Chang-hwa Jeong, ha segnato un'epoca nel genere dei film di arti marziali. Conosciuto anche come "The Invincible Boxer", questa pellicola ha introdotto il pubblico occidentale al mondo affascinante e brutale del kung fu, aprendo la strada a una nuova ondata di cinema orientale. La trama segue le vicende di Chao Chih-Hao, un giovane che si sottopone a un duro allenamento con l'obiettivo di vincere un torneo di arti marziali e conquistare la mano della sua amata. Tuttavia, il suo cammino verso la gloria è disseminato di ostacoli tra i quali la gang del temibile boss Meng Tung-Shun.
“Cinque dita di violenza” narra la storia di Chih-Hao, un giovane allievo di arti marziali. La vicenda inizia quando il suo maestro, l’anziano Sung Wu-yang, sopravvive a un attentato. Riconoscendo i propri limiti dovuti all’età, Wu-yang decide di inviare Chih-Hao a perfezionarsi presso la scuola del rinomato Chen Hsin-Pei.
Chih-Hao accetta riluttante questo compito, spinto dalla promessa di poter sposare Ying Ying, la figlia di Wu-yang, se riuscirà a vincere un importante torneo di lotta. Durante il suo viaggio verso la nuova scuola, il giovane salva Yen Chu Hung da un rapimento, guadagnandosi la sua ammirazione e il suo amore. Il suo cammino è ostacolato dal potente Meng Tung-Shun e suo figlio, che ambiscono anch’essi alla vittoria nel torneo. La rivalità si incarognisce quando Tung-Shun invia Chen Lang ad attaccare la scuola di Hsin-Pei, ferendo il maestro. Chih-Hao si vendica, guadagnandosi così la fiducia di Hsin-Pei.
La situazione precipita quando Tung-Shun chiama tre temibili maestri giapponesi per eliminare il forte rivale. Questi feriscono gravemente il protagonista spaccandogli le mani. Il grave infortunio però non basta per fermarlo e riesce a qualificarsi per il torneo. Il racconto si snoda attraverso una serie di tradimenti, vendette e scontri che coinvolgono tutti i personaggi. Chih-Hao riesce infine a partecipare al torneo e a vincerlo, ma la sua vittoria è macchiata dall’omicidio di Hsin-Pei per mano di Tung-Shun.
La storia raggiunge il suo apice con una catena di vendette che porta alla morte di molti personaggi. Il film si conclude con lo scontro finale tra Chih-Hao e Okada, l’ultimo nemico rimasto, dove il protagonista trionfa utilizzando la leggendaria tecnica del “palmo d’acciaio”.
“Cinque dita di violenza” si è guadagnato un posto di rilievo nella storia del cinema di arti marziali, sebbene con il passare del tempo sia emersa una certa sopravvalutazione di questo kungfu-movie. Nonostante la sua fama, il film non si discosta molto da altri prodotti simili del genere, risultando a tratti banale e decisamente prolisso.
Ciò che mantiene il film a galla è la combinazione di una regia competente e un cast nel complesso efficace, con una menzione speciale per il mitico Lo Lieh. La trama, pur non essendo particolarmente innovativa, si distingue per essere più articolata del solito, conferendo ai personaggi uno spessore sufficiente a rendere le loro azioni e scelte significative per lo sviluppo della storia. Tuttavia, il racconto presenta momenti di stallo che avrebbero potuto beneficiare di un montaggio più serrato.
Il film alterna sequenze di allenamenti, scontri e scene di lotta animati da alcuni momenti di intensa violenza e dalla classica sottotrama sentimentale. È proprio questa brutalità che ha contribuito al suo successo all’epoca dell’uscita. A differenza dei toni più leggeri e ironici di certi film con Bruce Lee, “Cinque dita di violenza” non fa sconti: qui ci si ammazza davvero, e il film non esita a mostrare la slealtà e la mancanza di rispetto per la disciplina da parte di alcune scuole di arti marziali, dove il fine giustifica qualsiasi mezzo.
Alcune scene sono rimaste nell’immaginario collettivo, come la tecnica di divellere gli occhi dalle orbite (poi ripresa da Tarantino) o la superba inquadratura delle mani che si preparano alla tecnica del pugno di ferro. Questi elementi, uniti a una varietà di combattimenti e risvolti interessanti, contribuiscono a mantenere vivo l’interesse dello spettatore.
“Cinque dita di violenza” rimane un’opera significativa nel panorama del cinema di arti marziali, nonostante le sue imperfezioni. La sua notorietà non è del tutto immeritata, grazie a un mix di violenza cruda, una trama più elaborata del solito e momenti visivamente memorabili che lo distinguono da molti suoi contemporanei.