ONIBABA – LE ASSASSINE

ONIBABA - LE ASSASSINE

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GENERE:         drammatico, horror

ANNO:             1964

PAESE:            Giappone

DURATA:         100 minuti

REGIA:            Kaneto Shindo

CAST:              Jitsuko Yoshimura, Kei Satô, Nobuko Otowa

"Onibaba - Le assassine" è un film giapponese del 1964 diretto da Kaneto Shindō. Ispirato a un'antica fiaba buddista, il titolo significa "demone donna" in giapponese. L'opera fonde elementi del folklore con un dramma oscuro, creando un'atmosfera unica nel panorama cinematografico dell'epoca. Un'anziana e sua nuora sopravvivono derubando soldati disertori. L'equilibrio si spezza quando un vicino torna dalla guerra e si innamora della giovane. L'anziana, temendo di perdere la sua complice, usa l'inganno per separarli.

Nel Giappone del periodo Nanboku-chō, in un vasto campo di canne, un’anziana donna e sua nuora sopravvivono in tempi difficili. Un giorno, due soldati disertori attraversano il campo; le donne li attirano in una trappola, li derubano e nascondono i corpi in una fossa.
Il giorno dopo, scambiano gli oggetti rubati con del cibo da un mercante di nome Ushi. Un loro vicino, Hachi, torna dalla guerra e informa le donne che Kishi (figlio dell’anziana e marito della giovane) è morto dopo aver disertato. L’anziana, furiosa, incolpa Hachi e ordina alla nuora di stargli lontano.
Nonostante ciò, Hachi e la giovane donna sviluppano un legame. L’anziana, scoperta la relazione, cerca di interromperla, temendo di perdere l’aiuto della nuora nelle loro attività di sopravvivenza.
Una notte, un samurai smarrito con una maschera Han’nya chiede indicazioni all’anziana. Anche lui finisce vittima delle donne. L’anziana ruba la maschera, che poi usa per spaventare la nuora, cercando di allontanarla da Hachi.
La giovane, spaventata ma determinata, continua a vedere Hachi di nascosto. Durante una notte tempestosa, l’anziana cerca nuovamente di terrorizzarla, ma il suo piano fallisce.
Intanto, Hachi ha un alterco con un altro disertore nella sua capanna, con conseguenze tragiche.
L’anziana scopre di non poter rimuovere la maschera e chiede aiuto alla nuora, rivelando la verità. Nel tentativo di togliere la maschera, la giovane la rompe, rivelando che il volto dell’anziana si è trasformato. Spaventata, la giovane fugge credendo che la suocera sia diventata un demone. L’inseguimento si conclude tragicamente quando l’anziana, nel tentativo di raggiungere la nuora, cade nella fossa, mentre grida disperatamente di essere ancora umana.

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“Onibaba” di Kaneto Shindo è un’autentico cult della cinematografia nipponica e mondiale, un mix perfettamente riuscito di dramma, passione, suggestione fiabesca e horror dalle venature demoniache che raramente trova eguali. Pur essendo un racconto bellico, la guerra non viene mai mostrata direttamente, ma si insinua come un’ombra sinistra, percepibile nei suoi devastanti effetti sulle vite dei protagonisti. È in questa cornice che Shindo riesce a creare un’opera che trascende il tempo e lo spazio, portando lo spettatore in una dimensione quasi onirica, dove la realtà e il simbolismo si fondono in un unico respiro.

L’ambientazione del film è di una potenza visiva straordinaria. Girato interamente in esterni, ad eccezione di alcune rare sequenze in buie e claustrofobiche capanne, “Onibaba” si svolge in un mare di vegetazione che, da un lato, cela gli orrori della guerra che incombe sullo sfondo e, dall’altro, isola simbolicamente la capanna delle due donne protagoniste. Questo ambiente sembra sospeso in un limbo, quasi estraneo a qualsiasi contesto spazio-temporale riconoscibile, conferendo all’intera opera un’atmosfera irreale e inquietante.

Shindo trae ispirazione da un’antica fiaba buddista per costruire una narrazione dove solitudine, paura ed egoismo dominano l’animo umano, incarnati magistralmente dai tre interpreti principali. La recitazione, estremamente espressiva, rispecchia un’umanità ridotta ai suoi istinti più primitivi, dove la sopravvivenza è l’unica legge riconosciuta. La spietatezza delle relazioni umane viene amplificata dall’entrata in scena dell’elemento fantastico, rappresentato dal samurai mascherato, un simbolo che aggiunge un’ulteriore dimensione di magia oscura e di condanna morale.

La messa in scena è caratterizzata da un marcato minimalismo, dove ogni elemento è essenziale e nulla è superfluo. La fotografia, con il suo bianco e nero molto contrastato e potente, e la regia, che ricorre spesso a primi piani intensi, creano un’atmosfera di tensione costante, estrapolando l’essenza più cruda e bestiale dei personaggi. È un cinema dove ciò che non si vede è altrettanto, se non più, potente ed importante di ciò che viene mostrato.

“Onibaba” è, in definitiva, un’allegoria spietata sulla guerra e sul peccato, che riesce a colpire lo spettatore tanto con la sua brutalità quanto con la sua bellezza visiva e narrativa. La maschera del samurai, che si dice abbia ispirato persino William Friedkin per il volto del demone ne “L’esorcista”, è il culmine di questa fusione tra orrore e magia, rendendo il film non solo un’opera d’arte cinematografica, ma anche un indimenticabile racconto morale.