DAHMER- MONSTER: THE JEFFREY DAHMER STORY
DAHMER- MONSTER: THE JEFFREY DAHMER STORY
GENERE: drammatico, horror, crime
ANNO: 2022
PAESE: USA
DURATA: Miniserie (10 episodi)
DA UN’IDEA DI: Ryan Murphy, Ian Brennan
CAST: Süfyan Elmoumi, Evan Peters, Michael Learned, Khetphet Phagnasay, Karen Malina White, Brayden Maniago, Richard Jenkins, Dia Nash, Penelope Ann Miller, David Barrera
Il 21 settembre 2022 debutta la nuova miniserie di casa Netflix, “Dahmer - monster: the Jeffrey Dahmer story”. Ideata dallo sceneggiatore Ian Brennan (“Law and order”, “Glee” e “CSI NY”) dal produttore Ryan Murphy (creatore della fortunata serie antologica “American Horror Story”), la serie indaga a ritroso la vita di Jeffrey Dahmer, uno dei più feroci serial killer della storia degli Stati Uniti d’America cercando di fornire un motivo per ciò che ha fatto, senza giustificare, senza dimenticare che sì, siamo di fronte a Fiction, ma che i fatti narrati sono reali.
“It is now over. This has never been a case of trying to get free. I didn't ever want freedom. Frankly, I wanted death for myself. This was a case to tell the world that I did what I did, but not for reasons of hate. I hated no one. I knew I was sick or evil or both. Now I believe I was sick. The doctors have told me about my sickness, and now I have some peace. I know how much harm I have caused... Thank God there will be no more harm that I can do. I believe that only the Lord Jesus Christ can save me from my sins... I ask for no consideration”
Non mi soffermerò volutamente sulla storia di Jeffrey Dahmer, si trova tutta sul web, sulle piattaforme streaming e su youtube sono disponibili interviste, spezzoni del processo e documentari di ogni tipo. Basti sapere che il Cannibale di Milwaukee fu, insieme a Ted Bundy e John Wayne Gacy, uno dei serial killer più famosi di tutti i tempi, attivo tra il 1978 e il 1991 e responsabile della morte di diciassette giovani uomini.Jeffrey era dedito in particolar modo alla necrofilia e al cannibalismo. Il 22 Luglio 1991, adescò la sua ultima vittima, che però gli riuscì a fuggire e ne permise la cattura.
La serie è costituita da dieci puntate che si vedono praticamente tutte d’un fiato. Sicuramente ben fatta, ma disturbante, permane sempre un senso di disagio. Per quanto mi riguarda, ha saputo dare spunti di riflessione davvero interessanti. La prima cosa che salta subito agli occhi è che Dahmer è rappresentato dal punto di vista delle vittime, cosicché lo spettatore non possa entrare in empatia con lui. Penso sia una scelta registica “giusta”: molte volte è successo di romanticizzare assassini efferati dimenticando le vittime e le famiglie, come ad esempio per Ted Bundy (la stessa produzione Netflix di “Ted Bundy- Fascino criminale” incappò in questo errore).
Qui l’elemento ansiogeno è suscitato da ciò che non viene mostrato. I primi piani del protagonista ci inquietano, mettono a disagio. Gli omicidi non vengono rappresentati. Dahmer è affidato alla straordinaria interpretazione di Evan Peters (che troviamo in più serie di American Horror Story e in X Men, nei panni di Quicksilver), che riesce a farne un ritratto dettagliato. Peters mette in scena le emozioni del killer con straordinaria bravura: la solitudine e la paura dell’ abbandono vengono esplicitamente rappresentate.
La serie sembra avere come scopo quello di cercare una possibile causa per ciò che Dahmer ha commesso. Alla fine, rimane una domanda: se tutto questo si poteva evitare o, quanto meno, interrompere prima. La cosa che ho apprezzato di più è proprio questo tentativo di alzare il velo di ipocrisia affinché ognuno, rispetto a ciò che è successo, si assuma le proprie responsabilità. Da una parte abbiamo il fallimento del compito genitoriale, come quasi sempre accade quando si parla di serial killer. Padre e madre troppo impegnati a litigare tra loro, non vedono (o fingono di non vedere, siamo pur sempre negli anni ‘60) che il piccolo Jeff non è un bambino come tutti gli altri e necessità di aiuto. La madre finisce per abbandonarlo. Il padre, seppur gli rimanga accanto fino alla fine, volta la testa dall’altra, pur di non affrontare la realtà, a partire dall’accettare l’omossessualità del figlio. Dall’altra abbiamo invece il fallimento delle istituzioni sociali che non sono state in grado di svolgere il proprio dovere. E’ sconvolgente pensare che se la polizia avesse dato ascolto e approfondito tutte le testimonianze e le numerose chiamate da parte dei vicini che lamentano un cattivo odore provenire dal suo appartamento, probabilmente si sarebbero risparmiate vite umane.
Ma siamo in un quartiere umile abitato da persone di colore, asiatici e latinos. La polizia non perde troppo tempo. Non ascolta, non approfondisce, non indaga. Siamo agli inizi degli anni ‘90 e nel mondo dilaga ancora la paura dell’ Aids, di cui si sa poco, fa paura e peggiora il pregiudizio sugli omosessuali. La polizia preferisce non averci a che fare e anche loro, come il padre, voltano la testa dall’altra parte.
Agghiacciante la vera chiamata di Glenda Cleveland (in realtà non abita nell’appartamento a fianco, ma in un edificio lì vicino), inserita nei titoli di coda della seconda puntata, che effettua il 27 maggio del 1991 alle 2:25 di notte alla polizia per assicurarsi dello stato di salute del ragazzo restituito a Dahmer.
È legittimo pensare che, a parti inverse, se il ragazzo fosse stato bianco, difficilmente i due agenti lo avrebbero “restituito” ad un uomo di colore. Jeffrey può agire praticamente indisturbato. Non viene dimenticato il collegamento con “L’esorcista III”. A partire dalla locandina. Abbiamo il primo piano di Dahmer rappresentato come fosse impossessato da Pazuzu. Non è un segreto che lui fosse ossessionato dal film “L’esorcista III”, uscito proprio nel 1990. Quanto riportato dal suo avvocato, era totalmente affascinato dall’assassino Gemini, personificazione di Satana stesso. Si dice si fosse convinto di essere lui stesso diventato il diavolo in persona.
Nel corso dei decenni, sono stati tanti i film e le serie tv con protagonisti famosi serial killer, ma questa miniserie ha in più un elemento: il rispetto che la produzione ha mantenuto nei confronti delle vittime e delle rispettive famiglie, che ancora oggi fanno i conti con un passato terrificante.