La prima notte di quiete

GENERE: drammatico
ANNO: 1972
PAESE: Italia
DURATA: 132 minuti
REGIA: Valerio Zurlini
CAST: Giancarlo Giannini, Alain Delon, Lea Massari, Alida Valli, Renato Salvatori
Prodotto dell'incontro-scontro tra le forti personalità di Valerio Zurlini e Alain Delon, La Prima Notte Di Quiete, tornato da poco nelle sale in versione restaurata, rappresenta una vetta delle loro rispettive carriere nonchè uno dei melodrammi più lancinanti della storia del cinema italiano.
Daniele Dominici, professore di filosofia dal passato misterioso, ottiene un posto da supplente in un liceo classico di Rimini; in classe, nonostante la riprovazione del preside, usa modi disinvolti cercando di entrare in sintonia con gli studenti; a colpirlo in particolare è Vanina, ragazza fascinosa ed enigmatica, fidanzata con un componente facoltoso ed ambiguo della compagnia con la quale Daniele trascorre il tempo libero tra partite a carte, bevute e scorribande nei locali notturni; l’insegnante e l’alunna iniziano così una relazione semi-clandestina, ma molte cose spiacevoli delle loro vite sono destinate a tornare a galla trascinando la vicenda verso conseguenze drammatiche.
Quando si parla di coloro che hanno contribuito a fare grande il nostro cinema nel dopoguerra raramente viene citato un autore come Valerio Zurlini; grave dimenticanza, poichè il regista bolognese, prematuramente scomparso nel 1982 all’età di 56 anni, ha lasciato un pugno di lavori pregni di grande finezza psicologica e risonanza emotiva, riuscendo anche a tratteggiare in modo originale significativi spaccati di storia del nostro paese e non solo (Le Ragazze Di San Frediano e Cronaca Familiare, tratti dai romanzi di Vasco Pratolini; Estate Violenta – ambientato nell’Italia in guerra del 1943 -; La Ragazza Con La Valigia – storia di iniziazione sentimentale con una magnifica Claudia Cardinale -; Le Soldatesse – dall’omonimo romanzo di Ugo Pirro sull’occupazione italiana in Grecia -; Seduto Alla Sua Destra – ispirato alla vicenda del leader indipendentista congolese Patrice Lumumba -; l’adattamento de Il Deserto Dei Tartari di Dino Buzzati); anni fa Fuori Orario gli dedicò meritoriamente una puntata monografica intitolata “La quiete inquieta di Valerio Zurlini”, a rimarcare, riagganciandosi al titolo di uno dei suoi film più significativi, del quale mi accingo a parlare, come un tratto distintivo della sua poetica fosse l’attesa, apparentemente placida ma in realtà sottilmente perturbante, che qualcosa accada e deflagri.
La Prima Notte Di Quiete, dunque, frase di Goethe che, come spiega il protagonista Daniele preconizzando il proprio destino e sintetizzando il nocciolo del film, allude alla morte, quando “finalmente si dorme senza sogni”; dopo il riflusso dalla Dolce Vita, infatti, siamo agli albori degli anni di piombo e questo melodramma di culto, crepuscolare ed esistenzialista, intercetta, come in parallelo stava cominciando a fare il cinema di genere (soprattutto poliziottesco e di denuncia), tutta la cupezza e le pulsioni autodistruttive di cui saranno imbevuti; nel giro di una ventina d’anni i “vitelloni” felliniani hanno perso quel sostrato di ingenuo vitalismo che ancora li salvava per votarsi irrimediabilmente ad una tragica parabola nichilista: divenuti personaggi con “tanto passato, poco presente, nessun futuro”, vagano, disillusi e cinici, tra divertimenti fatui e rapporti umani improntati alla superficialità e all’interesse (persino il sesso è un qualcosa di sofferto e torbido, spesso visto solo come mercimonio).

Così i ragazzi sembrano già degli adulti vacui e gli adulti dei relitti alla deriva, in una Rimini invernale uggiosa, malinconica e deserta, la quale, grazie alla magnifica fotografia di Carlo Di Palma e allo struggente tema sonoro di Mario Nascimbene eseguito dalla tromba di Maynard Ferguson e dal sax di Gianni Basso, è essa stessa coprotagonista della pellicola come “luogo dell’anima” (in Rimini, notevole film del 2022, uno dei registi contemporanei più radicali, l’austriaco Ulrich Seidl, ha catturato il medesimo “mood” della città romagnola); l’arte e la letteratura sono l’unico farmaco capace per un attimo di attenuare il malessere interiore, suggerisce Zurlini, facendo latore di questo pensiero il protagonista Daniele, insegnante di filosofia annoiato da tutto ciò che lo circonda e fondamentalmente anticonformista (il suo approccio alla classe può quasi far pensare ad un Attimo Fuggente ante litteram), uomo fuori dallo spazio e dal tempo (è arrivato da chissà dove, gira su una Citroën che pare uscita da un noir degli anni quaranta e legge giornali francesi, elementi che, se ci focalizziamo sull’attore che lo interpreta, fanno pensare ad un’operazione di puro meta-cinema…), che ha scritto un libro di poesie per lenire il dolore di una perdita e non può infine che “incontrare” Vanina, il cui nome chiaramente rimanda ad un celebre racconto di Stendhal; non a caso la visita alla Madonna del Parto di Piero della Francesca è forse il solo momento nel quali i due provano una sensazione di vera comunanza e serenità.
Sequenze stranianti, rese indimenticabili da movimenti di macchina magistrali e dal montaggio chirurgico di Mario Morra, sono altresì quella in cui il gioco di sguardi in discoteca tra Daniele e Vanina sulle note di Domani È Un Altro Giorno di Ornella Vanoni raggiunge vette assolute di lirismo, per non parlare di tutti gli “scambi” conflittuali del professore con la compagna Monica, giocati su un registro patetico, o del suo breve incontro al veleno con la crudele madre della ragazza, un’Alida Valli che, pur nello spazio di un cameo, offre un “graffio” attoriale da brividi, sino al drammatico “redde rationem” tra il gruppo di “amici” nella casa al mare; dobbiamo appunto rendere conto anche di un cast straordinario nel quale spiccano (senza dimenticare nomi di vaglia come Salvo Randone, Adalberto Maria Merli, Renato Salvatori, Nicoletta Rizzi) un giovane e in rampa di lancio Giancarlo Giannini con la sua recitazione frizzante ed istrionica nei panni del medico soprannominato Spider, un’intensa Lea Massari in quelli di Monica, un’ombrosa Sonia Petrova, o Petrovna (Vanina) – parigina ma di origine russa, segnalata al regista dallo stesso Giannini che l’aveva notata a Londra dove era impegnata come ballerina classica -, ma soprattutto Alain Delon, il quale, è bene ricordarlo, non era solo un divo di ineguagliabile bellezza ma anche e soprattutto un grande attore, e qui ne dà prova con un’interpretazione ricca di sfumature e di pathos; sono noti, dopo un’affinità iniziale (tanto che recita per tutto il film col cappotto di cammello ed il maglione regalatigli da Zurlini, in una curiosa comunanza col Marlon Brando di Ultimo Tango A Parigi, film coevo e peraltro con diversi punti di contatto), i suoi pesanti screzi col regista, culminati con la fuga repentina in Francia dopo la fine delle riprese e il rimaneggiamento da lui preteso della versione per il mercato d’oltralpe (decisione della quale avrà modo in seguito di pentirsi).
Sceneggiato con l’amico Enrico Medioli, già autore di La Ragazza Con La Valigia, il film doveva essere parte di una trilogia, mai più girata, sulle vicende di una famiglia nell’Italia coloniale (l’unico frammento rintracciabile di questa idea primigenia è l’attribuzione al protagonista di un padre aristocratico decorato ad El Alamein, discendenza che egli mostra di disprezzare al punto da negarla apertamente: probabile l’allusione, già evidente nell’assonanza col cognome Dominici, alla figura del nobile Paolo Caccia Dominioni, combattente nella prima e nella seconda guerra mondiale, partigiano, architetto e ingegnere di fama internazionale nonchè disegnatore dallo stile talmente peculiare da aver influenzato persino un mostro sacro come Hugo Pratt); Zurlini rimase perciò scontento del risultato finale, imputando il fatto di non aver potuto inserire cose per lui importanti alle pressioni della produzione internazionale e alla necessità di dover compiacere una star come Delon; non sappiamo quale sarebbe stato l’esito se l’autore bolognese avesse potuto godere della totale libertà creativa, tuttavia possiamo affermare, anche alla luce del tempo trascorso, che, a dispetto di queste traversie (o forse proprio grazie ad esse, chissà…), La Prima Notte Di Quiete va considerato a pieno titolo come una pietra miliare della storia del nostro cinema.