IL GRANDE SONNO
GENERE: thriller
ANNO: 1946
PAESE: USA
DURATA: 114 minuti
REGIA: Howard Hawks
CAST: Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Dorothy Malone, John Ridgely, Martha Vickers, Peggy Knudsen
Il grande sonno. Il detective privato Philip Marlowe si reca nell'abitazione dell'anziano generale Sternwood che lo ha contattato perchè scopra chi sta ricattando la figlia adolescente Carmen, ragazza piuttosto lasciva che pare abbia contratto dei debiti di gioco con un certo libraio di nome Geiger; Marlowe nell'occasione fa anche la conoscenza dell'altra figlia del generale, l'affascinante Vivian, con la quale, dopo un'iniziale freddezza, finirà per intrecciare una relazione sentimentale Nel frattempo, però, inizia ad occuparsi di quello che sembra un caso di routine, restando invece suo malgrado coinvolto in una vicenda intricatissima e ricca di sorprese, dove nessuno potrà dirsi del tutto innocente...
Prendete il più grande romanzo del più grande scrittore “hardboiled” di ogni epoca (stiamo parlando, naturalmente, di Raymond Chandler), consegnatelo ad uno dei più grandi romanzieri americani del XX secolo e a due dei migliori sceneggiatori su piazza perchè ne tirino fuori uno script (ci riferiamo a William Faulkner, Leigh Brackett e Jules Furthman), infine rivolgetevi ad uno dei registi di punta dell’età d’oro di Hollywood (l’Howard Hawks di Scarface) perchè trasporti il tutto su pellicola: il risultato è un numero di altissima magia, un film pregno di un fascino senza età ma al contempo ostico e piuttosto inclassificabile.
Se da un lato siamo infatti di fronte ad uno dei lavori archetipici del noir, dall’altro avvertiamo quasi il superamento del genere in una forma che, a tratti, sembra strizzare l’occhio ad un registro più leggero se non addirittura parodistico (non a caso il film attirerà l’attenzione di autori “obliqui” e postmoderni come i fratelli Coen e Paul Thomas Anderson, i quali partiranno da quelle coordinate per proporne una loro versione in “acido” – rispettivamente Il Grande Lebowski e Vizio Di Forma); ecco allora il detective antieroe – duro, solitario ma in fondo romantico e con un suo codice di comportamento al quale non deroga per nessuna ragione – e la “femme fatale” qui investita di una complessità supplementare, con sullo sfondo le classiche atmosfere torbide da “milieu” criminale rese però più criptiche e stranianti da un plot che si potrebbe definire ai limiti del dadaismo data la sua sostanziale incomprensibilità (è rimasto celebre, in questo senso, l’aneddoto secondo il quale a un certo punto Hawks, accortosi che da nessuna parte veniva specificato chi fosse l’assassino dell’autista degli Sternwood, ne chiese conto a Faulkner, il quale ammise candidamente di non saperlo: naturalmente nel film è rimasta questa indeterminatezza…); ma ecco anche, di contro, la caratteristica di film molto “parlato”, con scambi di battute ciniche e fulminanti in grado di lasciare il segno nella memoria collettiva (“Così tante pistole in giro per la città e così pochi cervelli”) e ripetuti momenti da commedia sofisticata, dove la palpabile tensione sessuale tra i due protagonisti è condita di vari ammiccamenti ed allusioni piuttosto esplicite; e qui va aperta una parentesi fondamentale, poiché, nella scelta della coppia Humphrey Bogart–Lauren Bacall, Il Grande Sonno ibrida la vita reale con la fiction (il colpo di fulmine tra le due star era avvenuto solamente un anno prima, nonostante una consistente differenza di età – lui quarantaquattrenne, lei appena diciannovenne – e molte scene vennero aggiunte proprio per sfruttare l’appeal mediatico della loro love story) eternando allo stesso tempo un periodo storico della Mecca del cinema attraverso le parole, i gesti, le movenze, gli sbuffi di fumo di due delle sue icone predilette (e in un ruolo secondario compare anche Dorothy Malone, la quale vincerà un premio Oscar come migliore attrice protagonista nel 1957 per il magnifico melodramma di Douglas Sirk Come Le Foglie Al Vento).
Inutile dire che Bogart – trench e borsalino d’ordinanza, movenze nervose a spezzare un fondo di indolenza, il gesto ossessivo di toccarsi il lobo dell’orecchio – rimarrà l’unico ed inimitabile Philip Marlowe nei secoli dei secoli (successivamente le due migliori versioni del mitico “private eye” saranno quella di Elliot Gould nella splendida rilettura de Il Lungo Addio di Robert Altman del 1973 e quella di Robert Mitchum in Marlowe Il Poliziotto Privato del 1975 – tratto da Addio Mia Amata e diretto da Dick Richards -; va però ricordato che il primo ad interpretarlo sul grande schermo è stato Dick Powell in L’Ombra Del Passato, notevole pellicola di Edward Dmytryk del 1944 anch’essa tratta da Addio Mia Amata; trascurabile risulta invece il vero e proprio remake de Il Grande Sonno, Marlowe Indaga di Michael Winner del 1978, con protagonista ancora una volta Mitchum).
È al contempo superfluo sottolineare la maestria della messa in scena di Hawks – sempre essenziale e al completo servizio dell’atmosfera e dei personaggi – esemplificata alla perfezione dal potente incipit col dialogo tra il generale e il detective dentro una serra di orchidee attraverso il quale veniamo immersi, nello spazio di poche frasi secche dal tono sarcastico e di un pugno di inquadrature, in un mondo marcio e pieno di angeli caduti – la Lolita ante-litteram di Martha Vickers palesatasi poco prima… -, ma che forse non è neppure il caso di prendere troppo sul serio tanto è sfuggente e incontrollabile; e a noi sembra di stare lì insieme a loro ad impregnarci di sudore e di corruzione, prima di venire inghiottiti da questo caos quasi metafisico dove il “grande sonno” della morte può presentarsi di soppiatto ad ogni angolo di strada o nelle stanze di qualche lugubre appartamento (magnifici i chiaroscuri del bianco e nero di Sid Hickox per un film girato principalmente in interni): eppure, in fondo, ci sarà sempre qualcuno per cui varrà la pena di rischiare tutto…
Sì, Il Grande Sonno è un film semplicemente indimenticabile.