ENEMY
ENEMY
GENERE: thriller
ANNO: 2013
PAESE: Canada, Spagna
DURATA: 90 minuti
Regia di:
Cast principale:
Il regista canadese Denis Villeneuve si è ormai affermato da qualche anno a Hollywood dirigendo progetti situati nel campo del thriller/noir (Prisoners e Sicario) e della fantascienza “adulta” (Arrival, il tanto discusso sequel Blade Runner 2049 e ora una nuova versione di Dune).
La sua carriera però è passata anche attraverso alcune pellicole più “personali”, che andrebbero riscoperte e valorizzate per contestualizzare meglio questo talentuoso cineasta: parliamo di film come l’opera seconda Maelstrom, curiosa rappresentazione, in forma ora di dramma ora di commedia, degli incastri del destino; o di Polytechnique, nel quale, sulla scia di Elephant di Gus Van Sant, offriva, in un magnifico bianco e nero, una visione intensa e per nulla retorica della strage compiuta da un venticinquenne nel 1989 all’interno del Politecnico di Montreal; per arrivare sino a Incendies (La Donna Che Canta), potente rielaborazione dell’omonima piece teatrale, ispirata alla vita dell’attivista e scrittrice libanese Souha Fawaz Bechara, che si snodava, con vari salti temporali e le cadenze di una tragedia greca, tra il Canada e il Libano martoriato dalla guerra civile.
Tra questi va sicuramente annoverato anche Enemy, adattamento piuttosto “libero” (ad opera dello sceneggiatore Javier Gullon) del romanzo di Josè Saramago "L'Uomo Duplicato" e frutto della collaborazione, nata sul set di Prisoners, tra Villeneuve e Jack Gyllenhaal.
Il film narra di Adam Bell, un mite professore di storia che un giorno, per caso, scopre l’esistenza di un individuo in tutto e per tutto identico a lui, tale Daniel “Anthony” Saint Claire, che fa l’attore e vive nella sua stessa città; Adam, che sembra nascondere qualche inquietudine di troppo legata principalmente alla sfera affettiva, comincia ad essere ossessionato dall’idea del suo “doppio”, lo cerca e finisce per incontrarlo, innescando così una serie di eventi dai risvolti inaspettati…
Enemy, nella sua apparente semplicità (senza spoilerare troppo, si può già intuire dalla breve sinossi che il suo nucleo portante si regge su un escamotage piuttosto abusato) è in realtà un film denso di temi e di rimandi.
Partendo infatti da un’analisi del totalitarismo inteso come coercizione attraverso la “distrazione” arriva a focalizzarsi sull’inconscio dell’uomo contemporaneo, scisso tra le responsabilità imposte dai canoni sociali e le pulsioni del desiderio che spingono verso la trasgressione di tale ordine: da una parte aspetti come la stabilità lavorativa e la creazione di una famiglia, ossia una “norma” dentro la quale però si può insinuare il tarlo della monotonia e della frustrazione; dall’altra le velleità di una carriera artistica (con l’annesso fascino esercitato dalla celebrità), le avventure extraconiugali e la ricerca del sesso “estremo”, situazioni più stimolanti ma anche più rischiose e potenzialmente degradanti.
Il registro del film diventa pian piano sempre più onirico e visonario grazie al ricorso simbolico ad immagini di aracnidi e delle loro ragnatele, in una duplice metafora che va a rappresentare la sensazione del protagonista di essere chiuso in una trappola e il “peso” che prova nell’affrontare la vita di relazione, con la tipica paura della donna “castrante” (non a caso sfilano, uno dopo l’altro, tutti i vari archetipi femminili: la madre, la moglie, l’amante, la prostituta).
Ma se “il caos è ordine non ancora decifrato” esiste la possibilità che lo yin e lo yang, la nostra parte oscura e quella luminosa, alla fine riescano a coesistere e a smettere di produrre disagio e conflitti, certo a prezzo di fatica, di compromessi, magari di “strappi” decisi; c’è anche il rischio, però, di ricadere ciclicamente negli stessi errori (“La storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa” spiega Adam ai suoi studenti citando Marx) poiché spesso il nostro peggior nemico siamo proprio noi stessi, e Denis Villeneuve si fa carico di dimostrarlo con un finale geniale e folgorante, tra i più sorprendenti e memorabili visti negli ultimi anni.
Reso ancor più claustrofobico e cupo da una fotografia particolare, tutta modulata su toni ocra e seppiato, Enemy si avvale di una regia quadrata ed elegante e della solida interpretazione del già citato Jake Gyllenhaal, che dà corpo e sostanza ai vari stati d’animo di Adam/Anthony, ben supportato da Sarah Gadon e da Melanie Laurent.
Va ricordato anche un cameo di Isabella Rossellini, la quale con poche battute, fornisce una chiave di lettura di un film che altrimenti (ed è un suo innegabile pregio) punta quasi tutto sull’atmosfera, riducendo al minimo i dialoghi (e anche quei pochi sono abbastanza criptici).
Debitore principalmente del cinema del connazionale David Cronenberg (in un filo rosso che si dipana da Inseparabili passando per Crash sino ad arrivare a Spider) ma anche del David Lynch di Strade Perdute e in qualche misura del David Fincher di Fight Club, Denis Villeneuve propone però con Enemy una variazione sul tema piuttosto singolare, un gioiellino passato quasi inosservato ma decisamente imperdibile soprattutto per gli amanti del thriller/horror psicologico d’autore (lo sconsigliamo solo agli aracnofobici…).