KICHIKU – IL BANCHETTO DELLE BESTIE
GENERE: Horror estremo, vm 18, splatter
ANNO: 1997
PAESE: Giappone
DURATA: 100 min
REGIA: Kumakiri Kazuyoshi
CAST: Bokuda Shigeru, Mikami Sumiko, Sawada Shunsuke, Sugihara Toshiyuki
Kichiku Dai Enkai non è un film per stomaci deboli. Un vero e proprio "must have" per gli amanti dell'estremo disturbante, quest'opera del 1997 firmata da Kazuyoshi Kumakiri trascende l'etichetta di "splatter" per diventare un'agghiacciante e viscerale esplorazione del malessere giovanile nella società giapponese.
Kumakiri, allora ventitreenne studente dell’Accademia dell’Arte di Osaka, canalizza la propria frustrazione esistenziale in un’opera che attinge a ricordi d’infanzia – le immagini di violenza viste in TV, in particolare l’incidente di Asama Sansō del 1972 – per costruire una narrazione cruda e disturbante. L’influenza del cinema rivoluzionario giapponese degli anni ’70, in particolare quello di Koji Wakamatsu, è palpabile nell’uso del sesso come strumento di potere e sottomissione, fulcro attorno al quale ruota la spirale di violenza che ne scaturisce.
La narrazione, ambientata nel Giappone degli anni ’70, si sviluppa in un crescendo di tensione e brutalità. Al centro della storia c’è un gruppo di militanti estremisti di sinistra, la cui dinamica interna implode dopo l’arresto e il successivo suicidio in carcere del leader Aizawa. La sua ex fidanzata Masami (interpretata magistralmente da Sumiko Mikami) prende il comando, ma la sua instabilità e l’abuso del sesso come strumento di controllo e di manipolazione creano tensioni crescenti. La scoperta di un traditore interno alla banda è l’elemento destabilizzante che attiva una reazione a catena di paranoia, sfiducia e violenza che culmina in un’esplosione di sangue e degrado inimmaginabile.
Il racconto diventa metafora di una società claustrofobica dove ogni personaggio incarna diverse sfaccettature della società nipponica contemporanea. Masami rappresenta il potere corrotto e la manipolazione psicologica, il gruppo di militanti riflette la disgregazione dei valori collettivi e il traditore rappresenta l’incarnazione del conflitto tra lealtà personale e ideologia. Particolarmente emblematica è la figura dell’outsider silenzioso, moderno samurai che mantiene la propria integrità nel vortice della degradazione collettiva. La sua presenza evidenzia un quesito centrale del film: quanto siamo disposti a sacrificare della nostra individualità per appartenere ad un gruppo?
Kichiko trascende la sua apparente natura di exploitation movie per esplorare tematiche profonde quali la disintegrazione dell’identità all’interno del gruppo, il rapporto indissolubile tra ideologia e violenza (i notiziari ci ricordano ogni giorno quanto l’ideologia sfoci prima o poi in brutalità e prevaricazione), la sessualità come strumento di potere e controllo, l’alienazione giovanile nella società giapponese contemporanea e l’eterno conflitto tra tradizione e modernità.
Girato in 16mm con un budget estremamente limitato, il film trasforma i propri vincoli produttivi in elementi distintivi. La grana grossa della pellicola, le inquadrature instabili e la fotografia raw conferiscono al film un’immediatezza documentaristica che amplifica l’impatto delle scene più estreme. L’approccio visivo di Kumakiri, che alterna momenti di quiete apparente a esplosioni di violenza brutale, crea un ritmo narrativo ipnotico e destabilizzante.
Presentato al Festival di Berlino nel 2008, l’opera ha diviso profondamente la critica. Se alcuni lo hanno liquidato come mero esercizio di violenza gratuita, altri ne hanno riconosciuto la potenza espressiva e la profondità tematica. Nel circuito underground, Kichiku Dai Enkai ha acquisito lo status di cult movie, influenzando una nuova generazione di filmmaker estremi.
Kumakiri ha quindi il grande merito di aver ridisegnato i confini del cinema estremo, dimostrando come sia possibile utilizzare la violenza esplicita non come fine ma come mezzo espressivo per esplorare le contraddizioni della società contemporanea.
Kichiku Dai Enkai è un pugno nello stomaco, un’esperienza cinematografica che lascia il segno. Un’opera da recuperare assolutamente, ma con la consapevolezza di affrontare un viaggio disturbante e profondamente inquietante. Un’immersione nel lato oscuro dell’animo umano, dove la violenza diventa l’unica forma di espressione.