Un cortometraggio che unisce l’inquietudine dell’horror alla denuncia sociale. Michele Pastrello ci porta in una casa isolata, tra psicofonia, entità malevole e il riflesso spietato di un mondo lavorativo disumanizzante. Un’esperienza intensa che va oltre il terrore, scavando nelle paure più profonde della nostra società.
Già autore negli anni di diversi corti interessanti, tra i quali vanno certamente ricordati ‘Inmusclâ’ ed ‘Ultracorpo’, Michele Pastrello il primo Maggio ha rilasciato gratuitamente on demand, sulla piattaforma Reveel, la sua ultima fatica, ‘1485KHz – Se otto ore’. La data di pubblicazione dell’opera non è stata certamente scelta a caso, visto che il cortometraggio racconta di una giovane donna, interpretata da Lorena Trevisan, costretta ad accettare un impiego che si rivela essere un incubo, e mischia atmosfere horrorifiche a problematiche politico-sociali, cosa non nuova in Pastrello, si veda in tal senso l’interessante ‘InHumane Resources’, prodotto ormai una decina di anni fa.
Girato, come il recente ‘Inmusclâ’, in Friuli, più precisamente tra Bosplans e Chievolis, il cortometraggio vede il regista abbandonare le più consuete atmosfere venete delle sue origini (ricordiamo che Pastrello è trevigiano), avvicinandosi alle ambientazioni del cinema di Lorenzo Bianchini. Non casuale, in tal senso, va giudicata la presenza come voce narrante di Marco Marchese, tra i protagonisti di ‘Oltre il guado’ dello stesso Bianchini.

Nella terrificante casa isolata in cui la protagonista viene inviata col ricatto del licenziamento dal datore di lavoro-padrone in sostituzione di una collega moldava che non ha più dato notizie di sé, la donna trova molti segni inquietanti, a partire da un libro in tedesco che rimanda agli studi di Friedrich Jürgenson sulla psicofonia, nota anche come “Transcomunicazione strumentale”, ovvero la registrazione delle voci provenienti dall’aldilà con strumenti moderni, nel caso specifico registratori audio a nastro e radio. Il timore di perdere il lavoro costringe però la protagonista a sfidare la paura e mettersi di buona lena a sgomberare e pulire la vecchia casa, apparentemente abbandonata da anni, ma in realtà popolata da una strana entità malevola, che non tarderà a manifestarsi.
Il titolo del film rimanda alla frequenza che secondo Jürgenson permetterebbe l’ascolto delle voci dei morti, ma la cornice da ghost story viene usata dal regista in modo strumentale per elaborare un discorso più ampio, che racconta dell’impersonalità e freddezza del rapporto di lavoro, tutto basato sull’egoismo sfrenato da un lato e sulla disperazione dall’altro (molto efficace il riferimento ricattatorio al licenziamento per ‘strategy aziendale’). Al ‘padrone’ in fin dei conti non interessa nulla della giovane moldava scomparsa, e neppure della sua sostituta, è preoccupato solamente di portare a casa il suo guadagno. Un argomento che travalica il presente focalizzandosi, attraverso alcune vecchie foto visibili nella casa, sulla memoria delle generazioni di classi lavoratrici mandate al macello, aspetto sottolineato anche dalla musica, che reinterpreta i vecchi canti delle mondine.
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È un horror, certo. Ma al di là del genere è anche un modo per parlare di una società sempre più spenta, che ha smesso di chiedersi chi davvero ne dirige il cammino. Dietro la superficie da ghost story c’è il tema della falsa coscienza, da Engels a Lukács: un’illusione collettiva che impedisce alla classe dominata di riconoscere la propria condizione. È anche una riflessione sul precariato e sull’isolamento, sulle dinamiche che spersonalizzano e strumentalizzano.
Michele Patrello | Regista

