I CARE A LOT

I CARE A LOT

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GENERE:         thriler

ANNO:             2020

PAESE:            Gran Bregna

DURATA:         118 minuti

REGIA:             J Blakeson

CAST:              Eiza González, Rosamund Pike, Peter Dinklage, Dianne Wiest, Chris Messina

Marla Grayson è un'avvocatessa rampante e abile ad agire in un contesto “borderline”: sfruttando infatti le normative vigenti e grazie ad alcune complicità, si fa affidare la tutela legale di anziani soli e facoltosi, in modo da poterli rinchiudere in case di riposo compiacenti e poi disporre dei loro averi. Un giorno gli segnalano quella che nel gergo viene chiamata una “ciliegina”, tale Jennifer Peterson, pensionata nubile, senza parenti e piuttosto benestante: sembra un gioco da ragazzi, ma stavolta Marla ha fatto male i suoi conti...

“Quando non siamo più in grado di occuparci di noi stessi lo Stato corre in aiuto. Non possiamo restare a guardare chi arranca”: welfare, socialdemocrazia avanzata, tutela dei più deboli? Ma no, cosa avete capito?! Questo è il “sogno americano”, se non sei seduto su un bel mucchio di bigliettoni vali zero: “welcome to the jungle”, direbbero i Guns N’ Roses dei bei tempi, dove la leonessa Marla è nel suo habitat naturale…

Del resto, di fronte ad un personaggio con tale nome e interpretato da Rosamund Pike (una bionda algida che avrebbe mandato in visibilio il buon zio Hitch…) la mente vola subito al cinema del grande David Fincher, un altro che quella giungla l’ha descritta spesso e volentieri: citofonare Fight Club e Gone Girl, nel caso specifico… Marla Grayson rappresenta una versione 2.0 di Amazing Amy (Blakeson sottolinea questa comunanza inquadrandola – come nel momento in cui il “bietolone” Ben Affleck avrebbe voluto “sbobinarle” il cervello per vedere cosa c’era dentro – di spalle in primo piano per poi assecondare la rotazione del collo che permette di scoprire il suo sguardo freddo ed enigmatico) che non ha più bisogno di “combattere per sapere chi è” poiché ormai ha capito perfettamente l’andazzo: caschetto rifinito al millimetro, abiti e occhiali alla moda (avete presente quel verso di Bandiera Bianca di Battiato che parla di “carisma e sintomatico mistero”? Ecco…), prototipo del lato più deteriore del femminismo contemporaneo – quello che teorizza la trasformazione della donna in una macchina da guerra forgiata nell’acciaio e inavvicinabile (nonchè preferibilmente lesbica, perchè tanto gli uomini servono a nulla…) – , Marla si muove con passo felpato e dispensa quintali di cinismo mascherato da ottime intenzioni; la prima mezz’ora della pellicola illustra, con un tono da commedia nera che attenua solo in parte le implicazioni inquietanti di ciò che viene mostrato, quanto il sistema offra il fianco agli appetiti ingordi di squali come la nostra provetta manipolatrice, legittimando di fatto uno spietato darwinismo sociale (badate bene, non si tratta di un’invenzione di sceneggiatura: nella “più grande democrazia del globo” funziona davvero in questo modo…): assistiamo così ad una grottesca sfilata di medici che si occupano di conti correnti più che di malattie, giudici che si “bevono” qualsiasi diagnosi allarmante senza battere ciglio e non si peritano di allontanare le persone dai propri familiari, “ville arzille” da 2000 dollari alla settimana che possono improvvisamente trasformarsi in lager (a seconda del grado di ribellione dei suddetti familiari e/o degli anziani reclusi); e a tirare le fila, tutrici che sprizzano umanità da tutti gli artigli.. 

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Quando questo meccanismo, in linea di massima perfettamente oliato, a un certo punto si inceppa a causa di una variabile imprevista, e al film si aggiunge una componente thriller, assistiamo alla plastica dimostrazione del fatto che l’economia legale e quella illegale siano sostanzialmente complementari e indistinguibili, con la conseguenza che alcune figure istituzionali non abbiano nulla da invidiare, in quanto a mancanza di scrupoli, ai gangster “ufficiali” (altre stelle polari di questa pellicola sono di sicuro due totem della serialità contemporanea come Breaking Bad e il suo spin-off Better Call Saul): colui che dovrebbe essere il “villain” (l’ottimo Peter Dinklage, che ritroviamo con piacere dopo i fasti del Trono di Spade) finisce infatti per apparire quasi una mammoletta al cospetto di un “colletto bianco” al femminile che se lo cucina a fuoco lento e poi, dopo varie peripezie, lo incastra in modo diabolico, costringendolo ad un armistizio (fruttuoso per entrambi, naturalmente…); ma il veleno, come spesso succede, è tutto nella coda.

Restano da menzionare una Dianne Wiest (la “vittima” Jennifer) alla quale bastano poche alzate di sopracciglia per dimostrare una caratura attoriale non comune e un Macon Blair per il quale abbiamo sempre tifato sin dai tempi di quella “chicca” di Blue Ruin (pellicola della quale prima o poi bisognerà parlare) e che anche in questo caso non ci delude.

J Blakeson, già autore dell’interessante La Scomparsa Di Alice Creed, gira con I Care A Lot un’opera molto godibile, che intrattiene per tutte le due ore della sua durata ed ha anche il pregio di dire qualcosa sull’attualità; certo, i fratelli Coen da uno spunto del genere avrebbero probabilmente tirato fuori il film del decennio, però averne…

Anton Chigurh

Mi chiamo Mattia, alias Anton Chigurh, classe 1975, ho fatto studi classici e sono orgogliosamente spezzino; cosa chiedo ad un film o ad una serie tv? Di farmi riflettere, di inquietarmi, di lasciarmi a bocca aperta, di divertirmi... Per sapere dove trovo tutto questo, leggete le mie recensioni su I Cinenauti!