ULTIMA NOTTE A SOHO
ULTIMA NOTTE A SOHO
GENERE: thriller, drammatico, horror
ANNO: 2021
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 118 minuti
REGIA: Edgar Wright
CAST: Thomasin McKenzie, Anya Taylor-Joy, Matt Smith, Synnove Karlsen, Jessie Mei Li, Diana Rigg, Terence Stamp
Ultima notte a Soho. Eloise “Ellie” è in procinto di trasferirsi a Londra dove è stata ammessa ad un'importante scuola per stilisti; la ragazza, che vive con la nonna in Cornovaglia, è appassionata della moda e della musica degli anni Sessanta ed ha ricorrenti visioni della madre, morta suicida quando lei era ancora in tenera età; l'impatto con la metropoli e con le compagne di college non è dei migliori, così Ellie decide di affittare una stanza a Soho nell'appartamento di un'anziana signora, trovando lavoro part time in un pub per far fronte alle spese.
La prima notte sogna di essere catapultata nel 1965 (al cinema proiettano 007-Thunderball) in un famoso night club del West End: lì sembra sdoppiarsi nei panni di Sandie, ambiziosa soubrettina gettatasi tra le braccia dello spregiudicato manager Jack allo scopo di “sfondare” come cantante. La cosa si ripete nei giorni successivi in forme sempre più realistiche e inquietanti: Ellie – ormai immedesimatasi in questa misteriosa ragazza tanto da copiarle l’acconciatura e i vestiti – “assiste” così al deragliamento della vita di Sandie la quale, lungi dall’ottenere il successo sperato, prima sprofonda nella spirale della prostituzione e infine viene uccisa da Jack con numerose coltellate proprio nel letto ora occupato da lei…
Ellie rimane sconvolta e più che mai decisa a far luce su quella torbida vicenda passata, anche perchè è convinta di aver individuato Jack in un vecchio enigmatico che frequenta il pub dove lavora e che mostra uno strano interesse nei suoi confronti; scoprirà però una verità inaspettata…
Edgar Wright ama il cinema perciò da sempre fa film destinati a chi ama il cinema, e non tradisce la regola nemmeno in questa sua ultima fatica, anzi se possibile la segue in maniera ancor più viscerale; nato infatti, nelle parole del suo autore, come un horror psicologico influenzato da pellicole come Repulsion di Roman Polanski e A Venezia… Un Dicembre Rosso Shocking di Nicolas Roeg, Ultima Notte A Soho si gonfia strada facendo di ulteriori suggestioni e rimandi, andando a comporre una sorta di meta-diario sentimentale nel quale il cineasta di Poole tributa i maestri che lo hanno ispirato ma anche una città, un periodo storico e la loro influenza culturale (senza peraltro tacerne i lati oscuri), in un sofisticato gioco di specchi (metafora visualizzata ossessivamente nel film) tra lo sguardo della macchina da presa, quello dei suoi personaggi e quello del pubblico stesso (fatte le debite proporzioni, l’operazione è accomunabile a quella compiuta da Nicolas Winding Refn con The Neon Demon).
Difficile non partire da Mario Bava quando si parla di thriller/horror e di fantastico: ecco allora certi colori e certi umori che provengono direttamente da un film seminale come Sei Donne Per L’Assassino (l’“atelier della morte” diventa qui un “College of Fashion”, ma la sostanza non
cambia); da lì a transitare verso il Dario Argento di Suspiria, Inferno (Wright ci mette pure un locale col logo preciso del film…) ma anche, in una certa misura, Profondo Rosso – non a caso il film preferito del regista – e Phenomena (sia per certe soluzioni visive e di “decor” che per l’assunto delle percezioni extrasensoriali) è naturalmente un attimo; come è un attimo però scalare la marcia, e trovarsi immersi in qualcosa diviso equamente tra il Woody Allen di Midnight In Paris, lo Stanley Kubrick di Shining (c’è anche, inserito in un cocktail, un divertente omaggio ad Arancia Meccanica…) e il David Lynch di capolavori onirico/esoterici del calibro di Twin Peaks e Mulholland Drive (Sandie come Laura Palmer, Sandie/Eloise come Betty/Diane.
Una “Vertigine” che da Otto Preminger nel 1944, passando per Alfred Hitchcock nel 1958 e transitando per il genio di Missoula alla fine del secolo scorso, giunge sino a noi inalterata); così la regia si fa morbida e sinuosa, ma sempre dinamica e creativa (tutta la lunga sequenza del primo “viaggio nel tempo” al Cafè De Paris è pura magia), lambendo a tratti anche il musical (dove pesca indifferentemente, a livello stilistico, da Scarpette Rosse o da Moulin Rouge) per poi omaggiare il twist di Uma Thurman e John Travolta in Pulp Fiction, fermo restando il costante uso della musica in forma diegetica: come in Baby Driver, infatti, anche qui la colonna sonora (assolutamente strepitosa, soprattutto per chi ama un certo tipo di sound: si va da mostri sacri del rock come The Who, Kinks – da standing ovation il momento, tutto gestito al ralenti, in cui appare per la prima volta Terence Stamp e subito dopo parte la voce di Ray Davies in Starstruck – e The Graham Bond Organisation a dive del pop dell’epoca come Sandie Shaw (Puppet On A String e una (There’s) Always Something There To Remind Me riarrangiata e “distorta”), Dusty Springfield, Petula Clark (Downton, in italiano Ciao Ciao) e Cilla Black, con la versione inglese de Il Mio Mondo di Umberto Bindi e Gino Paoli) la ascoltiamo quasi tutta in cuffia o da un vecchio giradischi insieme alla protagonista…
La “Swinging London” dunque, ma via via sempre più “stonata”, macabra e straniante (a metà tra Peeping Tom e Blow Up…), perchè Ultima Notte A Soho rappresenta in fondo un “coming of age” (declinato in chiave femminile/sta) dove superare il dolore significa letteralmente mettersi nei panni (e perciò nel dolore) di qualcun altro, per capire di non essere soli al mondo, e di conseguenza anche un film sul sentirsi anacronistici e fuori posto a causa di una sensibilità o di un talento fuori dall’ordinario.
Ecco allora prorompere gli incubi di Wes Craven (senza dimenticare quelli di John Carpenter, se è vero che Wright piazza la parte puramente slasher proprio durante la notte di Halloween…), i fantasmi/zombi dal volto cancellato (reminescenza del J-horror alla Kairo di Kiyoshi Kurosawa?) perchè simboli di un terribile “rimosso”, e infine il fuoco catartico di Carrie (assonanza voluta quella con Ellie?) di Brian De Palma, oppure, se preferiamo, quello che seppellisce le Madri della trilogia argentiana, per tornare finalmente a una nuova vita.
Ribadito che la messa in scena di Edgar Wright – al servizio di una sceneggiatura sovraccarica di intuizioni, compresa quella di un ottimo colpo di scena finale – , è da stropicciarsi gli occhi (alla fotografia non a caso troviamo Chung Chung-hoon, sodale di Park Chan-wook sin dai tempi di Old Boy, e scusate se è poco…) e non ha paura di osare continui cambi di registro e persino qualche sconfinamento nel kitsch (ma qui si racconta davvero attraverso le immagini, i movimenti di macchina e il montaggio), resta da menzionare un cast dove due giovani ormai lanciate come Thomasin McKenzie e Anya Taylor-Joy fanno a gara di bravura e alcuni vecchi leoni e leonesse come il già menzionato Terence Stamp (bello vederlo ancora così in forma nonostante l’età), Rita Tushingham e soprattutto Diana Rigg (scomparsa qualche mese dopo la fine delle riprese) ci ricordano come la scuola attoriale inglese non sia seconda a nessun’altra.
Ci vorrebbero più film come Ultima Notte A Soho e più registi come Edgar Wright!