MADRE
GENERE: drammatico
ANNO: 2019
PAESE: Spagna, Francia
DURATA: 129 minuti
REGIA: Rodrigo Sorogoyen
CAST: Marta Nieto, Jules Porier, Alex Brendemühl, Anne Consigny, Frédéric Pierrot
Rodrigo Sorogoyen, uno dei più interessanti esponenti del nuovo cinema spagnolo, gira questa sorta di finto-noir che è in realtà una magnifica riflessione sull'elaborazione di una perdita, sul potere delle illusioni, sulla dicotomia tra l'istintualità e le convenzioni sociali; una sceneggiatura di grande finezza psicologica e una protagonista in stato di grazia rendono questa pellicola una gemma da non perdere.
Siamo a Madrid: Elena, madre separata, riceve una telefonata dal figlio Ivan di sei anni che è in vacanza in Francia sull’oceano Atlantico col padre; il bambino è disorientato, dice che l’uomo si è allontanato per prendere qualcosa sul loro camper lasciandolo da solo su una grande spiaggia deserta e che non lo vede più tornare; Elena prova a calmarlo e contemporaneamente si mette in contatto con la polizia spiegando la situazione, ma non riceve l’aiuto sperato; la cosa assume contorni sempre più inquietanti quando una persona comparsa nei paraggi sembra volerlo avvicinare con intenzioni malevole; il bambino allora scappa e tenta di nascondersi ma a questo punto la linea si interrompe. Dieci anni dopo ritroviamo Elena a gestire un bar nella stessa località balneare teatro di quel terribile avvenimento; un giorno, mentre passeggia sul bagnasciuga, la donna incrocia lo sguardo con quello di un ragazzino molto somigliante a suo figlio; colpita dalla circostanza comincia a seguirlo sino a che Jean – questo il suo nome -, accortosi della cosa, si presenta al locale desideroso di conoscerla; tra i due nasce così un rapporto che avrà risvolti particolari ed inaspettati…
Due donne (due madri, due generazioni…), una stanza, un telefono, una voce lontana: basta poco a Rodrigo Sorogoyen per creare un incipit angosciante e mozzafiato, giocato su quindici minuti (sì, avete letto bene: 15!) di piano sequenza; ma qui non siamo di fronte al regista che espone sguaiatamente il suo magistero (anche se ne avrebbe pienamente il diritto, perchè il talento cristallino è ben evidente sia nel concepire le inquadrature che nella direzione degli attori), tutto è talmente fluido e naturale che nemmeno ci accorgiamo del preziosismo tecnico (che non rimarrà isolato, come vedremo più avanti); l’autore madrileno, infatti, svia, elude, paradossalmente “sottrae” quando sembra che aggiunga – aspetti presenti sia nelle sue opere più ancorate convenzionalmente al “genere” (Che Dio Ci Perdoni, Il Regno e la serie tv Antidisturbios), che nell’ultima notevole fatica As Bestas, il film sicuramente più affine a questo Madre -, insomma è capace di padroneggiare come pochi quell’ambiguità del “non detto” che qui si eleva ad un livello ulteriore, dimostrando uno sguardo originale e ben chiaro già in fase di sceneggiatura.
Madre rappresenta infatti l’espansione di un cortometraggio dello stesso regista, candidato all’Oscar nel 2017, che constava sostanzialmente dell’incipit di cui abbiamo parlato prima; Sorogoyen però, pur avendo su un piatto d’argento il degno prologo per un giallo in piena regola (magari strutturato a flashback rivelatori) sceglie invece, “antonionianamente” potremmo dire, di accantonare la sorte del bambino (pur facendo intuire che sia scomparso e non sia mai più stato ritrovato) e focalizza tutto il film sulla figura di Elena, “spiaggiatasi” in un limbo volontario in conseguenza della scelta, apparentemente insensata e finanche un po’ masochistica, di rifarsi una vita proprio dove ha perduto la cosa più preziosa che aveva; il desiderio utopico di riavere indietro il figlio diviene allora, in fondo, quello di resettare il tempo, e Sorogoyen la “pedina” con la sua macchina da presa per coglierne ogni moto dell’anima, sia quando è da sola sia quando interagisce con gli altri, conferendole così un’aura enigmatica ed estremamente complessa allo stesso tempo, complice la straordinaria performance di Marta Nieto, premiata a Venezia.
C’è un nuovo compagno, che ha più l’aria di un amico affettuoso e premuroso, e poi arriva Jean (il bravissimo Jules Porier), con la sfrontatezza dei suoi sedici anni (e ha palesemente ragione Elena, non è più il bambino che tutti pretendono sia); tra loro si produce una chimica che però sembra più ambigua e incomprensibile a chi la osserva dal di fuori che non ai diretti interessati, perchè non è soltanto banalmente quella tra madre e figlio ma nemmeno, ancor più banalmente, la prurigine di pulsioni incestuose; certo, ci sono le attenzioni, i piccoli gesti, la tensione sessuale latente (Elena in fondo è una quarantenne ancora molto piacente e Jules un adolescente in piena tempesta ormonale), ma il nocciolo è altrove, nel donarsi una sorta di serenità reciproca (quando Elena, in pieno climax, irrompe a casa di Jean scatenando la reazione spropositata della sua famiglia – altro lungo e magistrale piano sequenza -, in fondo vuole solo assicurarsi che il ragazzo stia bene), cosicchè le potenziali e striscianti derive ossessive vadano sempre a placarsi un attimo prima che succeda qualcosa di sconveniente.
Ecco allora che la figura di Jean apre addirittura prospettive “politiche”, in una sorta di Teorema pasoliniano rivisitato: il ragazzo “contesta” la sua famiglia, perfetto esempio di borghesia parigina, “cambiando” madre e scegliendone una meno rigida e castrante per coinvolgerla nella sua spensieratezza, mentre Elena, a sua volta, accoglie quell’“ipotesi” di un Ivan cresciuto quasi come un segno del destino; ma tutto è “diluito” in varie tappe, che inglobano mediazioni esterne e altre commistioni: le feste sulla spiaggia sbronzandosi e ballando i Righeira (!), che quasi ci catapultano in un film alla Sapore Di Mare; la fuga di lei in macchina col fratello maggiore di Jean e i suoi amici dopo una notte in discoteca (sequenza interamente girata senza stacchi con uno smartphone) – anelito di trasgressione del quale poi subito si pente, mentre la tensione sale perchè qualche cattivo pensiero, veicolato dal testosterone, sembra balenare nell’aria… -; l’apparizione dell’ex marito, che sposta per un momento il baricentro sull’oscura vicenda di Ivan e su una verità protetta da un tacito patto omertoso al quale Elena ha stranamente aderito; sino alla resa dei conti che infine tocca tutti i lati di questo costrutto a geometria variabile, una chiusa circolare che ripropone in qualche modo il dramma primigenio ma stavolta per ricomporlo: chi non può comprendere se ne va, con qualcun altro forse, inaspettatamente, si riapriranno nuovi orizzonti.
Madre è cinema libero e audace, un film prezioso e uguale a nessun altro.