“Notti magiche” inseguendo il nuovo millennio

Gli anni novanta si aprono con i Mondiali italiani delle “notti magiche” (slogan ripreso da Paolo Virzì per intitolare un suo lavoro del 2018 che parte da quell’estate inebriante, col sogno della coppa spezzato in semifinale, per illustrare in parallelo l’inizio della decadenza del nostro cinema), ed è
curiosamente il mondo del porno a celebrare l’evento a suo modo: l’allora re dell’hard Riccardo Schicchi produce infatti un film con la regia di Jim Reynolds (pseudonimo di Mario Bianchi) intitolato CICCIOLINA E MOANA “MONDIALI” nel quale un ambiguo personaggio – la cui figura richiama chiaramente quella di Luca Cordero di Montezemolo, organizzatore della manifestazione – ingaggia le due “regine” del sesso per togliere energie agli avversari (in particolare Klinsmann, Maradona e Gullit), in modo da assicurare la vittoria alla nostra Nazionale…
Uscita, grazie ad un’azzeccata mossa di marketing, a ridosso della cerimonia di inaugurazione, la pellicola si caratterizza per un gustoso taglio satirico nei confronti di un “circo” del pallone sempre più inquinato da corruttele, divismo e media conniventi (da ricordare in questo senso il “Prosesso di Biscardi” e l’intervista-fellatio di Cicciolina al treccioluto olandese, che anticipa di un paio di decenni il famoso accostamento di José Mourinho tra giornalismo e prostituzione…) ed è tuttora ricordata come un piccolo cult. 

La “partita del secolo” ITALIA-GERMANIA 4-3, semifinale dei Campionati del Mondo del 1970 disputata allo stadio Azteca di Città del Messico, offre invece lo spunto ad Andrea Barzini per il discreto film omonimo sempre del 1990, classica storia “generazionale” di una rimpatriata tra alcuni amici di liceo e di comune militanza politica, con un cast degno di nota (Ghini, Bentivoglio, Cederna, Brilli); piuttosto affini nella tematica ma di ben altro spessore sono i primi due capitoli della cosiddetta “tetralogia della fuga”, MARRAKECH EXPRESS e MEDITERRANEO (col quale conquisterà l’Oscar per il miglior film straniero), diretti da Gabriele Salvatores tra il 1989 e il 1991; in entrambi il regista inserisce il calcio come uno dei tratti distintivi dell’italianità, che viene fuori anche nelle condizioni più impensabili: memorabili rimangono nel primo la sequenza dello scontro Italia-Marocco sulle note de La Leva Calcistica del ’68 di Francesco De Gregori (poi omaggiata da Aldo Giovanni e Giacomo nella loro opera prima TRE UOMINI E UNA GAMBA del 1997), nel secondo quella in cui Giuseppe Cederna si appresta a tirare un rigore a Diego Abatantuono il quale, talmente concentrato, non si accorge che alle sue spalle sta planando un velivolo…

Le tifoserie organizzate sono state raccontate negli anni principalmente in forma documentaristica (tra i migliori esempi si possono ricordare il lavoro pionieristico di Daniele Segre del 1980 sul gruppo dei “Fighters” della Juventus intitolato RAGAZZI DI STADIO, poi aggiornato nel 2018 con RAGAZZI DI STADIO 40 ANNI DOPO – incentrato questa volta sui “Drughi” – , ed ESTRANEI ALLA MASSA di Vincenzo Marra del 2001, che segue le vicende di sette ragazzi napoletani appartenenti al gruppo dei “Fedayn”); prima del 1991 mancava però all’appello un’opera di fiction che le ritraesse in modo compiuto: di colmare questa lacuna si incarica Ricky Tognazzi, figlio del grande Ugo, con ULTRÀ, scritto insieme alla moglie Simona Izzo e a Graziano Diana dopo aver raccolto testimonianze di esponenti delle curve. Il film, incentrato su una trasferta in treno alla volta di Torino da parte dell’immaginaria Brigata Veleno, gruppo facente parte della Sud romanista, è notevole sotto diversi punti di vista: colpisce innanzitutto la regia di Tognazzi (che per l’occasione ha come aiuto un giovane Ferzan Ozpetek) – non a caso premiata con l’Orso d’oro al Festival di Berlino – la quale si giova anche di una grande accuratezza nelle scenografie e della bella fotografia di Alessio Gelsini (da rimarcare soprattutto le riprese all’interno del convoglio, che occupano due terzi della durata). Molto interessante e decisamente realistica risulta anche la rappresentazione – sia attraverso la caratterizzazione fisica (dal taglio di capelli all’abbigliamento) che quella psicologica – della particolare mentalità di queste “formazioni”, dove lo spirito cameratesco, la goliardia, l’insofferenza per qualsiasi regola e una sorta di romantico nichilismo si mescolano a formare una miscela difficilmente riscontrabile in altri ambiti; Tognazzi esplora anche le zone buie (la droga, la presenza di individui borderline quando non veri e propri delinquenti, la politicizzazione strisciante, i rapporti “torbidi” con le società, la violenza sempre pronta a deflagrare in un attimo e a causare tragedie, come si vede nello splendido finale) ma sceglie di rimanere equidistante (non manca, ad esempio, di sottolineare l’ambiguità dei media nel trattare il fenomeno – torna qui Michele Plastino in un cameo -) e di descrivere soprattutto il lato umano dei suoi personaggi, aiutato in questo da una serie di giovani attori uno più bravo dell’altro che si calano nella parte in maniera quasi naturale, essendo molti di loro accaniti frequentatori dello stadio: parliamo in special modo di un intenso Claudio Amendola nei panni del leader Principe, bello e dannato, e del suo contraltare Ricky Memphis (Red), senza dimenticare Gianmarco Tognazzi, fratello del regista al suo primo ruolo importante, Alessandro Tiberi, Antonello Morroni e la ragazza “contesa” Giuppy Izzo, sorella di Simona. Alla colonna sonora, invece, non poteva mancare una vera e propria istituzione del “romanismo” come Antonello Venditti. Nota curiosa: in una sequenza appare l’attuale presidente della Sampdoria Massimo Ferrero, produttore esecutivo del film…

ULTRÀ, sebbene sia stato accusato alla sua uscita dalle frange più “calde” del tifo giallorosso di essere poco aderente alla realtà e diffamatorio nei loro confronti (ma bisogna tenere presente l’autoreferenzialità di un mondo che non ama essere rappresentato dall’esterno), rimane la pellicola più riuscita su un “movimento” che allora conosceva il suo periodo di massimo fulgore e che attualmente, fiaccato da strette securitarie e da nuovi modi di fruizione dell’evento sportivo, pur mantenendo un proprio bacino d’utenza ha subito un inevitabile ridimensionamento.

TIFOSI del 1999, tentativo un po’ fuori tempo massimo di Neri Parenti di rivitalizzare il film ad episodi mettendo insieme molti protagonisti storici ormai imbolsiti e poco convinti (i vari Boldi, De Sica, Abatantuono, D’Angelo ecc.) si ricorda invece essenzialmente per un cameo di Diego Armando Maradona nel segmento riguardante il Napoli.

Mediterraneo i cinenauti recensioni film serie tv cinema

A proposito di Napoli e di Maradona, non possiamo fare a meno di citare Paolo Sorrentino, tra i più importanti registi italiani degli ultimi vent’anni; non è un caso, infatti, che, al momento di ricevere l’Oscar per La Grande Bellezza, Sorrentino abbia ringraziato tra gli altri proprio il fuoriclasse argentino, la cui parabola in terra campana si è saldamente intrecciata con gli anni difficili della sua adolescenza; una volta divenuto cineasta ne ha così voluto ripetutamente omaggiare la figura, prima in alcune sequenze di YOUTH del 2015, dove il campione ormai sfatto e sofferente (interpretato da un sosia) si abbandona ai ricordi e poi ritrova per un attimo la magia dei bei tempi quando “doma” a modo suo una pallina da tennis – ritratto quasi profetico dell’amaro destino che si sarebbe compiuto qualche anno più tardi – , poi nel film autobiografico presentato in questi giorni a Venezia e significativamente intitolato È STATA LA MANO DI DIO – alludendo al famoso gol contro l’Inghilterra ai Mondiali messicani del 1986 – .

Questo richiamo alle radici è apparso anche quando Sorrentino ha intrapreso la strada della serialità televisiva: il tifo viscerale per i partenopei (come si evince dalle cover dei suoi telefoni) caratterizza infatti il personaggio del cardinale Angelo Voiello (uno strepitoso Silvio Orlando), machiavellico Segretario di Stato Vaticano presente in THE YOUNG POPE (2016) e THE NEW POPE (2020).

D’altronde già con il suo film d’esordio, L’UOMO IN PIÙ del 2001, – storia parallela di due personaggi omonimi, un cantante di musica leggera caduto in disgrazia per aver fatto sesso con una minorenne e un giocatore di serie A costretto a ritirarsi dopo un grave infortunio – Sorrentino aveva palesato il proprio amore per il gioco; liberamente ispirato alle traversie di Franco Califano (finito in carcere all’apice del successo per una vicenda di droga) e del capitano della Roma degli anni settanta e ottanta Agostino Di Bartolomei (morto suicida anni dopo il termine della carriera) – ma ci sono riferimenti anche ad altri personaggi del mondo del calcio come ad esempio l’allenatore Bruno Pesaola detto “il Petisso” (il personaggio del “Molosso”) e l’altro mister Ezio Glerean, il cui particolare modulo a quattro punte ricalca quello che il protagonista studia per proporsi come innovatore tattico – L’UOMO IN PIÙ pone l’accento, come quasi tutti i film dell’autore napoletano, sulla solitudine dell’individuo di fronte ai fallimenti e allo scorrere del tempo: l’ambito artistico e quello sportivo si prestano particolarmente a questo scopo, essendo caratterizzati da meschinità assortite, gloria effimera e tonfi altrettanto fragorosi, con quel grande vuoto difficile da colmare quando tutto, per un motivo o per un altro, finisce; Toni Servillo e Andrea Renzi, l’uno con la sua sfrontata malinconia, l’altro con quell’ossessione sorda che gli brucia la vita, sono i magnifici Antonio Pisapia che sfiorano soltanto i propri destini sul filo di due colpi di pistola e di uno straordinario monologo, in quello che a tutt’oggi rimane uno dei suoi film più belli e struggenti.

In tempi più recenti troviamo un lavoro prodotto da Paolo Virzì intitolato 4-4-2 IL GIOCO PIÙ BELLO DEL MONDO (2006), composto da quattro episodi diretti da quattro diversi registi che affrontano in chiave agrodolce vari aspetti quali la possibilità di riscatto (non sempre colta) offerta a giovani che vivono in zone disagiate, il “serbatoio” di talenti dell’Africa al quale attingono procuratori senza scrupoli o le solite “combines”; nulla di speciale, ma una novità è rappresentata dal segmento intitolato “La Donna Del Mister” nel quale Claudio Cupellini mette in scena un “triangolo” amoroso tra Rolando Ravello, Francesca Inaudi e Alba Rohrwacher dentro lo spogliatoio di una squadra femminile.

è stata la mano di dio i cinenauti recensioni film serie tv cinema

IL MUNDIAL DIMENTICATO del 2011 è invece un finto documentario, girato dai registi e produttori toscani Lorenzo Garzella e Filippo Macelloni, dedicato a un fantomatico Campionato del Mondo di calcio tenuto in Patagonia nel 1942 e vinto nientemeno che dalla selezione dei Mapuche…
L’operazione è quantomeno curiosa ma anche piuttosto raffinata poiché parte da una base letteraria (il racconto “Il Figlio Di Butch Cassidy” di un amante e cantore del calcio come il grande scrittore argentino Osvaldo Soriano) per ricreare poi con grande accuratezza un percorso tra memoria e leggenda fatto di interviste a presunti testimoni ed addetti ai lavori, fotografie e pseudo filmati d’epoca; stimolante per l’appassionato, il quale può notare alcune chicche che gli autori si sono divertiti a disseminare (ad esempio la semifinale tra l’Italia, formata per l’occasione da esuli antifascisti, e la Germania nazista che finisce 4-3 per i tedeschi dopo i tempi supplementari…) e disorientante per lo spetttatore più a digiuno della materia (molti infatti hanno creduto che si parlasse di fatti realmente accaduti), l’opera, dopo essere stata presentata al festival di Venezia e in numerose altre rassegne in giro per il mondo, ha riscosso consensi per l’originalità dell’idea e la perizia nella sua realizzazione.

Del 2013 è invece L’ARBITRO, scritto e diretto da Paolo Zucca, nel quale la storia della rivalità tra due scalcinate squadrette sarde di terza categoria (l’Atletico Pabarile e il Montecrastu) e quella di un “direttore di gara” internazionale corrotto (ci sono riferimenti sia al famigerato Byron Moreno di Italia-Corea Del Sud dei Mondiali 2002 che alle vicende della cosiddetta Calciopoli) finiscono per convergere in un contesto dove folclore e atavici codici d’onore permeano la vita comunitaria; girato in un bellissimo bianco e nero, a tratti memore della lezione di Ciprì e Maresco, che valorizza i paesaggi spogli dell’entroterra isolano e la plasticità di alcune sequenze, L’ARBITRO alterna momenti comici e grotteschi ad altri decisamente più poetici e risulta, anche grazie ad un cast composito ed efficace (Accorsi, Cucciari, Pannofino, il giovane Jacopo Cullin e il veterano Benito
Urgu) una pellicola piuttosto singolare.

Venendo all’oggi, sempre Stefano Accorsi è protagonista insieme ad Andrea Carpenzano e a Massimo Popolizio de IL CAMPIONE (2019), lungometraggio d’esordio di Leonardo D’Agostini, storia di un insegnante caduto in disgrazia chiamato a rimettere “in riga” un giovane campioncino della Roma che si sta perdendo tra eccessi e bravate; la fotografia dello stile di vita di un “divo” del pallone contemporaneo – preso in un vortice di fama, denaro e relazioni insincere impossibile da gestire a quell’età e con quei limiti culturali – è piuttosto realistica e il film, pur senza affondare del tutto il coltello nella piaga preferendo uno sviluppo edificante, si può ritenere convincente.

Tutt’altro taglio ha GLI UOMINI D’ORO ancora del 2019, heist-movie di Vincenzo Alfieri ispirato ad una famosa rapina miliardaria alle Poste di Torino poi finita nel sangue a causa di una faida interna ai malviventi (vicenda già portata al cinema nel 2000 da Gianluca Tavarelli in un altro bel
film dal titolo Qui Non É Il Paradiso); Alfieri sceglie un’atmosfera insieme “livida” e sottilmente stravagante (tra I Soliti Ignoti e Tarantino), usando il tifo calcistico per scandire e poi far detonare una complessa narrazione divisa in tre capitoli (corrispondenti ai punti di vista dei personaggi principali) e caratterizzata da continui salti temporali (si riparte sempre dalla visone in tv di una “stracittadina” del dicembre 1995 finita 5-0 per la Juventus), che rimanda ad un archetipo insuperato come Rapina A Mano Armata di Stanley Kubrick; assegna persino ai suoi protagonisti – tra i quali spiccano un Fabio De Luigi insolitamente a suo agio nel ruolo di un uomo ombroso, taciturno e sempre al limite del collasso nervoso e “l’ispettore Coliandro” Giampaolo Morelli – i nomi di ex giocatori delle due squadre sabaude (Alvise Zago, Luigi Meroni, Luciano Bodini), inscenando così una sorta di “derby” perpetuo (Juve-Toro – con i meridionali, come da luogo comune ormai consolidato, che tifano bianconero e i torinesi granata – ma anche Nord-Sud) le cui tensioni striscianti sono destinate a recitare un ruolo decisivo nello scioglimento dell’intrigo (meglio non rivelare di più); idea decisamente vincente, supportata da un montaggio serrato e da una scrittura che alla fine fa quadrare beffardamente i conti, tutti elementi che rendono questa pellicola un piccolo gioiello.

Un film che usa invece il meccanismo del “viaggio nel tempo” è NON CI RESTA CHE IL CRIMINE (2019) di Massimiliano Bruno (sceneggiato da Guaglianone e Menotti, già artefici tra gli altri dello strepitoso Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti del 2015, che tra parentesi si concludeva allo stadio Olimpico durante un derby…), titolo che omaggia chiaramente il cult del 1984 Non Ci Resta Che Piangere di Roberto Benigni e Massimo Troisi; qui abbiamo tre amici spiantati, Sebastiano, Moreno e Giuseppe (interpretati rispettivamente da Alessandro Gassman, Marco Giallini e Gianmarco Tognazzi) i quali si “arrangiano” organizzando gite guidate nei luoghi simbolo della Banda della Magliana; improvvisamente si ritrovano catapultati nell’estate del 1982 mentre si stanno giocando i Mondiali e decidono così, sapendo già i risultati delle partite, di scommettere per racimolare un bel gruzzolo; finiscono però per contrarre un debito col boss Renatino De Pedis (Edoardo Leo), circostanza che dà il via ad una serie di peripezie ispirate a fatti realmente accaduti riguardanti la Banda e il contesto malavitoso capitolino dell’epoca… Il lavoro di Bruno, sorta di parodia del noir alla Romanzo Criminale, è decisamente “frizzante” e costituisce il primo episodio di una trilogia proseguita poi con RITORNO AL CRIMINE del 2021 – nel quale vanno segnalati i camei di Antonio Cabrini e Bruno Conti, due dei protagonisti dello storico successo in Spagna della Nazionale – , mentre il capitolo conclusivo è attualmente in fase di realizzazione.

Francesco Carnesecchi nella sua opera prima LA PARTITA (2019), mostra, con un registro a metà tra il “pasoliniano” e la commedia/noir, il sottobosco degradato nel quale è sovente immerso anche il calcio più autentico dei campetti polverosi delle periferie; costruito con una buona progressione drammaturgica (e alcune digressioni quasi surreali) intorno alla finale di un campionato giovanile e interpretato con indubbia efficacia da alcuni ottimi caratteristi (Pannofino, Di Stasio, Colangeli), è un film forse non pienamente “risolto” ma tutto sommato godibile.

Pellicola d’esordio del regista napoletano Francesco Lettieri, ULTRAS (2020) parla della scissione all’interno di un gruppo della curva partenopea (anche se in realtà la città di appartenenza non viene mai nominata) tra la “vecchia guardia” rappresentata dal cinquantenne leader Sandro detto “Il Mohicano” (il bravo Aniello Arena, già protagonista di Reality e poi presente in un piccolo ruolo in Dogman, entrambi di Matteo Garrone) – colpito da una “diffida” e deciso a cambiare vita dopo aver conosciuto Terry (una convincente Antonia Truppo) – e una banda di ragazzi più giovani, col sedicenne Angelo che rimane nel mezzo, indeciso se seguire il suo padre putativo – che lo vorrebbe allontanare dalle insidie di quel mondo – o la frangia più violenta, nell’intento di vendicare il fratello morto anni prima durante uno scontro. Pur girata con indubbia padronanza e offrendo un’ottima ricostruzione ambientale (con l’efficace colonna sonora del misterioso rapper Liberato), l’opera dà però la sensazione di un’occasione perduta, poiché manca di una certa profondità nello sviluppo dei personaggi (sarebbe stato
interessante, ad esempio, mettere meglio a fuoco il discorso del passagio tra generazioni) e punta su soluzioni piuttosto convenzionali, senza considerare il ricorso a quell’estetica “alla Gomorra” ormai decisamente inflazionata in questo tipo di produzioni; scontata anche l’irritazione dei veri ultrà del Napoli, che hanno messo Lettieri nel mirino come i romanisti fecero trent’anni fa con Ricky Tognazzi: corsi e ricorsi storici, verrebbe da dire…

Nel profluvio di fiction e documentari dedicati negli ultimi anni a vari miti del calcio merita di essere citata per la sua freschezza la miniserie televisiva diretta da Luca Ribuoli SPERAVO DE MORÌ PRIMA (2021), excursus in sei puntate – basato sull’autobiografia scritta insieme al giornalista Paolo Condò – sulla vita e le imprese calcistiche di Francesco Totti, incentrato soprattutto sulle ultime due stagioni della sua carriera; la sceneggiatura evita opportunamente gli eccessi agiografici sempre dietro l’angolo in queste operazioni (riservandosi soltanto un finale giustamente celebrativo e per certi versi commovente che non è il caso di spoilerare), preferendo sposare una linea (auto)ironica che sovente deborda nel grottesco vero e proprio, con gustosi siparietti e personaggi volutamente sopra le righe (su tutti l’“orco” Luciano Spalletti ottimamente interpretato da Gianmarco Tognazzi e l’Antonio Cassano “grillo parlante” di Gabriel Montesi), ma con un assunto di fondo per niente banale – la difficoltà del campione nell’abbandonare le luci della ribalta e la dimensione ludica della sua esistenza mista alla paura del “dopo” – ; grandi meriti vanno resi a Pietro Castellitto (talentuoso figlio di Sergio, già rivelatosi dirigendo un film intrigante come I Predatori), il quale aderisce con sorprendente efficacia alla figura del “Pupone”, restituendone sia l’aspetto scanzonato che quello più intimo e tormentato.

Con la fine del “viaggio” di uno dei più grandi artisti del pallone degli ultimi venticinque anni si chiude anche questo nostro itinerario che speriamo sia gradito ai lettori: l’auspicio ulteriore è che in futuro altri cineasti vogliano cimentarsi nel raccontare il nostro gioco più amato da prospettive ancora inesplorate.

Calcio e dintorni nel cinema italiano

Dal Regime Fascista al Dopoguerra

Calcio e dintorni nel cinema italiano

Il "Boom" e gli "Anni di Piombo"

Calcio e dintorni nel cinema italiano

Cosa resterà degli anni 80?

Calcio e dintorni nel cinema italiano

Notti magiche inseguendo il nuovo millennio