POVERE CREATURE!
POVERE CREATURE!
GENERE: drammatico, commedia
ANNO: 2023
PAESE: USA
DURATA: 141 minuti
REGIA: Yorgos Lanthimos
CAST: Emma Stone, Mark Ruffalo, Willem Dafoe, Ramy Youssef, Christopher Abbott
Nonostante non sia vegetariano, mi piace molto l’insalata, la rucola, in particolare. La mangio ogni sera da un grande piatto fondo, condita con un po’ d’olio e un po’ di parmigiano. La mia coinquilina mi continua a dire che sembra che rumini l’erba, fa il verso della pecora «beee» e ridiamo. L’ho sempre considerato divertente, ma forse adesso devo cambiare idea.
Ci sono film che vanno compresi a partire dalla fine. (Spoiler) L’ultima scena, l’ultima abbagliante scena di Poor Things! è questa: due donne che siedono a studiare in giardino, altre due che giocano a pallavolo. Un uomo a torso nudo, carponi, che bruca l’erba dal terreno e di tanto in tanto bela, soddisfatto. Un altro uomo, all’impiedi, che sembra un maggiordomo, un amante tiepido, uno strumento utile e caldo da utilizzare per la propria formazione o, a seconda dell’orario, per il proprio piacere.
In Poor Things!, Lanthimos descrive senza dubbio la parabola di una storia culturale, la storia della donna, della sua soggiogazione ad opera dell’uomo e della sua emancipazione. È un’intuizione che mi arriva di colpo, verso la fine, come un pugno nello stomaco. Un’intuizione dolorosa perché la storia della donna non può che essere – è questo l’autentico e provocatorio messaggio del film – anche la storia dell’uomo. È la storia del rapporto fra i due sessi che Lanthimos ci vuole raccontare – riprendendo l’omonimo romanzo dell’irlandese Alasdair Gray – un rapporto perennemente asimmetrico e sbilanciato, di cui il regista ci mostra il passato, il presente e (forse) il futuro.
La storia è questa: un chirurgo di chiara fama, dalle fattezze mostruose e oggetto fin da piccolo dei crudeli esperimenti del padre, fa a sua volta un esperimento su una donna incinta recuperata quasi morta nel fiume: le innesta il cervello del feto che ha nella pancia. Le dona una nuova vita e ciò per osservare e registrare l’evoluzione del cervello di un infante nel corpo di una donna adulta. Emma Stone, Bella Baxter, è bellissima: alta e dal corpo bianco e sinuoso, ha l’ingenuità e la goffaggine di una bambina nel corpo sensuale di un’adulta. Il chirurgo e padre adottivo, dal nome God, ha un assistente che subito si innamora di lei, affascinato dalla sua bellezza, ma anche da quel misto di desiderio di protezione e possesso che spesso muove l’amante verso l’amato.
Bella è però una bomba pronta a esplodere, una dinamite pronta a essere detonata e, prima ancora di riconoscere le norme della convivenza sociale, scopre il desiderio sessuale: una mattina luminosa, durante la colazione, sperimentando con un frutto che sembra proprio essere una banana. Non si fa attendere il giudizio della cameriera che, pur donna, soggiogata dalla cultura patriarcale subito etichetta Bella come una ‘puttana’ e il suo desiderio come ‘disdicevole’.
La ragazza, prima imprigionata dal padre adottivo nella casa di famiglia e poi dall’assistente di lui, che decide di prenderla in moglie, riesce a scappare con l’avvocato e avventuriero Duncan, che prima le promette un viaggio di libertà e scoperta ma che poi, di fronte al carattere spregiudicato di Bella, cerca di imprigionarla a sua volta: e allora prima la rapisce per portarla in crociera verso Atene, poi cerca di impedirle di prostituirsi a Parigi.
Nel frattempo, però, Bella scopre il mondo, le diseguaglianze, le ingiustizie di cui il denaro le sembra al tempo stesso la causa e la conseguenza. L’amico ‘cinico’ l’avverte: non è il denaro a creare le ingiustizie, l’ingiustizia è connaturata alla specie umana. Bella non ci crede, è possibile secondo lei migliorarsi e migliorare il mondo che la circonda. Poi però si ricrede quando si scontra con il mondo “reale”, quello in cui lei è costretta a guadagnare prostituendosi. Il sesso non è così bello quando si è costrette a farlo con chi non si vuole.
Ritornando infine da God, prima che lui muoia, Bella deve fare i conti col suo passato. Scopre di non essere nata come Bella Baxter, ma che prima della sua vita come Bella il suo nome era Victoria ed era sposata con un uomo ricchissimo, un militare dalle fattezze nobiliari. Segue quest’uomo per scoprire il proprio passato e scopre perché God l’aveva trovata quasi morta nel fiume: aveva tentato il suicidio perché Alfie, come del resto tutti gli altri uomini, aveva tentato di imprigionarla.
Quando la vuole sottoporre all’infibulazione, per rimuovere l’unica colpa della sua “agitazione”, il desiderio sessuale, e finalmente ridurla a madre dei suoi figli, Bella gli spara. Avendo scoperto la sua vocazione, il desiderio di diventare medico come il padre, Bella è però poi mossa a compassione per quell’uomo morente e decide di portarlo con sé e di operarlo per salvargli la vita. La punizione per aver attentato alla sua libertà è però quella di trapiantare nella scatola cranica di lui il cervello di una capra, livellando le sue funzioni cerebrali alla sua statura morale.
E allora l’ultima scena: il suo ex-marito, Alfie, che bruca l’erba carponi, a torso nudo, nel giardino; l’ex-assistente del padre, suo attuale marito, quasi un maggiordomo a servizio dei suoi desideri, uomo per cui lei non prova nulla, se non un tiepido affetto. E lei e la sua amica-amante, già collega nel bordello parigino, l’unica che lei riconosce del proprio livello intellettuale e morale, a leggere su una sdraio bianca. Il padre, God, il mostro, morto. In faccia aveva ricuciti insieme gli ultimi pezzi dell’uomo, dell’uomo alla fine della sua storia di dominio. In futuro, sembra dire Lanthimos, l’unica scelta che può spettare all’uomo è quella di essere soggiogato, se refrattario – anche Duncan, l’avventuriero, è uno sconfitto dell’opera riformatrice di Bella e passa i suoi ultimi giorni in manicomio, – oppure tollerato, se condiscendente, docile rispetto a tutti i desideri della sua controparte femminile. Poor things!, dunque, sembra dirci Lanthimos, sono state in passato le donne, ma saranno in futuro gli uomini, e sono in generale tutte le creature della razza umana, una specie che non sa vivere se non nella violenza e nella sopraffazione, esercitata da una parte o dall’altra.
Il film è interessante per lo sguardo inedito e provocatorio – cinico, se vogliamo – del regista, che assieme alla storia dell’emancipazione della donna sembra raccontare quella della conseguente soggiogazione dell’uomo. Lo sguardo del regista vuole essere esterno alle cose, come uno sguardo ultra-storico e che si pone al di fuori della nostra specie raccontandone la storia, quasi quello di un voyeur che osserva tutto dall’esterno e senza sentirsene coinvolto: questo è reso filmicamente dalla prospettiva fisheye di alcune scene che assomiglia alla visuale di qualcuno che guarda discretamente da uno spioncino o da una telecamera di sorveglianza.
Il nucleo della storia, il padre che innesta nella donna il cervello di una bambina, è chiaramente la trasfigurazione romanzesca della società patriarcale, che sin dall’inizio della storia umana ha visto nella donna un essere incapace di intendere e di volere, sottoponendola prima alla potestà paterna e poi a quella maritale. Prima a Bella viene impedito di uscire di casa – perché pericoloso – poi viene data in sposa all’assistente – a patto che non esca di casa – e infine viene giudicata e condannata per il proprio desiderio sessuale – perché disdicevole.
La storia di Bella – ‘bella’ proprio perché nella società patriarcale la donna è ridotta al suo aspetto esteriore – è senz’altro, fra le righe, la storia culturale della donna. La donna che, come Bella, nella nostra società si va a poco a poco emancipando proprio riscoprendo il desiderio sessuale – cancellato, in passato, dalla cultura patriarcale – e riscoprendo la possibilità di fare del proprio corpo ciò che vuole – la prostituzione, nel caso di Bella, ma potrebbe valere lo stesso per le piattaforme come Onlyfans. Seguendo il proprio desiderio, prima di scoperta sessuale poi di scoperta intellettuale, la donna rifiuta i rapporti che durano ‘per sempre’ e l’istituto del matrimonio (almeno in quanto rapporto monogamico), ribadendo che ci si sceglie solo per un tempo determinato.
Sembrerebbe una storia a lieto fine, la storia dell’emancipazione della donna e della parità – finalmente conquistata – fra i sessi, se non fosse che lo sguardo indagatore di Lanthimos si spinge oltre. E il risultato della sua analisi diventa agghiacciante. La creazione dell’uomo, che prima era stata di God, continua con un altro creatore: non è più la natura o Dio a creare l’uomo, ma la cultura; a capo di questa rivoluzione culturale non è più l’uomo, ma la donna: la cui vecchia storia muore per dare spazio a una nuova inedita storia.
Nel mondo immaginato da Lanthimos nell’ultima scena non sembra esserci più posto per l’uomo, finalmente soggiogato. Con la morte di God, simbolo al tempo stesso della religione cattolica e della società patriarcale, sembra dire Lanthimos, i pezzi di quello che era l’uomo non possono essere più ricuciti insieme (lo scienziato, padre adottivo di Bella, era anche un eunuco). Ciò che un tempo rese schiava la donna, la sua desiderabilità, fa infine di Bella (e della donna dei nostri tempi) la regina del mondo e la sua sessualità diventa, infine, da fonte di debolezza a strumento di emancipazione. In questo nuovo Frankenstein in cui il moderno Prometeo è una donna, il mondo antico della natura e della religione è pronto ad eclissarsi definitivamente, superato dal mondo della cultura, dalla società matriarcale, fluida e poliamorosa, in cui il vecchio uomo sembra non avere più alcun posto.