Oppenheimer, considerazioni sull’ultima fatica di Nolan

Chi è stato veramente Robert Oppenheimer, il ‘padre della bomba atomica’ lanciata dagli americani ad Hiroshima e Nagasaki sul finire della seconda guerra mondiale? Uno scienziato egocentrico e senza scrupoli, un eroe nazionale americano, oppure un uomo che ha capito troppo tardi le potenzialità distruttive del progetto che stava guidando e, una volta percepito il pericolo ha fatto un passo indietro e si è pentito, a costo di inimicarsi l’elite del suo paese?

Tutte le opzioni sono possibili, Nolan ci offre la sua versione, ispirandosi al libro autobiografico ‘Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica’ di Kai Bird e Martin J. Sherwin, in un biopic che spesso però vira sul thriller, dimostrando un limitato interesse per la storia reale, realizzato dal regista britannico con la consueta abilità tecnica. Non era certamente cosa facile confrontarsi con questa vicenda, questo lo dimostra anche il fatto che Oliver Stone, dopo aver acquisito i diritti del libro di Bird e Sherwin, rinunciò poi ad utilizzarli, Nolan decide di tenersi lontano dalla tragedia umana (che viene raccontata via radio ma non viene mai mostrata) perché più interessato allo sguardo dei protagonisti, scelta giustificabile se non fosse che, dal mio punto di vista, trattare con distacco argomenti di questo genere non è una scelta innovativa né coraggiosa, semmai, al contrario, risulta fastidiosamente cerchiobottista.

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Dopo averlo visto, con un amico e collega cinenauta avevamo pensato di non recensire ‘il film del momento’, sul quale ognuno ha sentito il bisogno di dire la sua nelle ultime settimane, ritenevamo la cosa superflua (cosa che, sia chiaro, non intende sminuire le qualità del film), ma alla fine c’è stato qualcosa in ‘Oppenheimer’ che mi ha convinto a prendere (figurativamente, si intende) la penna in mano e buttar giù due impressioni. Non aspettatevi dunque altro, non entrerò nei dettagli della trama né mi sperticherò in lodi per le capacità tecniche del regista o la bravura degli interpreti (tutte cose vere e scontate, peraltro), faccio una piccola eccezione solamente per la prova monumentale di Robert Downey jr. nel ruolo di Lewis Strauss, il ‘nemico giurato’ di Oppenheimer, tra l’altro maltrattato oltre i suoi demeriti storici per questioni di mera opportunità cinematografica.

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Ho già accennato che questo non è tanto un film sulla bomba atomica quanto sul controverso scienziato che guidava il ‘Progetto Manhattan’ e chi lo circondava, su di lui ed il suo alter ego Strauss in particolare, ma anche su spie vere e presunte, complotti e complottisti, approfittatori, gente assetata di fama e potere e qualche idealista, sempre (o quasi) destinato a fare una brutta fine… ma della bomba, giocoforza, si finisce per parlarne.

Ed allora, in assenza di immagini che ci mostrino la desolazione lasciata dal doppio letale esperimento compiuto dal governo guidato da Truman sulla pelle della popolazione giapponese ignara, salta fastidiosamente all’occhio la pessima abitudine americana (non sarà americano Nolan, ma la produzione, evidentemente, sì) di autoassolversi dai propri peccati. Quindi si toglie qualche persona dalla lista delle vittime (soprattutto quelle indirette) dell’esplosione, si fa riferimento alla consueta storiella sul fatto che così si sono risparmiate più vite di quanto se ne sarebbero perse con un attacco diretto al Giappone ecc.ecc.

Non che il film sia guerrafondaio, perchè è tutt’altro che così, ma alcuni segmenti non possono lasciare un minimo di amaro in bocca per l’impressione di una certa inaccuratezza storica, probabilmente non casuale né dovuta all’incuria (anche se la bandiera americana con 50 stelle invece di 48 com’era all’epoca grida vendetta, in un blockbuster di questo calibro), quanto più per una precisa presa di posizione politica, non su quello che ‘sarebbe potuto accadere’, si badi bene, ma su quello che è stato. Come se apparisse ovvio che, per poter avere una visione futura più consapevole sui pericoli delle armi nucleari, si sarebbe dovuto comunque passare da una tragedia di quella portata, ed infatti Nolan fa dire al suo protagonista una frase paradigmatica sulla bomba, che racchiude tutta l’essenza del film: ’Non la temeranno finchè non la capiranno, e non la capiranno finchè non l’avranno usata’. Questo non toglie nulla ad una pellicola (ed in questo caso possiamo usare la parola a cuor leggero visto che Nolan ostinatamente continua a preferirla al digitale e qui il suo film, girato in 65 mm, trova la giusta collocazione -in 70 mm- unicamente nelle tre sale italiane fornite della strumentazione adeguata), ben girata, ben realizzata e, almeno fino ad un certo punto, ben pensata.

Personalmente però trovo che Nolan si esalti quando si può esibire nelle sue complesse strutture narrative come accadde in ‘Memento’, ‘Inception’, ‘Interstellar’ e persino nello spericolato ‘Tenet’ piuttosto che qui, ingabbiato in una sceneggiatura nella quale riesce ad essere veramente se stesso solamente nelle scene del test nucleare nel deserto. Se si vuole avere un’idea più accurata del periodo storico raccontato nel film dal punto di vista scientifico consiglio quindi di leggere ‘Trent’anni che sconvolsero la fisica’ del fisico ucraino, naturalizzato americano, George Gamow, mentre sulla figura di Oppenheimer è certamente più completa, includendo anche parti introspettive molto interessanti non considerate nel film, la biografia che ha ispirato la pellicola, oppure, ancora, è possibile leggere direttamente alcune opere divulgative dello stesso Oppenheimer come ‘Quando il futuro sarà storia. Otto lezioni dopo Hiroshima’.

Questo film invece andrebbe preso per quello che è, uno splendido racconto che sceglie di non rovinare una bella storia con la verità tragica, sporca ed imperdonabile di quello che accadde in quei 3 giorni dell’Agosto del 1945.