I SAW THE DEVIL
I SAW THE DEVIL
GENERE: thriller, azione, revenge movie, poliziesco
ANNO: 2010
PAESE: Corea del Sud
DURATA: 141 minuti
REGIA: Jee-woon Kim
CAST: Byung-Hun Lee, Choi Min-sik, Jeon Kuk-Hwan, Oh San-Ha, Kim Yun-Seo, Choi Moo-Sung
Park Chan-wook chiama, Kim Jee-won risponde: sadico, brutale, iperrealista, ma in fondo dannatamente divertente, I Saw The Devil è il punto di non ritorno del cinema della vendetta, con un gigantesco Choi Min-sik.
Kyung-chul è un serial killer che rapisce giovani donne per poi ucciderle in modi orribili e smembrarne i corpi; quando la sua furia omicida si abbatte su Ju-yeon, figlia del capitano di polizia in pensione Jang e fidanzata dell’agente federale Soo-hyun, quest’ultimo si mette sulle sue tracce e, dopo averlo individuato, lo tramortisce, gli fa ingoiare una ricetrasmittente in modo da poter controllare i suoi spostamenti e poi lo libera, iniziando con lui una sfida all’ultimo sangue che avrà conseguenze devastanti.
Quando Park Chan-wook, esattamente venti anni fa, presentò a Cannes Old Boy, al quale un estasiato Quentin Tarantino conferì quasi d’imperio il premio speciale della giuria da lui presieduta, si capì che il cinema coreano avrebbe rappresentato la “next big thing” dei lustri a venire; tratto da un manga, Old Boy è un’opera nella quale il suo autore comincia a sciogliere le briglie in un processo di sperimentazione del linguaggio filmico e di estetizzazione (ma mai come nel suo caso possiamo dire che la forma è essa stessa contenuto) tuttora in atto (si veda il mesmerico Decision To Leave, ultimo straordinario parto in ordine di tempo); ed è, soprattutto, parte di una trilogia incentrata sul sentimento della vendetta che comprende anche un film dell’anno precedente e all’epoca meno considerato perchè forse più radicale e “realistico” nella sua premessa teorica e nella sua messa in scena, quell’urticante Mister Vendetta che a posteriori si staglia invece come
indiscutibile pietra miliare, per chiudere infine il cerchio nel 2005 con Lady Vendetta, laddove Park prosegue a battere il sentiero tracciato con Old Boy in un modo, se vogliamo, ancora più libero e sfrenato, poiché rielabora, anche “giocando” a livello cromatico, stilemi pop e noir in un rutilante spartito dove riesce a tenere insieme con una forza inusitata Agatha Christie, il serial killer-movie con le sue derive splatter e un certo gusto “anime”.
Siffatto immaginario non poteva che esercitare una potente influenza presso i propri contemporanei, dando la stura a una vera e propria ondata di cineasti spinti a confrontarsi con un genere del quale erano state rivelate le enormi possibilità espressive sino ad allora quasi per niente esplorate; tra i più talentuosi autori di questa “new wave” troviamo senza dubbio Kim Jee-woon, regista caratterizzato anch’egli da un’approccio virtuosistico alla macchina da presa e capace di un’interessante poliedricità tematica (i suoi film spaziano dall’horror al noir sino a toccare la commedia e addirittura il western – parliamo, tra gli altri, di titoli importanti come The Foul King, Two Sisters, A Bittersweet Life (scoperto omaggio a Le Samourai di Jean-Pierre Melville), Il Buono, Il Matto, Il Cattivo (inutile dire ispirato a chi e a che cosa…) e, più di recente, L’impero Delle Ombre -), il quale, nel 2010, produce I Saw The Devil, una pellicola – scritta da Park Hoon-jung, a sua volta in seguito regista di vaglia, con all’attivo almeno un film notevolissimo come il poliziesco-noir New World del 2013 – che apparentemente segue questa “scia” nutrendosi di addentellati più o meno scoperti al cinema dei maestri del suo paese e a quelli internazionali: l’utilizzo come protagonista di un monumentale Choi Min-sik, anche qui occasionalmente armato di martello, non può che rimandare alla trilogia “parkiana” (con particolare riferimento al film mediano, che lo ha reso icona imperitura), mentre la frenetica sequenza notturna del ritrovamento, alla luce delle fotoelettriche, della testa mozzata della prima vittima, quella del protagonista in un tunnel e, in generale, il senso di inettitudine promanato dalle forze dell’ordine, si rifanno quasi pedissequamente al cinema di Bong Joon-ho (con un altro film fondamentale come Memories Of Murder del 2003 a fungere da “bignami”); ma, allargando l’orizzonte, possiamo scorgere financo echi del thriller alla David Fincher (come in Seven, si scopre che la ragazza trucidata era incinta, anche se probabilmente non del suo fidanzato ufficiale…) e addirittura di un cardine del noir postmoderno quale Velluto Blu di David Lynch (tutto parte da alcuni ragazzi che trovano un orecchio in un campo).
Dicevamo apparentemente, però, poiché il film, pur partendo dal classico monito nietzschiano sulla pericolosità di scrutare nell’abisso e rimarcando così la sostanziale inutilità di qualsivoglia processo ritorsivo – concetto esplicitato attraverso il loop all’interno del quale sembra avvitarsi la progressione narrativa accumulando dosi di crudeltà sempre più parossistiche in un parallelo tra le lacerazioni del corpo e quelle dell’anima (il “gioco” al gatto col topo potrebbe chiaramente durare all’infinito, ma lo sconfitto sarebbe sempre chi cerca la rivalsa attraverso il sangue) – rivela un marcato sottotesto “meta” screziato di humour nerissimo e di venature politicamente scorrette (i dialoghi coi quali i protagonisti demistificano la vendetta quale “roba da film” e si sfidano a colpi di “vediamo chi è più stronzo!”; la rappresentazione di una Corea del Sud dove praticamente ad ogni angolo di strada si incontrano degli assassini seriali; due antagonisti in fondo un po’ “fumettistici” nella loro monodimensionalità; e, non ultimo, il ruolo delle donne connotato da un’ambiguità sfociante in malcelata misoginia – non si dimostrano affatto pudiche e perbene come si presentano…-).
I Saw The Devil, forte di alcuni sprazzi di cinema clamorosi (il già citato ritrovamento della testa, il combattimento nella serra, quello nel taxi con un vorticoso movimento circolare di macchina ai limiti del possibile), che confermano Jee-woon come uno dei registi più dotati e “pirotecnici” a livello internazionale, è una sorta di ricapitolazione ed estremizzazione nonché, in un certo senso, di punto di non ritorno del sottogenere vengeance, rappresentandone al contempo la sua massima espressione concettuale, sfrondata il più possibile da retoriche e psicologismi vari, e il suo superamento in chiave semi-parodistica.