MIO CARO ASSASSINO
MIO CARO ASSASSINO
GENERE: thriller, giallo
ANNO: 1972
PAESE: Italia
DURATA: 92 minuti
REGIA: Tonino Valerii
CAST: George Hilton, Marilù Tolo, Dante Maggio, William Berger, Salvo Randone
L'investigatore di una compagnia assicurativa, finisce accidentalmente decapitato dal braccio meccanico di un'escavatrice che aveva noleggiato per dragare uno stagno alla ricerca di non si sa cosa; poco dopo anche l'operaio che manovrava il mezzo viene ritrovato morto... per la polizia non sono solo coincidenze...
Vincenzo Paradisi, investigatore di una compagnia assicurativa, finisce decapitato dal braccio meccanico di un’escavatrice che aveva noleggiato per dragare uno stagno alla ricerca di qualcosa; poco dopo anche l’operaio che manovrava il mezzo viene ritrovato morto, apparentemente suicida. Qualcosa però non torna e la polizia ben presto capisce di trovarsi di fronte a due delitti ricollegabili ad un caso dell’anno precedente, il rapimento della piccola Stefania, figlia del facoltoso industriale Alessandro Moroni, il quale, al momento del pagamento del riscatto, era stato a sua volta trattenuto dai malviventi per poi venire lasciato perire di stenti insieme alla bambina: il Paradisi stava infatti indagando sulla vicenda e aveva probabilmente scoperto qualcosa di importante, tanto da contattare i vari membri della famiglia Moroni per vendere loro queste informazioni.
Inizia così una partita a scacchi tra il commissario Peretti, deciso a ricomporre il puzzle, e il misterioso sequestratore-assassino che cerca in tutti i modi di coprire le proprie tracce cominciando ad uccidere le persone a vario titolo implicate nell’intrigo…
Già assistente di Sergio Leone nei suoi primi due seminali spaghetti-western e poi, a sua volta, grande interprete di questo particolare genere con veri e propri cult come I Giorni Dell’Ira, Una Ragione Per Vivere E Una Per Morire, Il Mio Nome È Nessuno, il regista abruzzese Tonino Valerii si cimenta anche in ambito thriller dirigendo nel 1972 questo film nel quale, pur non rinunciando ad alcuni stilemi argentiani come le soggettive del killer guantato, l’efferatezza di alcuni omicidi (qui per di più eseguiti con modalità piuttosto curiose ed anomale) nonchè la tipica ed inquietante “nenia” morriconiana (Argento invece “trasporterà” in Profondo Rosso la “trovata” del disegno col particolare rivelatore rinvenuto in una scuola…), li integra in una trama che rimanda maggiormente al classico giallo “deduttivo” contaminato con una radiografia realistica di certi “scheletri negli armadi” dell’alta borghesia.
Gli sceneggiatori Roberto Leoni e Franco Bucceri, infatti, oltre a costruire un meccanismo piuttosto arzigogolato (una sorta di indagine su un’indagine) ma, al netto di qualche passaggio nebuloso, tra i più intriganti riscontrabili in tutto il filone (reso sullo schermo con puntuali flashback incastrati alla perfezione dal montaggio di Franco Fraticelli), non mancano di definire caratteri e psicologie in maniera piuttosto concreta, riuscendo così a trasmettere, oltre ad ovvi momenti di tensione, anche un diffuso senso di compassione e al contempo di disgusto legati all’innocenza violata della povera Stefania, la quale aleggia per tutta la pellicola quasi come una presenza “fantasmatica” e accusatrice nei confronti di un contesto pregno di cinismo, amoralità, morbosità, dove colui che dovrebbe proteggerti può rivelarsi invece un mostro (Valerii a un certo punto rinforza questa dicotomia tra purezza e perversione associando a un personaggio con forti tratti di ambiguità il nudo frontale di un’adolescente entrata improvvisamente in scena: sequenza – incredibilmente mai censurata – a dir poco coraggiosa ma concettualmente inattaccabile).
Il movente scatenante non è dunque più rappresentato dal solito trauma infantile, ma è al contrario la fanciullezza ad entrare nel mirino di pulsioni distruttive: ribaltamento di prospettiva che troviamo, in chiave anticlericale, anche in due notevoli pellicole coeve come Chi L’Ha Vista Morire di Aldo Lado e Non Si Sevizia Un Paperino di Lucio Fulci (ma fatti del genere, rimasti poi nell’immaginario collettivo, popolavano la stessa cronaca nera dell’epoca: si veda ad esempio quello accaduto a Genova nemmeno un anno prima dell’uscita del film, ossia il rapimento e la conseguente uccisione della tredicenne Milena Sutter – va comunque precisato che, nonostante le analogie, Mio Caro Assassino non è ispirato a tale evento in quanto lo script venne concepito precedentemente ad esso – ), e lo straordinario finale in pieno stile Agatha Christie, dove il regista, con una messa in scena altamente suggestiva, fa letteralmente specchiare tutti i sospettati nel loro marciume interiore, decreta la doverosa vittoria postuma di questo “angelo” vittima della follia degli adulti…
Il resto lo fa appunto una regia di grande cura formale, caratterizzata da piani sequenza di non semplice realizzazione e da una composizione delle inquadrature che denota eleganza nello sguardo e attenzione precipua alla dinamica del racconto (vanno rimarcati, a questo proposito, l’omicidio che apre la pellicola, girato senza l’ausilio di trucchi grazie allo stuntman Remo De Angelis che inventò un particolare collare per rimanere appeso alla benna, oppure quello inaspettatamente splatter della maestra – mentre alla tv del salotto passa Django di Sergio Corbucci… – , “macellata” con una sega circolare, al quale Brian De Palma avrà sicuramente pensato nel momento di concepirne uno simile per il suo celeberrimo Omicidio A Luci Rosse), senza dimenticare un cast ben assortito che schiera, oltre ad un habitué come George Hilton (ma inizialmente il commissario doveva essere interpretato da Giancarlo Giannini), il grande Salvo Randone nei panni del suo aiutante Marò, la splendida Marilù Tolo in quelli della compagna Anna e uno stuolo di buoni caratteristi tra i quali si segnalano soprattutto l’austriaco William Berger e una Lara Wendel appena settenne, qui al suo esordio, la quale in seguito bazzicherà in lungo e in largo i set della nostra penisola dividendosi tra film d’autore e cinema-bis.
Mio Caro Assassino, in definitiva, si segnala come uno degli esiti più felici ed originali di quell’irripetibile stagione del nostro cinema “di paura”: il minimo che si possa fare è invitarvi a riscoprirlo.