Apocalisse e redenzione: il confronto tra i finali di Attack on Titan e Neon Genesis Evangelion

Nel panorama degli anime che hanno segnato epoche diverse, Attack on Titan e Neon Genesis Evangelion emergono come monumenti della narrazione apocalittica, due opere che, attraverso la lente del cataclisma imminente, esplorano le profondità dell'animo umano. Entrambe le serie culminano in eventi di estinzione di massa pianificata, ma la filosofia che anima questi finali rivela differenze sostanziali che rispecchiano visioni contrastanti dell'umanità stessa.

Questo articolo analizza come i creatori Hajime Isayama e Hideaki Anno abbiano forgiato conclusioni che, pur contemplando la devastazione quasi totale del genere umano, offrono letture diametralmente opposte sul significato di sacrificio, individualità e redenzione.

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Visioni di distruzione: due apocalissi a confronto

Nel mondo claustrofobico di Attack on Titan, Eren Yeager evolve da giovane idealista a architetto di un genocidio su scala globale. Il “Boato della Terra” che scatena rappresenta il culmine di una trasformazione personale in cui la protezione dei propri cari si muta in una crociata nichilista contro il resto dell’umanità. Attraverso i suoi occhi vediamo come l’ideale di libertà possa corrompersi fino a diventare il suo opposto: una catena di determinismo che lega vittima e carnefice in un abbraccio mortale.

Isayama costruisce meticolosamente questo percorso discendente, trasformando gradualmente il protagonista in un antieroe la cui motivazione iniziale – proteggere l’isola di Paradis – si contamina con una visione distorta della libertà. Il “Boato della Terra” non è solo un evento apocalittico, ma la materializzazione di un conflitto irrisolto tra determinismo e libero arbitrio. Eren, conoscendo il futuro attraverso i suoi poteri, si trova intrappolato nella contraddizione di perseguire la libertà mentre segue un destino predeterminato.

“Se qualcuno tenta di rubarmi la mia libertà, non esiterò a rubare la loro.” Questa frase di Eren racchiude la tragica ironia della sua condizione: nel tentativo di liberare il suo popolo, diventa l’oppressore del resto dell’umanità.

In netto contrasto, l’apocalisse di Neon Genesis Evangelion – il “Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo” o “Third Impact” – emerge da premesse filosofiche più astratte. Anno non presenta l’apocalisse come un atto di protezione distorto, ma come una soluzione metafisica all’angoscia esistenziale dell’isolamento umano. L’organizzazione SEELE, con la sua agenda occulta, cerca di trascendere i confini dell’individualità, fondendo tutte le anime in un’unica entità collettiva.

La straordinaria sequenza finale di “The End of Evangelion” visualizza questo processo come un ritorno allo stato primordiale della vita: i corpi si dissolvono in un liquido arancione (LCL) simbolicamente simile al fluido amniotico, mentre le barriere psicologiche tra le persone collassano. Non è tanto un genocidio quanto una trasformazione ontologica dell’umanità stessa.

Protagonisti dell'Apocalisse: Eren e Shinji a confronto

La divergenza più significativa tra le due opere risiede nei loro protagonisti. Eren Yeager e Shinji Ikari rappresentano risposte diametralmente opposte al trauma e alla responsabilità.

Eren abbraccia un’agency ipertrofica. La sua evoluzione lo porta a diventare l’agente attivo della distruzione, assumendosi il peso morale del genocidio come scelta consapevole. “Continuerò ad avanzare” diventa il suo mantra, un’affermazione di volontà che lo separa nettamente dalle sue controparti passive in altre narrazioni apocalittiche. La sua tragedia non sta nella mancanza di scelta, ma nella scelta deliberata dell’orrore come unica via percorribile.

Quando Eren confessa ad Armin: “Anche se non sapevo che sareste sopravvissuti… avrei comunque appiattito questo mondo”, rivela la verità inquietante alla base delle sue azioni: il “Boato della Terra” non è solo un mezzo per proteggere Paradis, ma il risultato di un desiderio personale di libertà assoluta, anche a costo dell’annientamento quasi totale dell’umanità.

All’estremo opposto, Shinji Ikari incarna la paralisi decisionale. Posto al centro dell’apocalisse, rimane intrappolato nella sua incapacità di agire con convinzione. Il “Third Impact” avviene non tanto per una sua scelta attiva, quanto per la sua incapacità di respingere completamente la visione di SEELE. La famosa scena finale sulla spiaggia, con Shinji che strangola Asuka solo per interrompersi davanti alla sua carezza, cristallizza questa ambivalenza: né totale rifiuto né totale accettazione dell’altro.

“Mi disgusta” – le ultime parole di Asuka nel film – condensano l’amara consapevolezza che, anche dopo l’apocalisse, la connessione umana rimane imperfetta e dolorosa. A differenza di Attack on Titan, dove il genocidio viene presentato come una scelta tragica ma definita, Evangelion lascia il suo protagonista e lo spettatore in uno stato di irrisolta tensione esistenziale.

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L'estetica della fine: rappresentazioni visive dell'apocalisse

Anche nell’estetica della rappresentazione apocalittica, le due opere divergono significativamente. Attack on Titan visualizza la sua apocalisse attraverso immagini concrete di distruzione fisica: i Titani Colossali che marchiano in formazione, schiacciando città e popolazioni sotto i loro piedi. È una visione tangibile dell’orrore, che non lascia spazio all’ambiguità.

La sequenza del “Boato della Terra” è caratterizzata da una brutale linearità narrativa: vediamo i corpi schiacciati, le strutture crollare, l’avanzata inesorabile dei giganti. Isayama non risparmia allo spettatore la visione diretta delle conseguenze, costringendolo a confrontarsi con l’orrore senza filtri.

Evangelion, invece, trasfigura la sua apocalisse in una sequenza surreale e psichedelica. Le immagini del “Third Impact” sono deliberatamente astratte: croci luminose che solcano il cielo, l’Eva-01 trasformata in un essere divino, anime che ascendono verso una dimensione superiore. Anno sceglie di rappresentare la fine non come distruzione fisica, ma come dissoluzione dei confini dell’io.

Particolarmente emblematica è la sequenza in cui vediamo i corpi umani liquefarsi in LCL mentre le loro anime si fondono. Non assistiamo a morti violente, ma a una trasformazione ontologica. L’orrore non è nella brutalità delle immagini, ma nella perdita dell’individualità, un concetto più sottile e filosoficamente inquietante.

Il prezzo della salvezza: due visioni della redenzione

In entrambe le opere, l’apocalisse è connessa a una forma distorta di salvezza, ma con finalità completamente diverse.

In Attack on Titan, il sacrificio di Eren – che alla fine si lascia uccidere, rivelandosi parte di un piano più complesso – offre una temporanea redenzione. Il suo gesto finale, per quanto controverso, porta a una conclusione definita: l’eliminazione dei poteri dei Giganti e un periodo di pace, seppur fragile, per l’isola di Paradis. Isayama suggerisce che anche gli atti più terribili possono portare a una forma di riscatto, per quanto ambiguo.

L’epilogo della serie mostra come, nonostante il tentativo di Eren di rompere il ciclo di violenza, la natura umana rimanga fondamentalmente immutata. La vista di un bambino che si avvicina all’albero dove tutto ebbe inizio suggerisce la possibilità che la storia possa ripetersi, in un eterno ritorno nietzschiano.

In Evangelion, la redenzione è più personale e ambigua. Il rifiuto finale di Shinji della “Complementation” – il suo emergere dal mare di LCL insieme ad Asuka – rappresenta una scelta di affrontare il dolore dell’esistenza individuale piuttosto che fuggire nell’unione cosmica. Ma questa scelta non offre soluzioni definitive, solo la possibilità di continuare a lottare con le contraddizioni dell’essere umano.

“Congratulazioni!” – il surreale applauso che Shinji riceve nel finale originale della serie televisiva – simboleggia il vero trionfo: non l’aver salvato il mondo, ma l’aver trovato un frammento di accettazione di sé, per quanto precario.

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Conclusione: eredità di due apocalissi

Attack on Titan ed Evangelion, pur affrontando l’idea dell’apocalisse come atto pianificato, offrono visioni profondamente diverse della natura umana e del significato della catastrofe.

L’opera di Isayama suggerisce che anche nelle azioni più estreme esiste una logica, per quanto perversa; che il male nasce spesso da intenzioni inizialmente nobili corrotte dalla realtà del mondo. Eren rimane un personaggio comprensibile, se non giustificabile, la cui tragedia sta nell’aver sacrificato la propria umanità per proteggere ciò che amava.

L’opera di Anno, al contrario, esplora come il male possa emergere non tanto dalle azioni, quanto dall’incapacità di agire con convinzione; come il rifiuto della connessione umana, per quanto dolorosa, porti a soluzioni esistenziali ancora più problematiche. Shinji non è un esecutore dell’apocalisse, ma un testimone riluttante, la cui vera battaglia è interna.

Entrambe le serie, a distanza di decenni l’una dall’altra, dimostrano la potenza dell’animazione giapponese nell’esplorare temi filosofici complessi attraverso narrativa apocalittica. Se Evangelion ha rivoluzionato il genere negli anni ’90 con la sua decostruzione psicoanalitica, Attack on Titan ha portato questi temi a una nuova generazione, radicandoli in un contesto politico e storico più esplicito.

Nel loro confronto, non troviamo risposte definitive, ma una riflessione stratificata sul significato dell’individualità, della libertà e del prezzo che siamo disposti a pagare per la sopravvivenza – non solo fisica, ma spirituale – dell’umanità.

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John il boia Ruth

Sono Gilberto, alias John il boia Ruth, la mente che ha dato forma a questo progetto. Nella vita mi occupo di web: dal marketing alla grafica, dalla progettazione di siti ai Social Network. Ne I Cinenauti ho voluto fondere il mio lavoro, che amo, con la mia più grande passione, il cinema. Prediligo gli horror, meglio se estremi e disturbanti, i thriller, i fantasy e i film d'azione. Insomma divoro qualsiasi cosa cercando di non farmi condizionare dai pregiudizi.