Calcio e dintorni nel cinema italiano. Dal Regime Fascista al Dopoguerra.

Introduzione

“Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”: in questo aforisma attribuito a Winston Churchill si cela l’essenza di quella vera e propria religione laica che nel nostro Paese conta più adepti di qualsivoglia confessione o ideologia politica, una fortissima passione interclassista e intergenerazionale che porta ognuno di noi “malati” ad entrare in una sorta di simbiosi emotiva con la nostra squadra del cuore, aspetto che sfocia in un meccanismo di interazioni sociali basato sulla “fratellanza” o la “stigmatizzazione” (spesso anche motivate da atavici retaggi campanilistici) a seconda della “fede” di appartenenza (dinamica in larga parte riconducibile nell’alveo dell’innocuo sfottò, anche se in alcune circostanze particolari può suscitare reali tensioni), salvo poi ritrovarsi tutti uniti quando gioca la Nazionale; ma si può parlare anche se ci riferiamo a quel particolare fenomeno noto come movimento ultrà, nato agli albori degli anni settanta e inizialmente mutuato, per quanto riguarda le forme aggregative e iconografiche, dalle formazioni antagoniste extraparlamentari , di una vera e propria sottocultura (quasi uno stile di vita) regolata da precisi codici di stampo tribale che vanno dalla radicalità nei comportamenti (la fortissima coesione in nome della difesa dei propri colori che prevede persino lo scontro fisico con i rivali) ad un affascinante lato comunicativo e creativo che si manifesta attraverso bandiere, striscioni, cori, loghi, murales, capi di abbigliamento, libri scritti da “insider” dei vari gruppi per arrivare alle suggestive “coreografie” assimilabili a vere e proprie performance di arte contemporanea.

Il nostro cinema ha raccontato il calcio e tutto ciò che gli sta attorno con una certa ritrosia e con risultati altalenanti, raggiungendo raramente una profondità di sguardo e limitandosi più spesso alla semplice riproposizione di stereotipi; non vanno sottovalutate, in questo senso, la difficoltà nel riprodurre credibilmente la parte agonistica e la poca attitudine, a differenza ad esempio degli americani, nel partire dallo sport per rappresentare parabole umane o spaccati di autobiografia nazionale; ciò non toglie, però, che si possano rintracciare sin dagli albori molte pellicole dove il calcio assume un ruolo centrale, funge da innesco narrativo oppure occupa semplicemente un piccolo spazio, le quali meritano di essere analizzate in un percorso che inevitabilmente si intreccia con i vari mutamenti storici e di costume.

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DAL REGIME FASCISTA AL DOPOGUERRA

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, il calcio inizialmente venne piuttosto snobbato dal regime fascista; Mussolini non lo amava in modo particolare, e avrebbe preferito indirizzare gli italiani a pratiche sportive come la boxe o la scherma, considerate più aristocratiche; quando però constatò che il cuore del popolo batteva per la sfera di cuoio non potè fare altro che cavalcarne il sentimento: l’unificazione del campionato (prima diviso in due leghe Nord Sud), la costruzione di nuovi grandi stadi nelle principali città e l’organizzazione del Campionato Mondiale del 1934 poi vinto dalla nostra Nazionale (che si ripeterà sia alle Olimpiadi del 1936 che ai successivi Mondiali francesi del 1938) testimoniano un deciso cambio di passo in questa direzione; nel cinema dell’epoca, però, se ne trovano poche tracce significative.

Il film CINQUE A ZERO del 1932 di un importante regista come Mario Bonnard è una sorta di reperto archeologico (oggi praticamente invisibile, a parte alcune sequenze) ma estremamente significativo perchè contiene già tutti gli elementi che caratterizzeranno molte opere future dedicate all’argomento in questione: abbiamo da una parte il proprietario del club insoddisfatto del rendimento della squadra e ostacolato dalla moglie che non apprezza il calcio, dall’altra il giocatore più rappresentativo che ha una “liason” con una stella del varietà, e in mezzo i tifosi umorali pronti a “scaricare” in men che non si dica i propri beniamini; il tutto alla vigilia di un’appuntamento da “dentro o fuori” (la partita, rimasta celebre, nella quale la Roma il 15 marzo del 1931 sconfisse per 5 0 l a Juventus al campo Testaccio) in un contesto anche di tensione geopolitica (l’eterna rivalsa del Sud contro il ricco e potente Nord simboleggiato dalla squadra degli industriali torinesi).

Bonnard sceglie comunque un tono spensierato e sentimentale, a tratti ancora memore del cinema muto, avvalendosi della partecipazione dei reali giocatori della squadra giallorossa e di attori quali Osvaldo Valenti (che in seguito aderirà alla Decima Mas finendo fucilato dai partigiani insieme alla compagna, la diva Luisa Ferida), Angelo Musco e Carolina Mignone detta Milly, la quale avrà una carriera di tutto rispetto divisa tra cinema, musica, teatro e televisione (sarà la madre del protagonista ne Il Conformista di Bernardo Bertolucci).

Anche il grande Alessandro Blasetti (con Mario Soldati come aiuto regista) lambisce il mondo del calcio nella sua opera del 1938 intitolata LA CONTESSA DI PARMA, commedia degli equivoci ascrivibile al filone dei “telefoni bianchi” nella quale il centravanti della Nazionale si innamora di un’indossatrice credendola una nobildonna; il film, girato in splendide location tra Torino e dintorni, vale soprattutto per come rappresenta gli ambienti glamour dell’epoca (compresi quelli sportivi, che oltre al calcio comprendevano in special modo sci ed equitazione). 

Nell’immediato dopoguerra è Giorgio Simonelli a riaprire le danze con 11 UOMINI E UN PALLONE (1948), commediola interpretata da solidi professionisti quali Carlo Dapporto, Carlo Campanini e Ferruccio Amendola (poi grandissimo doppiatore ) col contributo di alcuni calciatori professionisti incentrata su una macchinazione ai danni di un arbitro e di un centravanti volta a danneggiare una squadra sulla quale è in ballo una grossa scommessa; si comincia qui ad alludere, seppure in modo divertito, ad alcuni risvolti poco edificanti, mentre da un altro lato si sottolinea come il calcio sia ormai divenuto argomento di conversazione anche in fasce sociali considerate più “intellettuali” (c’è un professore che disserta di tattica con i suoi allievi); nel 1950, invece, Steno e Mario Monicelli cuciono un soggetto, basato sul topos del “doppio”, addosso all’esuberanza artistica di Walter Chiari: il film si intitola L’INAFFERRABILE 12 e lo dirige Mario Mattoli, uomo di cinema e di teatro tra i più importanti del tempo, avvalendosi di un cast composto anche dalla grande interprete della “rivista” Isa Barzizza e dalla “maggiorata” Silvana Pampanini; la storia è quella di due gemelli che si rincontrano dopo essere stati separati dalla nascita, uno dei qua li è impiegato in un banco del lotto e l’altro nientemeno che portiere della Juventus: tra peripezie e fraintendimenti vari si finirà allo stadio dove il più imbranato sostituirà il fratello in una partita della squadra bianconera…

Anche qui non manca la partecipazione di campioni dell’epoca quali Carlo Parola (una cui rovesciata è immortalata nel logo delle figurine Panini), John Hansen e Giampiero Boniperti: d’altronde il film rappresenta la prima produzione cinematografica della famiglia Agnelli dietro la sigla I.C.S. (Industrie Cinematografiche Sociali).

La pellicola più significativa del periodo a tema calcistico è pero senza dubbio GLI EROI DELLA DOMENICA del 1952 diretta da Mario Camerini, regista nato col cinema muto degli anni venti e poi affermatosi come esponente di punta del già menzionato filone dei cosiddetti “telefoni bianchi”: l’ormai collaudato “cliché” fatto di amorazzi e vicissitudini intorno ad una partita decisiva (in questo caso è la squadra dei grigi, chiaramente ispirata all’Alessandria, a doversi giocare la salvezza contro il Milan del famoso terzetto Gren Nordhal Liedholm, passato alla storia come Gre No Li) diviene occasione da una parte per sviscerare certi interessi loschi che cominciavano ad addensarsi dietro le quinte del gioco più popolare (tutta la sottotrama degli scommettitori clandestini che cercano di corrompere il centravanti dei grigi un Raf Vallone che era stato egli stesso calciatore professionista attraverso la sua donna), dall’altra per offrire un vivace ritratto del trasporto con il quale la gente cominciava a seguire la squadra del cuore anche in modo organizzato (si vedono carovane di auto e pullman alla volta dello stadio San Siro) oppure attraverso il media per eccellenza dell’epoca, rappresentato dalla radi o: il film risulta così, pur senza affondare troppo la sua critica sociale e ricomponendo il tutto nel canonico lieto fine, più strutturato e complesso rispetto a molti coevi, nonché girato con una certa classe, rendendo piuttosto credibili persino le fasi di gioco (del resto ad occuparsi della fotografia c’è il grande Mario Bava); nel cast oltre appunto agli “eroi”, tra i quali appare in un cameo nientemeno che Vittorio Pozzo, ct due volte Campione del Mondo con la Nazionale figurano nomi noti quali Paolo Stoppa, Franco Interlenghi, Marisa Merlini, ed è presente anche un giovane Marcello Mastroianni.

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Discorso a parte merita DON CAMILLO (1952) coproduzione italo francese tratta dai racconti del grande scrittore emiliano Giovanni Guareschi e affidata al la regia di Julien Duvivier , vero e proprio manifesto rappresentativo, in chiave bonaria ed umanista, di quella spaccatura (ma anche della possibile conciliazione) tra democristiani e comunisti destinata a segnare, nel bene e nel male, un largo tratto della nostra storia recente; il confronto quotidiano nelle piazze e sui luoghi di lavoro di un Italia che sta cercando faticosamente di rialzarsi non può che spostarsi anche sul campo di calcio, dove la squadra della parrocchia e quella del sindaco “rosso” si sfidano a duello rusticano con tanto di tentativi di influenzare l’arbitro sottobanco e accorati discorsi motivazionali negli spogliatoi (il prete finisce addirittura per rivolgersi direttamente al suo “principale…); straordinari sono Fernandel e Gino Cervi, ormai icone senza tempo nei panni dei due nemici amici Don Camillo e Peppone. Da dimenticare invece il remake del 1983 diretto e interpretato da Terence Hill, che nella sequenza della partita vede la partecipazione di alcuni giocatori professionisti (Pruzzo, Ancelotti, Boninsegna, Spinosi).

Altra opera da menzionare, di poco successiva, è LA DOMENICA DELLA BUONA GENTE (1953) di Anton Giulio Majano, regista abruzzese divenuto celebre per i suoi sceneggiati televisivi di grande successo; tratto da un radiodramma, il film interpretato tra gli altri da Renato Salvatori, Ave Ninchi e una giovanissima Sophia Loren utilizza lo schema delle varie storie intrecciate con la solita partita di campionato (Roma Napoli) a fare da catalizzatrice; il giorno festivo e la “liturgia” del calcio sono qui rappresentati come l’occasione per evadere da un quotidiano spesso pieno di difficoltà, con quel misto tra fatalismo e cinismo tipico dei romani; alcuni elementi come quello dell’ex giocatore che ha difficoltà ad inserirsi nella vita normale o il miraggio della vincita al Totocalcio (quello della schedina è stato per decenni un vero e proprio rito tutto italiano poi spazzato via dalle scommesse online) li ritroveremo sviscerati in modo più compiuto all’interno di pellicole coeve (ad esempio SE VINCESSI 100 MILIONI, diretta da Carlo Campogalliani e Carlo Moscovini, che consta di cinque episodi incentrati appunto su questa ipotetica evenienza) e successive.

In RACCONTI ROMANI di Gianni Franciolini del 1955 (con Totò, Vittorio De Sica, Silvana Pampanini e Franco Fabrizi) si preconizza l’avvenire del calcio come sport mediatico a scapito della partecipazione dal vivo: quattro amici che devono racimolare una somma di denaro per avviare un’attività decidono di rivendere a prezzo maggiorato i biglietti di una partita della Nazionale, la quale però viene trasmessa in tv col conseguente calo della domanda di tagliandi…

Sempre Totò si cimenta nel ruolo di presidente in GAMBE D’ORO del 1958 (diretto da Turi Vasile su un soggetto di Antonio Margheriti); il film è piuttosto trascurabile a parte forse la descrizione dei prodromi di quello che ora è divenuto il “calciomercato”, con una sorta di procuratore mandato dallo squadrone del nord a “razziare” i pezzi pregiati delle squadre provinciali e nemmeno un fuoriclasse come il “Principe della risata” riesce a donargli più di tanto la sua proverbiale verve.

Un’altra coppia di mostri sacri della comicità nostrana come Aldo Fabrizi e Nino Taranto è protagonista de I PREPOTENTI (1958), classica commedia brillante incentrata sul campanilismo che divide napoletani e romani: l’intrigo prende le mosse quando due giovani tifosi rivali vengono alle mani all’uscita dello stadio del Vomero dopo la partita tra le rispettive squadre, non immaginando che in futuro saranno destinati a diventare cognati…

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Anton Chigurh

Mi chiamo Mattia, alias Anton Chigurh, classe 1975, ho fatto studi classici e sono orgogliosamente spezzino; cosa chiedo ad un film o ad una serie tv? Di farmi riflettere, di inquietarmi, di lasciarmi a bocca aperta, di divertirmi... Per sapere dove trovo tutto questo, leggete le mie recensioni su I Cinenauti!