Ciao Fabio, ti ringraziamo anzitutto per la tua disponibilità e per il tempo che ci dedichi.
Noi abbiamo il piacere di conoscerti ma vorresti brevemente presentarti ai nostri lettori?
Ciao e grazie a voi per questa intervista. In realtà risulta difficile presentarmi: come tutti non so ancora chi sono. Può sembrare un’affermazione estrema e qualcuno potrebbe controbattere dicendo “Io so perfettamente chi sono! “, oppure “Lei non sa chi sono io!”. Molte persone si identificano con il loro lavoro, con i loro ruoli sociali e familiari. Ma nel campo dell’arte la propria identità assume le connotazioni di una ricerca continua. Il tema dell’identità attraversa buona parte della mia filmografia: mi sembra che sia il tema centrale dell’esistenza umana. Chi siamo L’esistenza terrena non è altro che un tentativo di dare risposta a questa domanda principale, che si compone di una miriade di domande secondarie.
Potrei insomma affermare che ho quasi 48 anni, mi occupo di cinema, sono nato a Pescara nel 1974 e vivo a Roma. Oppure che amo viaggiare e sono un appassionato di snorkeling. Oppure potrei descrivermi caratterialmente da un punto di vista emotivo ed intellettuale. Ma non avrebbe molto senso. Come aveva ben capito Pirandello l’essere umano è un mosaico di 100000 personalità e potenzialità differenti.
Leggendo la tua biografia salta subito all’occhio la tua passione a 360 gradi per il cinema, sei attore, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, fotografo e montatore… com’è nato questo amore per la Settima Arte?
La mia passione per il cinema è nata quando ero ancora un bambino. I miei zii amavano la musica e volevano che imparassi a suonare uno strumento. Ogni tanto me ne regalavano uno in formato giocattolo. Ma non riuscirono mai nel loro intento: suonavo i tasti della pianola per qualche giorno e poi mi disinteressavo. Ciò che mi interessava davvero invece erano le immagini in movimento, poiché avevo una fervida immaginazione e mi piaceva raccontare storie. Il primo tentativo di dare forma a questo immaginario fu un racconto scritto. Subito dopo incominciai ad appassionarmi al cinema, che scoprii per la prima volta una sera di Natale quando i miei genitori mi portano a vedere Flash Gordon.
Durante le scuole medie rimediai una vecchia telecamera e iniziai a girare dei veri e propri film di lungometraggio con gli amici. Nei primi tentativi facevo il montaggio direttamente in fase di ripresa, davvero complicato. Poi iniziai a montare le singole inquadrature con due videoregistratori.
Il mio approccio al cinema è stato completamente fisico, artigianale e tecnico. Un approccio creativo: mi procuravo gli strumenti che servivano per raccontare una storia con le immagini. Ovviamente i primi tentativi furono molto rudimentali. Successivamente all’università ho iniziato a studiare il cinema anche da un punto di vista teorico. Non mi interessava granché e non ho imparato quasi nulla di quello che mi serviva davvero. Vedendo troppi film si rischia di farsi influenzare e di perdere di vista quella che è la vera ricerca artistica personale, che non assomiglia alla filmografia di nessun grande regista. Il cinema si impara solamente facendolo. Intendo facendolo da un punto di vista creativo, non portando i caffè su un set industriale.
Quando mi sono trasferito a Roma ho frequentato una scuola di cinema, poi il Dams. Ho lavorato in oltre 50 film come assistente alla regia, aiuto regista, attore, comparsa. Anche quella è stata un’ottima scuola di cinema per capire di più da un punto di vista produttivo ed organizzativo, per imparare a gestire in modo efficiente un lavoro di gruppo complesso. Ma nulla di tutto questo serve davvero per esprimere la propria creatività e il proprio immaginario attraverso il cinema. Il cinema si fa prendendo in mano una telecamera e affinando gli innumerevoli elementi che compongono questa arte complessa: la composizione figurativa delle immagini, la luce, la capacità di raccontare storie, il ritmo, la recitazione. Le potenzialità del cinema sono talmente sconfinate che la scuola non finisce mai. Film dopo film capisci sempre di più come funziona questo magico meccanismo, che è quello che si avvicina di più alla creazione del mondo reale. Ci vuole molta esperienza per arrivare a capire che un solo effetto sonoro o un breve sguardo di un attore di pochi secondi può capovolgere il senso di un’intera scena.
Frequentare scuole di cinema e set cinematografici tradizionali in realtà può essere deleterio. Il rischio è quello di assorbire metodi convenzionali e di restringere la propria visione. In questo momento invece, dove trionfa l’omologazione e la copia della copia di ciò che ha funzionato in passato, abbiamo bisogno soprattutto di avanguardia. Non solo nel cinema ma anche negli altri campi artistici.
Ognuno di noi ha i suoi “miti” e i suoi imprescindibili “cult”, quali sono le tue figure di riferimento?
Quando ho iniziato a girare i primi film a 12 anni ero totalmente “americaniizzato”. Ero rimasto a bocca aperta nella sala cinematografica vedendo i film di Indiana Jones e altri titoli come Highlander l’ultimo immortale. Qualche anno più tardi, durante le scuole superiori, i registi che è amavo di più erano Martin Scorsese, Stanley Kubrick, e soprattutto Brian De
Palma. Ero rimasto colpito anche da piccoli film come Stand By Me Ricordo di un’estate.
Poi intorno ai vent’anni mi sono immerso nella visione del cinema italiano: soprattutto Pasolini, Fellini, Antonioni, Petri. Credo che Federico Fellini sia stato il più grande regista della storia del cinema: non ho dubbi su questo. Anche se lavorava in un modo molto mainstream, distante dal cinema indipendente, con un apparato scenografico e produttivo molto pesante, Fellini è uno dei rari casi della storia del cinema in cui il film industriale diventa arte di estrema avanguardia. Conoscendolo poi meglio attraverso i suoi scritti e le sue interviste ho compreso che il cinema era solo un modo di esprimere una genialità che trascendeva i film. Fellini non era un essere umano “normale”. 8 e mezzo secondo me è il più grande film della storia del cinema. Peccato che il protagonista sia un regista e che sia rimasto un film d’essai di nicchia amato dai registi di tutto il mondo. In realtà 8 e mezzo è il film più popolare che sia
mai stato realizzato e riguarda chiunque: racconta l’essere umano in modo così universale e preciso fino ad essere un vero e proprio archetipo. È una lezione esistenziale enorme per
chi lo guarda.
Sei l’ideatore e il promotore di “Indiecinema”, una piattaforma streaming dedicata al cinema indipendente italiano ed internazionale. Raccontaci tutto quello che c’è da sapere…
Indiecinema nasce dopo anni di esperienza di distribuzione nelle sale cinematografiche e nelle piattaforme di streaming mainstream come Amazon Prime. C’era bisogno di una piattaforma che raccogliesse il cinema indipendente di qualità italiano ed internazionale e che lo rendesse più visibile al pubblico. Il progetto ha raccolto grandi entusiasmi sia dagli addetti ai lavori che dai potenziali spettatori. Si tratta di una piattaforma in abbonamento sul modello di Netflix: con pochi euro al mese puoi vedere tutti i film compresi nel catalogo. È stata lanciata il primo gennaio 2020. L’anno successivo abbiamo incominciato ad acquisire anche film cult e classici della storia del cinema per ampliare l’offerta a quel pubblico che non è interessato solo ai film indipendenti. In due anni e mezzo di attività abbiamo già acquisito migliaia di abbonati: un successo insperato visto che questi film sono considerati prodotti senza potenzialità commerciali. Evidentemente era l’offerta che mancava.
È chiaro però, frequentando i gruppi di cinema sui social, che le persone non conoscono affatto i film “veramente” indipendenti. C’è una sorta di enorme ipnosi di massa del pubblico cinematografico: parlano sempre degli stessi titoli, sempre degli stessi registi che vengono pubblicizzati nei canali mainstream, appaiono i Tv, o che vincono qualche premio ai grandi
Festival. Il resto non esiste. Invece è esattamente il contrario: il mainstream, i grandi Festival, le grandi distribuzioni non sono altro che la punta dell’iceberg. In molti casi si tratta solo di una farsa, di un teatrino di marionette. Forse è proprio questo il motivo del successo di Indiecinema: proporre qualcosa di nuovo totalmente scollegato dai meccanismi ufficiali, dalla pappa pronta che viene servita, da quello che l’industria dell’intrattenimento vuole che tu veda. Su Indiecinema infatti raramente trovi l’ultimo film premiato al Festival di Cannes pubblicato su tutte le altre piattaforme di streaming. Non ci interessa distribuire questo tipo di film celebrati nei circuiti ufficiali e reperibili ovunque. Ci interessa invece andare alla scoperta del cinema veramente indipendente, il cinema che viene dal basso. E anche proporre i grandi cult e classici del passato, perché la cultura cinematografica, come quella delle altre Arti, è stata distrutta e annichilita da chi governa questo paese.
Ci ha colpito l’eterogeneità dei contenuti e si intuisce chiaramente la volontà di diffondere “cultura cinematografica”. Questo, secondo noi, è il valore aggiunto di “Indiecinema”. Quali sono i tuoi progetti futuri e le tue ambizioni per questa piattaforma?
Secondo la mia visione il grande cinema è l’esatto opposto delle moderne serie TV in streaming che propongono le grandi piattaforme americane. Alcune sono veramente mediocri ed avendo una certa cultura cinematografica riesco subito a identificare quale film classico hanno tentato di clonare: sono quasi tutte copie di film del passato di successo aggiornati con un linguaggio moderno stereotipato. C’è una grande parte di pubblico (e critica) che è sotto ipnosi pesante con questo tipo di intrattenimento. Non si tratta di cinema d’arte. Neanche molti film che vincono i grandi festival possono essere definiti cinema. L’arte cinematografica ha vissuto le sue stagioni d’oro negli anni 20 e tra gli anni sessanta e i 70. Oggi l’omologazione ha raggiunto livelli incredibili e non è facile trovare qualcosa di interessante. Il cinema indipendente offre questa possibilità perché svincolato dalle logiche commerciali. La piattaforma Indecinema si continuerà a muovere in questa direzione sperando di trovare opere interessanti e originali. Mai come in questo periodo storico c’è bisogno dell’avanguardia, non solo nel cinema, non solo dell’arte, ma nella vita nella sua totalità. Senza avanguardia siamo fregati.
Sto terminando il montaggio del mio nuovo film dal titolo Il poeta perduto. Il protagonista è un poeta che ha dovuto adattarsi a fare l’impiegato ed a sposare una donna materialista che decide di fuggire di casa e di tornare a fare il poeta di strada, vita che faceva da giovane insieme ad un suo amico che è diventato un poeta e scrittore famoso.
Successivamente ho in cantiere diversi progetti. Alcuni di essi richiedono un budget elevato e potranno essere realizzati solamente attraverso cospicui finanziamenti.
Fabio è stato un vero piacere averti come graditissimo ospite, Grazie per le tue considerazioni sul mondo del cinema indipendente (e sull’Arte in generale) e per averci guidato in una sua profonda comprensione.
A questo punto non ci resta che invitare i nostri lettori a cliccare l’immagine sottostante e ad iscriversi o quantomeno provare Indiecinema attraverso il periodo di prova.