NOPE
NOPE
GENERE: horror
ANNO: 2022
PAESE: USA
DURATA: 130 minuti
REGIA: Jordan Peele
CAST: Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun, Michael Wincott, Brandon Perea
Alla terza fatica di una carriera già in prepotente ascesa dopo due veri e propri instant-cult come Scappa-Get Out e Noi-Us, Jordan Peele non si siede sugli allori ma rilancia con un film, Nope, piuttosto coraggioso e decisamente meno incasellabile rispetto ai precedenti.
Otis Haywood Sr. è proprietario di un ranch in California dove addestra cavalli da utilizzare in produzioni televisive e cinematografiche; un giorno l’uomo viene colpito violentemente da una moneta piovuta a forte velocità dal cielo e in conseguenza di questo strano incidente perde la vita; i figli Otis Jr. “O.J.” ed Emerald “Em” ereditano l’attività ma qualche mese più tardi le cose si complicano: un animale, durante le riprese di uno spot, reagisce in modo scomposto dopo essere stato spaventato da un componente della troupe provocando il loro allontanamento dal set e la conseguente crisi finanziaria; sono così costretti a vendere molti dei loro cavalli a Ricky Park, detto “Jupe”, un ex bambino prodigio che alla fine degli anni novanta recitava in una famosissima sitcom, Gordy’s Home, interrotta a causa di un terribile fatto di sangue (lo scimpanzè protagonista impazzì improvvisamente sterminando vari membri del cast) ed ora riciclatosi come direttore di un parco a tema western; “Jupe” manifesta anche l’intenzione di comprare l’intero ranch, ma la notte stessa nella quale i due fratelli discutono della cosa avviene un misterioso blackout, con i cavalli che sembrano improvvisamente attratti da una presenza misteriosa…
Alla terza fatica di una carriera già in prepotente ascesa dopo due veri e propri instant-cult come Scappa-Get Out e Noi-Us, Jordan Peele non si siede sugli allori (ben meritati, peraltro) ma rilancia con un film piuttosto coraggioso e decisamente meno incasellabile rispetto ai precedenti (i quali, nonostante una certa enigmaticità, e fatto salvo il ricorso al “genere” in maniera eminentemente politica, si avvalevano di un meccanismo a “plot twist” piuttosto collaudato); Nope è infatti una di quelle opere che a visione appena conclusa lasciano una sensazione al contempo di pienezza e di inafferrabilità, di magnificenza e di straniamento: si capisce che Peele qui ragiona ad un livello subliminale ancora più alto rispetto al passato, che i sottotesti in gioco sono forse meno scoperti ma decisamente più complessi, che l’orizzonte del suo cinema si sta considerevolmente allargando (e lo si vede sia dal calibro dei riferimenti che possiamo riscontrare nella pellicola – si va da Spielberg a
Kubrick sino all’ultimo Tarantino – che da una regia matura e capace di emozionare nel restituirci la maestosità di un paesaggio destinato a farsi arcano, complici la fotografia spettacolare di Hoyte Van Hoytema e gli effetti speciali davvero ben gestiti e mai ridondanti).
Peele riapre quel luna park che, come in Us, è luogo del disvelamento di rimossi e di pulsioni sotterraneee, e ci parla, attraverso personaggi del cinema e della tv, della hybris contemporanea (c’è chi non si fa scrupolo ad edificare un’intera carriera sulla strumentalizzazione di una tragedia – una chicca: il primate assassino è stato creato sulla base delle performance di uno dei più grandi stuntmen del mondo, quel Terry Notary che già in una delle sequenze più incredibili di The Square aveva mirabilmente riprodotto la ferinità animalesca al cospetto dell’ipocrisia altoborghese.
Il regista di New York ha forse inteso dirci che siamo come scimmie ammaestrate dai media ed è venuta l’ora di ribellarci? – e chi è disposto a tutto pur di tirare fuori l’inquadratura perfetta o lo scoop leggendario), legandosi anche alla storia di tanti outsider, dimenticati magari per striscianti questioni razziali come il nero a cavallo nella celeberrima serie di fotografie in movimento di Eadweard Muybridge di fine ‘800, del quale nessuno ha mai saputo il nome, oppure messi ai margini al minimo passo falso (i due fratelli protagonisti interpretati dai bravi Daniel Kaluuya – di nuovo con Peele dopo Get Out – e Keke Palmer); non manca poi chi, a livello più generale, è costretto a impieghi frustranti e standardizzati (il ragazzo del megastore di elettronica), mentre una subdola propaganda ci promette incessantemente “inclusione” e opportunità di successo, innescando un corto circuito delle coscienze (l’elettricità usata metaforicamente in questo contesto ha qualcosa di lynchiano…) sempre più accentuato e preoccupante, il cui esito porta alla negoziabilità di qualunque valore in nome di due miraggi chiamati fama e denaro; arrivare al talk show campione di ascolti sembra allora il solo progetto condiviso da milioni di individui che bruciano l’esistenza davanti (e dentro) ad uno schermo, divenendo al contempo controllori e controllati in un sistema dal forte sapore morboso e paranoico (ma la tecnologia è anche un gigante dai piedi d’argilla, basta un “sassolino” per far saltare tutto l’ingranaggio – si veda la gustosa sequenza della mantide sulla videocamera).
Nope rappresenta allora alla perfezione la coincidenza ormai fattuale tra la società dello spettacolo e quella della sorveglianza: è questo l’“alieno” che sta erodendo il senso del nostro stare al mondo, la Medusa che pietrifica chiunque osi incrociare il suo sguardo, l’abisso nietzschiano che ci guarda dentro mentre noi ossessivamente guardiamo lui.
Peele invoca simbolicamente – la cinepresa Imax a pellicola ed il meccanismo fotografico simile ad un dagherrotipo, con il loro funzionamento a manovella – il ritorno ad una concezione di artigianato spodestata dalla piattezza e dalla volgarità del digitale, che sono poi perfettamente parallele a quelle delle nostre vite – qui forse intende anche omaggiare quei cineasti come Christopher Nolan, del quale infatti ha scelto il direttore della fotografia, che, pur impegnati in produzioni faraoniche, hanno mantenuto un approccio “concreto” alla settima arte rinunciando quasi del tutto alla cgi -, nonché il recupero di un connubio con la natura che non sia solo mero slogan (tutto il discorso del rapporto con i cavalli, i quali significativamente sono i primi ad avvertire il disequilibrio in atto, è emblematico in questo senso); e non a caso questa sorta di western sci-fi con spruzzate horror dall’andamento lento, cadenzato e dai risvolti a tratti vagamente ironici e a tratti decisamente più oscuri e criptici (aggettivo che Peele inserisce in un paio di dialoghi, con un gioco metatestuale dei suoi), celebra infine – in una chiusura circolare che iconicamente rimanda a quell’“antenato” protagonista inconsapevole dei prodromi del cinema -, la “scandalosa” normalità dell’unico personaggio che lungo tutto l’arco narrativo ha cercato di mantenere i piedi ben saldi a terra (in contrasto con un nome che sembrava doverlo condannare alla ribalta perenne…), esprimendo esclusivamente il desiderio di tenere fede alle proprie radici e quindi di conservare l’opera e gli insegnamenti del padre.
Mi sbilancio: Nope verrà accolto in maniera tiepida perchè è un film spiazzante ed ostico nonostante sia, basandosi su una sinossi superficiale, potenzialmente fruibile da un ampio target di spettatori; ma sono altresì convinto che col tempo potrà diventare un piccolo classico.