Il 2 Agosto del 1990 l’Iraq invade il Kuwait dopo alcune controversie con i paesi del Golfo Persico legate ai livelli di produzione di petrolio. Dopo sole 4 ore, la resistenza del piccolo Emirato è sconfitta dalle soverchianti forze iraqene. Seguono, nei mesi successivi, sanzioni ed estenuanti trattative, finchè il 17 Gennaio 1991 inizia l’operazione ‘Desert Storm’, la più imponente (e costosa) azione militare degli USA (e dei suoi alleati) dopo la fine della seconda guerra mondiale. Dopo quasi 25 anni ed una seconda operazione militare, persino più fallimentare della prima, il Medio Oriente continua ad essere estremamente instabile, ma torniamo ancora indietro a quell’estate di fuoco, al 12 Settembre del 1990, nei pressi di Velletri, quando scompare Davide Cervia, un uomo che con tutto questo non ha nulla a che fare. O forse sì...
Già da un po’ di tempo volevo vedere ‘Fuoco amico’, un documentario uscito ormai da diversi anni (più precisamente nel 2014), ma circolato pochissimo, che racconta una storia scarsamente conosciuta, accaduta nel Settembre del 1990, quindi esattamente 24 anni fa nel momento in cui scrivo. E’ una di quelle storie drammatiche e piene di mistero tipiche del nostro paese, nelle quali quando si cerca di capire qualcosa si ha sempre l’impressione di combattere contro i mulini a vento, si tratta della scomparsa, apparentemente senza ragione, di un uomo normale, un padre di famiglia specializzato in elettronica. Ma quest’uomo era stato un tecnico della marina militare, uno specialista di alto livello si scoprirà in seguito, e nonostante fosse in congedo da alcuni anni, probabilmente proprio a questo suo passato si deve la sua scomparsa.
Velletri, 12 Settembre 1990, Davide Cervia è un perito elettronico di 31 anni impiegato presso la Enertecnel Sud di Ariccia, la famiglia lo attende come ogni sera dopo il turno di lavoro, ma lui, dopo essere regolarmente uscito dalla fabbrica alle 17.30, a casa non arriverà mai. Nei giorni successivi gli inquirenti ipotizzeranno frettolosamente un allontanamento volontario nonostante l’uomo, con due figli piccoli, avesse rinunciato ad una importante carriera nella Marina Militare Italiana proprio per stare più vicino alla famiglia.
Arrivarono anche un paio di testimonianze, Mario Cavagnero, un vicino di casa, disse di aver visto giungere l’uomo nei pressi dell’abitazione con la sua Volkswagen Golf bianca, seguito da una vettura di colore verde, dalla quale uscirono 3 uomini, 2 di essi lo aggredirono e portarono via con la forza, il terzo si mise alla guida della Golf bianca seguendo la prima auto. La testimonianza di Cavagnero fu considerata inattendibile perché l’uomo era fortemente miope, nonostante egli, con una certa sicurezza, avesse affermato di aver riconosciuto sia l’auto, sia, soprattutto, la voce di Davide, che chiedeva aiuto.
Eppure questa testimonianza aveva avuto anche una conferma, un autista della Cotral, che gestisce i trasporti pubblici extraurbani laziali, ricorda perfettamente di aver rischiato di scontrarsi con due auto che si immettevano sulla Via Appia. Le due auto viaggiavano a forte velocità ed arrivavano da Via Colle dei Marmi, proprio la strada dove risiedeva la famiglia Cervia, anche il colore delle due auto corrispondeva con quello segnalato da Cavagnero.
Ma per quali motivi la famiglia e gli amici ritennero che l’uomo fosse stato rapito?
Davide, come militare, era in possesso di un nulla osta di sicurezza NATO, nessuno sapeva quindi esattamente quale fosse il suo lavoro se non il suo datore di lavoro, cioè lo Stato Italiano, ed i Servizi Segreti. Sugli estratti dei fogli matricolari di Cervia richiesti dalla moglie e dai suoi avvocati alla Marina Militare il suo ruolo non era mai specificato, oppure era palesemente in contrasto con quanto scritto in un documento rilasciato dall’ente in precedenza, solo dopo una plateale protesta al Ministero della Difesa venne finalmente consegnato alla famiglia il documento corretto, che lo qualificava come ELT/ETE/GE, insomma un elettrotecnico sì, ma esperto di guerra elettronica. Molte cose accaddero da quel momento in poi, tra telefonate e lettere minacciose giunte a Marisa, moglie di Davide, e palesi tentativi di depistaggio.
Un indizio era però inconfutabile, cioè il momento in cui Davide sparì, proprio alla vigilia della Prima Guerra del Golfo. Questo punto, unito alla sua esperienza su sistemi d’arma come l’OTOMAT, venduto a molti paesi, inclusi Iraq e Libia, ai quali non veniva più offerta assistenza a causa dell’embargo, portò a pensare che l’uomo fosse finito lì, si arrivò persino a ipotizzare la sua morte a Bassora, in Iraq, durante un bombardamento. Ma si parlò anche di altri paesi interessati alle conoscenze di Cervia, cioè Somalia, Arabia Saudita, URSS, e si palesò anche una pista interna, risvegliata da una presunta prenotazione di un volo Parigi-Cairo dell’Air France, eseguita, pare, dal Ministero degli Esteri Francese a nome, appunto, Davide Cervia. Il titolo del documentario chiarisce comunque quale sia il pensiero di regista e famiglia della vittima, una responsabilità di Marina Militare o Servizi Segreti Italiani ci deve comunque essere stata, se non altro per la fuga di informazioni sulle competenze di un addetto con compiti così delicati. Le indagini sulla scomparsa di Davide Cervia si sono concluse nel 2000, confermando il rapimento, ma constatando l’impossibilità di trovarne un responsabile, nel 2002 è stata ufficialmente dichiarata la sua presunta morte.
Il documentario, che nel corso degli anni non ha avuto grande visibilità, ma è oggi distribuito dalla Own air di Roma (puoi vederlo qui) attraverso la piattaforma Vimeo, è diretto da Francesco Del Grosso e prodotto da Giulia Piccione. Tecnicamente ineccepibile, soffre però di una certa povertà di mezzi, per cui si basa in gran parte su interviste faccia a faccia con familiari ed amici, con rare immagini in esterno (che a tratti paiono quasi rubate) e pochissime d’epoca. Presumo che non sia stato possibile avere immagini RAI (o da altro operatore televisivo) da integrare nell’opera, ma sarebbe stato interessante almeno ascoltare qualche registrazione delle numerose telefonate ricevute dalla famiglia negli anni (c’è solamente uno spezzone brevissimo e non molto intellegibile proprio all’inizio).
‘Fuoco amico’ resta comunque un’opera che mantiene una luce accesa su un fatto di cronaca assurdo sul quale si ha l’impressione che non ci sia molto da scoprire, ma piuttosto sia lo Stato stesso a non voler dire una verità che sia le autorità militari che governative conoscono molto bene da anni.