MARTYRS
GENERE: horror, horror estremo vm 18, drammatico
ANNO: 2008
PAESE: Francia, Canada
DURATA: 97 minuti
REGIA: Pascal Laugier
CAST: Mylène Jampanoï, Morjana Alaoui, Catherine Bégin, Robert Toupin, Patricia Tulasne, Juliette Gosselin, Xavier Dolan
Martyrs. La piccola Lucie viene segregata e torturata per un anno; grazie ad un caso fortuito riesce a fuggire dalla sua prigione ma a causa dello shock deve trascorrere un periodo di ricovero in un istituto psichiatrico dove diventa amica di un'altra bambina, Anna; Lucie confida alla compagna di stanza di essere continuamente tormentata dalla visione di un essere mostruoso dalle fattezze femminili che la aggredisce, ma non vuole rivelare nulla del periodo passato in mano ai suoi aguzzini.
Quindici anni dopo Lucie suona al campanello di una casa di campagna e stermina uno dopo l’altro i componenti della famiglia che vi abita; poi chiama Anna al telefono e le comunica di aver ritrovato e ucciso coloro che l’avevano rapita; l’amica accorre per aiutarla a disfarsi dei cadaveri, ma le cose finiranno per prendere una piega inaspettata e terribile…
Nei primi anni duemila l’horror francese ha conosciuto una nuova età dell’oro grazie a pellicole come Haute Tension di Alexandre Aja, A L’Interieur di Alexandre Bustillo e Julien Maury, Frontiers di Xavier Gens e Martyrs di Pascal Laugier; quest’utima è probabilmente l’opera più matura e originale del filone, in grado di elevare il genere verso una compiuta dimensione autoriale.
Giunto al suo secondo lungometraggio dopo l’acerbo ma interessante Saint Ange, il regista dà fondo ai propri demoni personali – il film nasce, per sua stessa ammissione, in un periodo di grande sfiducia nei confronti del mondo – e concepisce uno script nettamente diviso in due parti: nella prima, dopo un prologo affidato a filmini di repertorio che introducono la storia delle due protagoniste da bambine, assistiamo ad una sorta di revenge movie intriso principalmente di umori da slasher postmoderno, con riferimenti, in particolare, ad una pellicola come Tenebre (non a caso Dario Argento viene espressamente omaggiato nei titoli di coda); Laugier esplora ogni angolo della location scelta all’uopo – una villa isolata dal design contemporaneo con parco annesso – attraverso movimenti di macchina sinuosi e punti di vista fuori dall’ordinario, gestendo un gioco al massacro lungo ed articolato con notevoli picchi visionari, complici alcune interessanti scelte di fotografia tese a restituire agli ambienti una luminosità marcata ed un montaggio davvero vertiginoso e calcolato al millimetro.
Arrivati a metà, quando l’orgia di sangue, girata allo stato dell’arte ma piuttosto canonica, sembra prendersi una pausa, ecco che Laugier sfodera il colpo di genio con una ripartenza fulminante e imprevedibile, che chiarisce le vicende lasciate in sospeso e ne radicalizza l’assunto in modo anche eminentemente “politico”.
Entra così in scena con prepotenza la “banalità del male”: si dà il caso che, secondo certi “illuminati”, il “popolino” di fronte alla sofferenza sia portato a scivolare nell’alienazione, mentre dovrebbe accoglierla con gioia e trasporto, perchè solo attraverso di essa si può giungere alla conoscenza autentica dei misteri più insondabili; ci sono insomma troppe vittime e troppi pochi martiri a questo mondo…
Pascal Laugier ci illustra come le élites giustifichino ogni loro nefandezza trincerandosi dietro motivazioni “alte”, e rappresenta questa discesa nei meandri oscuri dell’esistenza, incentrata sul perverso rapporto tra dominanti e dominati – questi ultimi ridotti a “cose” alla mercè dei primi – con un’asetticità ed una precisione chirurgica che atterriscono e disturbano; nessuna ironia, nessuna catarsi, nessun ammiccamento allo spettatore sulla scia dei torture porn più sguaiati alla Hostel, solo interminabili minuti di violenza atroce e gratuita perpetrata, a ritmo da catena di montaggio, da borghesi piccoli piccoli – quegli “utili idioti” che hanno sempre fiancheggiato ogni tipo di potere – , nell’attesa di un’epifania che ripaghi gli “iniziati” di tanto zelo…
“Saprebbe immaginare cosa c’è dopo la morte?”
Laugier risponde alla domanda delle domande spiazzandoci per l’ultima volta con una conclusione beffarda, controversa ed aperta alle interpretazioni più disparate; ma ci consegna, soprattutto, uno degli horror più importanti e significativi degli ultimi venti anni.