frenzy
FRENZY
GENERE: thriller
ANNO: 1972
PAESE: Gran Bretagna
DURATA: 116 minuti
Regia di:
Cast principale:
In giro per Londra c'è un pericoloso maniaco che strangola le donne con una cravatta; quando uccide nel suo ufficio la titolare di un'agenzia matrimoniale, Brenda Blaney, i sospetti degli inquirenti convergono sull'ex marito Richard, che ha con lei rapporti piuttosto burrascosi e per di più è stato visto allontanarsi dal luogo del delitto in un orario compatibile; la verità, però, si scoprirà presto, è ben diversa...
Mi unisco con piacere al tributo per l’anniversario della scomparsa di Alfred Hitchcock, uno dei più grandi cineasti mai esistiti, parlando del suo penultimo film, quello che lo ha visto tornare, dopo vent’anni, a lavorare in patria.
Girato in luoghi a lui cari (la zona di Covent Garden, dove il padre aveva un’attività ortofrutticola; i pub dei quartieri popolari; Simpson, il suo ristorante preferito nello Strand), abbinati ad altri caratteristici della Londra più contemporanea come la sede di Scotland Yard e l’hotel Hilton, Frenzy rappresenta una sorta di compendio dell’arte di Alfred Hitchcock ma anche un’opera molto moderna, attraverso la quale il vecchio leone, dall’alto di una classe inarrivabile, sembra voler dare un “buffetto” affettuoso a tutti quei suoi giovani epigoni che pretendevano di superarlo a colpi di efferatezze spesso gratuite, senza capire la vera essenza della sua poetica.
Mutati i tempi, e alzatasi di conseguenza l’asticella del mostrabile su pellicola, il Maestro tiene ben saldi alcuni dei temi fondamentali del proprio cinema, ma al contempo può finalmente portare alla luce quegli elementi di violenza e di morbosità che erano rimasti sempre latenti o sottintesi a causa della censura (questo è, non a caso, anche il suo primo film dove si vede un nudo integrale).
La sceneggiatura, affidata ad Anthony Shaffer (il quale, in seguito, scriverà anche The Wicker Man) – dopo un primo abboccamento, andato a vuoto, nientemeno che con Vladimir Nabokov – e basata sul romanzo di Arthur La Berne “Goodbye Piccadilly, Farewell Leicester Square”, parte dal classico assunto dell’innocente incastrato da una macchina poliziesca e giudiziaria tanto ottusa quanto implacabile e costretto a varie peripezie per dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Alfred Hitchcock, a parte rari casi, ha sempre privilegiato il meccanismo della suspense rispetto a quello del giallo classico (con il colpevole celato sino all’ultimo) e anche in questo caso non fa eccezione, mettendo subito in chiaro l’identità dell’assassino e immergendo così i suoi personaggi (e, di conseguenza, noi spettatori, che veniamo resi edotti di particolari a loro sconosciuti) dentro un inesorabile labirinto di incastri e coincidenze.
Bisogna fare un inciso per parlare di un casting che risulta anomalo rispetto allo standard abituale: il regista, abbandonate le star hollywoodiane alla James Stewart o Cary Grant, sceglie, per interpretare i due antagonisti principali, il semisconosciuto caratterista Barry Foster e Jon Finch – volto notodella tv negli anni sessanta e che al cinema si era fatto notare l’anno precedente come protagonista del Macbeth di Roman Polanski.
I due, preferiti proprio perchè lontani da una certa iconicità divistica, si calano in questo incubo ad occhi aperti con grande naturalezza, consentendo ad Hitchcock di portare beffardamente lo spettatore ad empatizzare col feroce serial killer Bob Rusk, tratteggiato come un tipo fascinoso, brillante e insospettabile manipolatore (con chiari riferimenti a Psycho per quanto riguarda la sua follia edipica), piuttosto che con il perseguitato Richard Blaney, ex pilota della RAF collerico, incline alla bottiglia e decisamente odioso.
Sul versante femminile, poi, abbiamo forse la svolta più radicale: relegate definitivamente al passato le bionde algide selezionate con la cura del pigmalione (e con le quali, a sentire varie testimonianze, instaurava sovente rapporti più che ambigui…), il Maestro opta per una serie di attrici di teatro esteticamente piuttosto ordinarie (la più famosa delle quali è forse Anna Massey), anche in virtù del fatto che il film non annovera una vera e propria protagonista; nonostante ciò, però, in Frenzy non manca (anzi, se vogliamo, è ancora più accentuata…) quella sottile vena di misoginia che ha sempre rappresentato un suo preciso tratto distintivo (anche nella vita privata, a quanto pare…), esplicitata sia in modo leggero (l’agenzia matrimoniale gestita da una divorziata; l’uomo che viene tiranneggiato dalla donna; le battute salaci sulla compulsione per l’abbigliamento) sia più brutale (il sadico compiacimento col quale filma due straordinarie sequenze: il primo omicidio, con la camera che gira intorno al collo della vittima seguendo il movimento della cravatta, e indugiando poi sul primo piano della poveretta rimasta con un’espressione oscena – ripresa pari pari da alcune foto di delitti reali consultate da Hitch negli archivi della polizia…; il momento nel quale il killer, per recuperare un oggetto che lo potrebbe far identificare rimasto nel pugno chiuso di un cadavere, è costretto ad imbarcarsi sopra un camion che trasporta patate e a compiere, tra una montagna di tuberi e col mezzo in movimento, una macabra operazione illustrata con dovizia di particolari, sonoro compreso…).
Alfred Hitchcock però, da fuoriclasse qual è, dimostra di saper inquietare anche non mostrando, come si evince da un altro celebre pezzo di grandezza registica: il maniaco sta per compiere un altro omicidio nel suo appartamento e la camera lascia lui e la giovane nel silenzio completo compiendo in piano sequenza il percorso a ritroso lungo le scale sino ad approdare in strada dove si tornano a sentire i rumori del traffico…
Va detto che Frenzy, pur essendo, come già sottolineato, il film più “esplicito” del regista londinese, è però attraversato da un marcato sottostesto ironico e da alcune note di costume che rimangono piuttosto attuali: oltre alle già citate allusioni sulla vita di coppia (che, sembra maliziosamente suggerire Hitchcock, è letteralmente impossibile, qualunque disposizione mentale tu possa avere: difatti non è soltanto il serial killer, ma anche l’uomo normale a toccare con mano problemi insormontabili con le donne…), vanno ricordati gli accenni alla curiosità malsana del pubblico nei confronti dei casi di cronaca nera (nei pub si sentono azzimati professionisti della City che dissertano sui particolari sconci del modus operandi dell’omicida…) nonché i siparietti nei quali l’ispettore che indaga sul caso è costretto a fare da cavia per disgustose pietanze francesi dai nomi improbabili preparate dalla moglie che frequenta un corso di cucina (il cibo, notoriamente un’altra delle ossessioni di Hitchcock, è usato nella pellicola come contraltare del crimine).
Concludendo, se c’è un film del maestro del brivido che andrebbe sottratto ad un ingiusto oblio e ad una sottovalutazione ancor più immeritata per essere pienamente ammesso nel pantheon dei suoi capolavori questo è sicuramente Frenzy (e so di trovare concorde l’amico Hannibal); speriamo che ciò possa accadere anche grazie al nostro piccolo contributo.