SPEAK NO EVIL

SPEAK NO EVIL

Speak no evil i cinenauti recensioni film serie tv cinema

GENERE:         horror

ANNO:             2022

PAESE:            Danimarca, Paesi Bassi

DURATA:         97 minuti

REGIA:            Christian Tafdrup

CAST:              Fedja Van Huet, Hichem Yacoubi, Lea Baastrup Rønne, Sieger Sloot, Morten Burian

Arguta riflessione sull'esercizio del potere attraverso determinate dinamiche culturali mascherata da storia di orrore familiare, Speak No Evil del regista danese Christian Tafdrup si insinua sottopelle per poi picchiare duro in una parte finale da cuori forti.

Bjørn e Louise, due coniugi danesi, sono in vacanza in Toscana insieme alla loro figlioletta Agnes; durante il soggiorno fanno la conoscenza di una famiglia di olandesi composta da Patrick, Karin e il loro bambino Abel – il quale ha problemi a comunicare causati da una malformazione alla lingua -, con la quale trascorrono molte ore piacevoli. Qualche tempo dopo Bjørn e Louise ricevono un invito da parte dei nuovi amici a trascorrere un weekend nella loro casa in Olanda; dapprima un po’ titubanti, decidono infine di accettare: non sanno che stanno per entrare in un incubo ad occhi aperti.

“Perchè ci fate questo? Perchè ce lo avete permesso”: sta tutto in questo agghiacciante botta e risposta il senso ultimo del lavoro del quarantaseienne danese Christan Tafdrup, già distintosi in passato con un paio di opere capaci di vivisezionare senza troppi riguardi le sovrastrutture alle quali siamo tutti irrimediabilmente avvinti (indagando in particolare le dinamiche familiari in Parents del 2016 e quelle di coppia in A Horrible Woman del 2017).
Speak No Evil è un film potentemente disturbante perchè guardandolo abbiamo la netta sensazione, minuto dopo minuto, che non ci stia parlando, con quel suo linguaggio fatto di sguardi mutevoli e momenti dissonanti (nei quali le musiche, usate spesso in opposizione al mood apparente della sequenza commentata, giocano una parte fondamentale), gestito con la sagacia registica di chi sa restituire un certo tipo di tensione che concerne il quotidiano – e quindi molto più angosciante rispetto all’introduzione di elementi fantastici o del grand guignol fine a se stesso -, soltanto come spettatori generici di cinema, ma, ad un livello più profondo, proprio in quanto individui ormai imbevuti di un certo tipo di cultura afferente alla cosiddetta “società aperta” di popperiana memoria (di cui in Europa i paesi del nord sono additati a modello).

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Ecco allora che, partendo da una dicotomia affine a quella freudiana tra Super-io (gli educati e razionali Bjørn e Louise) ed Es (gli eccentrici e disinibiti Patrick e Karin), Tafdrup riflette sul lato oscuro di questa prassi, evidenziando ad esempio come il propugnare pervicacemente e in ogni ambito (sino a sostanzialmente imporla) la cosiddetta “correttezza politica” sia in ultima analisi strumentale ad un dominio sui corpi e sulle anime delle persone che può assumere aspetti soft e a prima vista poco intelleggibili ma anche debordare in una conculcazione di diritti fondamentali e financo nella coercizione violenta, sia in ambito privato che pubblico (Patrick e Karin rappresentano i potenziali mostri della porta accanto ma anche, più in astratto, quell’anarchia del potere così magistralmente tratteggiata da Pier Paolo Pasolini in Salò – al quale rimanda un finale di una cattiveria inusitata sia a livello concettuale che visivo -); un’impalcatura, sembra dirci l’autore danese, che ha bisogno di essere edificata a monte, ossia soffocando letteralmente sin dall’infanzia ogni tentativo di espressione autonoma (ai bambini viene tagliata la lingua, in una chiara metafora di tutto questo, e a fare il lavoro sporco c’è un immigrato “babysitter” – inserto che, lungi dall’assumere connotati razzisti, riflette anzi in chiave iperbolica sulla funzione che il capitale riserva al cosiddetto “esercito industriale di riserva” -; Tafdrup poi, a proposito della genitorialità, mette in campo l’idea della “sostituzione”, ossia dell’appropriazione in luogo della procreazione, evocando in filigrana certe discutibili pratiche adottive e forse anche rigurgiti di eugenetica non più tanto nascosti…).

Speak No Evil – che proprio in questo assunto di base è sicuramente debitore del J-horror (ad esempio di un’opera come il già recensito Creepy di Kiyoshi Kurosawa), mentre, se parliamo di suggestione generale, non possiamo che considerarlo anch’esso figlio di un caposaldo come Non Aprite Quella Porta di Tobe Hooper -, inquieta perchè sprona a chiederci quanti “no” sacrosanti abbiamo omesso di pronunciare nella nostra vita per conformismo, per ignavia, per un malinteso senso di tolleranza o magari del dovere nei confronti di una qualsivoglia autorità, e altresì ci pone di fronte al fatto che questa forma di autocensura, ormai largamente introiettata nella nostra contemporaneità, se da una parte rappresenta paradossalmente una sorta di “comfort zone” – perchè è molto più rassicurante seguire la corrente che stare in un angolo a combattere contro i mulini a vento per far valere le proprie ragioni, venendo magari etichettati come individui ignoranti, strambi o addirittura pericolosi -, dall’altra però contribuisce a farci diventare vittime di noi stessi e, di conseguenza, della protervia degli altri e di quella del sistema, producendo alla lunga un ovvio squilibrio psicofisico (si veda lo sfogo di Bjørn); così l’ansia per il tempo che sembra sfuggirci di mano mentre viviamo esistenze sempre più votate all’obbedienza e perciò omologate e prive di senso si materializza nella figura allegorica di un bianconiglio (il pupazzetto/coperta di Linus di Agnes) che ci indica però una strada senza uscita.

Se l’horror (definizione che qui va presa un po’ in senso lato) è da sempre il genere politico per eccellenza, in Speak No Evil ne troviamo una dimostrazione plastica e davvero convincente sia nella forma che in un contenuto pregno di interessanti sottotesti.

Anton Chigurh

Mi chiamo Mattia, alias Anton Chigurh, classe 1975, ho fatto studi classici e sono orgogliosamente spezzino; cosa chiedo ad un film o ad una serie tv? Di farmi riflettere, di inquietarmi, di lasciarmi a bocca aperta, di divertirmi... Per sapere dove trovo tutto questo, leggete le mie recensioni su I Cinenauti!