EYES WIDE SHUT
EYES WIDE SHUT
GENERE: drammatico
ANNO: 1999
PAESE: USA, Gran Bretagna
DURATA: 160 minuti
REGIA: Stanley Kubrick
CAST: Nicole Kidman, Tom Cruise, Madison Eginton, Jackie Sawris, Sydney Pollack, Peter Benson
Eyes Wide Shut. Siamo in prossimità del Natale: i coniugi newyorkesi Bill ed Alice Harford si recano ad una festa nella lussuosa dimora dell’uomo d’affari Victor Ziegler, loro vecchio amico; mentre Alice viene corteggiata da un maturo e misterioso ungherese, Bill a sua volta si trova a dover rintuzzare le avances di due giovani fanciulle piuttosto discinte; ad un tratto l’uomo, che è un medico, viene pregato di recarsi al piano di sopra poichè una prostituta che si stava intrattenendo con Victor ha accusato un’overdose; fatta riprendere la ragazza e assicurato al padrone di casa il silenzio sull’accaduto, Bill si ricongiunge con la moglie.
La sera seguente, mentre si rilassano fumando uno spinello, Bill ed Alice cominciano a parlare delle occasioni di tradimento avute al party, e il discorso sul loro rapporto si fa sempre più tortuoso; la donna confessa al marito che, durante una vacanza al mare dell’anno precedente, si era invaghita di un ufficiale di marina e aveva fantasticato di fare sesso e di scappare con lui; Bill rimane turbato e quando è costretto ad uscire per recarsi a casa di un suo paziente appena deceduto ripensa ossessivamente a quanto ha appena ascoltato; ma la notte gli riserverà ancora molte sorprese.
ll progetto di adattare per il cinema il romanzo “Doppio Sogno” dello scrittore austriaco Arthur Shnitzler risale addirittura ai tempi dell’uscita di Arancia Meccanica; Kubrick riesce infine ad avviare la produzione alle soglie del nuovo millennio, sposta l’ambientazione dalla Vienna degli anni venti alla New York contemporanea e mantiene intatto l’impianto fortemente intimista del materiale di partenza (quel “monologo interiore”, incentrato sulla crisi dell’individuo borghese soprattutto in ambito familiare, che è un tratto distintivo e innovativo della poetica di Shnitzler, in uno scambio fecondo col coevo padre della psicanalisi Sigmund Freud) ampliandone però lo spettro di possibili letture ad ambiti che toccano le più arcane dinamiche di potere del mondo occidentale.
I nostri occhi sono spalancati, ma davvero vediamo e riusciamo a capire ciò che ci circonda?
Bisogna forse tornare al “mito della caverna” di Platone per comprendere sino in fondo un film come Eyes Wide Shut, enigmatico sin dal gioco di parole racchiuso nel suo titolo.
Siamo immersi nella “società dello spettacolo” fatta di lustrini ed apparenza – lo star system come “arma di distrazione” per le masse, le droghe e le pulsioni erotiche come motore e catalizzatore – i cui rapporti di forza sono basati sul denaro e sull’inclusione/esclusione nel novero di coloro che possono decidere per tutti gli altri: il Maestro ce lo dice forte e chiaro già nel momento in cui prende a bordo come protagonisti Tom Cruise e Nicole Kidman, divi del momento e coppia “glamour” anche nella vita, nonché adepti di quella setta oscura chiamata Scientology (la Kidman, poco tempo dopo, si libererà in un colpo solo da entrambi i vincoli – quello matrimoniale e quello pseudo-religioso – sparando a palle incatenate su tutto quell’“universo” malsano…); e non dimentichiamo che la prima scelta nel ruolo di Bill pare fosse nientepopodimeno che Woody Allen, appena travolto dallo scandalo per il matrimonio con la figlia adottiva Soon-Yi…
Ci sono due momenti “conviviali” in Eyes Wide Shut, e scopriremo che hanno diversi partecipanti in comune: nel primo gli astanti sono a viso scoperto, li vediamo immersi nella luce, sembrano rappresentare una sorta di “aristocrazia” sì viziata, ma in fondo bonaria ed interclassista; eppure è come se fossero mascherati, perchè non palesano la loro natura autentica.
Alice e Bill, belli, agiati, con una figlia adorabile, sono ben accetti in questo contesto, a patto però che si fermino alla superficie; in loro, e in ciò che li circonda, c’è qualcosa di evidentemente “falso”, come si evince anche dalla recitazione “artificiosa” con cui i due attori li interpretano (qualche malizioso potrebbe sottolineare come Cruise e la Kidman – in special modo il buon Tom – non siano prorio mostri sacri, ma qui la cosa è palesemente voluta, perchè conoscendo la maniacalità del regista possiamo stare certi che ciò che vediamo sullo schermo è esattamente ciò che lui ha voluto mostrare…), perchè agli occhi di Kubrick sono due ipocriti con le fisime tipiche del loro “status” – quell’anelito di trasgressione simboleggiato dalla marijuana e dal vagheggiamento di avventure extraconiugali, subito ricondotto entro i binari del perbenismo – ; la seconda “festa” (un lungo segmento di una potenza visiva e simbolica dirompente) rappresenta invece il culmine di un “viaggio al termine della notte” per giungere laddove “finisce l’arcobaleno” – metafora che sta ad indicare il “luogo” nel quale le cose si manifestano per ciò che realmente sono -, le cui tappe vengono scandite dalla plastica rappresentazione delle implicazioni tra sesso e potere a tutti i livelli della scala sociale (un coacervo che comprende prostituzione di strada, pedofilia – con l’“aggiornamento” di “Lolita” nel personaggio della figlia del venditore di costumi – , escort di lusso, sino alle orge rituali delle più alte consorterie segrete – “navigando” sul web si possono trovare interessanti analisi sui simboli massonici disseminati dal regista lungo tutta la pellicola – ); qui invece sono tutti mascherati, ma paradossalmente è quello il loro vero volto: caduto il velo di Maya, Bill ora è nudo e in un vicolo cieco.
“Una finta, una sciarada”, minimizza Ziegler nel ruolo del “deus ex machina” (e non a caso è interpretato da un grande regista come Sidney Pollack); “Quale sciarada finisce con qualcuno che muore davvero?”, ribatte il medico: insomma, o stai al gioco di “burattinai” senza scrupoli, oppure diventi un semplice “effetto collaterale” da consegnare alle statistiche (“Era una drogata, succede ogni giorno e la vita continua, sino a quando non continua più”…).
Meglio la cattiveria liberamente scelta o la bontà imposta dal sistema con la coercizione? Kubrick si era posto la domanda con Arancia Meccanica, salvo poi spaventarsi per la risposta (fu indotto a ritirare il film dalle sale inglesi a causa delle minacce ricevute); qui rilancia e, se vogliamo, la sua visione delle cose appare ancor più intrisa di pessimismo (quella scintilla “distruttrice”, che poteva avere anche una valenza positiva nel mettere in risalto le contraddizioni di una società “ingessata” e opprimente, si è ormai sopita: i Drughi in Eyes Wide Shut sono diventati quattro bulletti capaci soltanto di dileggiare Bill per le sue presunte inclinazioni sessuali…): chi di noi è davvero disposto a mettere in discussione lo status quo e ad andare sino in fondo nella ricerca della verità, magari col rischio di pagare un prezzo altissimo?
Non siamo forse ormai tutti adagiati in un “torpore” conformista dal quale diventerà sempre più
difficile risvegliarsi? E quel finale così ambiguo e sardonico, rivelatosi poi l’ultimo sberleffo di una carriera titanica, non fa altro che ribadire il concetto: certo, da un lato sembra ricomporre un’armonia su basi anche più ancestrali (lo “scopare” come atto catartico e insieme pregno di una vitalità primordiale), ma fondamentalmente ha il sapore del ritorno dentro una “comfort zone” ovattata da parte di chi si è avvicinato troppo al fuoco e ha deciso che, in fondo, i privilegi del suo censo gli bastano e avanzano senza doversi fare troppe domande.
Stanley Kubrick è morto improvvisamente cinque giorni dopo aver completato il montaggio del film, senza poter vedere quel 2001 evocato nel suo più grande capolavoro, ma lasciandoci, oltre ad alcune teorie “complottistiche” sulla dipartita e infinite discussioni riguardo al fatto che quella uscita nelle sale possa essere considerata o meno la “sua” versione definitiva – si sono rincorsi negli anni vari “rumors” mai confermati su un intervento postumo di Steven Spielberg – l’ennesima inquietante e profetica lezione di Cinema.