STAND BY ME (RICORDO DI UN’ESTATE)
GENERE: avventurra, drammatico
ANNO: 1986
PAESE: USA
DURATA: 89 minuti
REGIA: Rob Reiner
CAST: River Phoenix, Wil Wheaton, Corey Feldman, Kiefer Sutherland, Richard Dreyfuss
Questa non vuole essere una vera e propria recensione, ma piuttosto una dichiarazione d’amore ad un film di cui sono follemente innamorata. Tratto da uno dei racconti (a mio parere) più intimi di Stephen King, e diretto da Rob Reiner (che nel 1990 dirigerà “Misery non deve morire”), “Stand by me” narra il viaggio di quattro ragazzini di Castel Rock alla ricerca di un cadavere. Il viaggio usato come metafora del passaggio dei ragazzi dall’infanzia alla vita adulta. Uno dei migliori film tratti da racconti di King, è disponibile su Prime e Netflix.
We'd Only Been Gone For Two Days But Somehow The Town Seemed Different, Smaller
Stephen King è un autore che o si ama o si odia. Non esistono zone grigie.
Personalmente, posso dire di essere QUASI la fan numero uno, tanto ho letto e riletto i suoi romanzi. Di “Stand by me” ne ho un ricordo differente, perché vidi il film che ero piccolissima: nove, massimo dieci anni. Visto e rivisto su una VHS sul quale era stato registrato (si, negli anni ‘90 si registravano i film, facendo attenzione ad essere abbastanza veloci da premere stop/play a inizio/fine pubblicità). In questo caso, quindi, il film venne molto prima di leggere il libro.
O meglio il racconto, tratto dalla raccolta “Stagioni diverse” e prende il nome di “The body”.
Gordie Lachance, oramai adulto e divenato uno scrittore affermato, apprende dal giornale dell’assassinio del suo amico d’infanzia Chris. Da qui inizia un lungo Flashback. Gordie ripensa all’avventura che ebbero lui, Chris, Teddy e Vern nell’estate del 1959. Da tre giorni è scomparso da Castle Rock un ragazzo, Roy Browes. Presumibilmente morto, non è ancora stato rinvenuto il cadavere. Vern, origliando una discussione di suo fratello con un amico, scopre il luogo in cui si trova il corpo del ragazzo. Una volta raccontato agli amici, decidono di partire tutti e quattro alla ricerca.
Everybody's Weird.
Stand By Me ha caratterizzato la mia (e non solo, immagino) infanzia e preadolescenza. A differenza di altri film tratti dai suoi romanzi, questo ne mantiene completamente l’essenza e il sapore Kinghiano, benché vi siano cose che differiscono dal libro. Chi legge King, sa quanto sia abile nel tracciare il profilo psicologico dei protagonisti in quattro parole e questa peculiarità è stata perfettamente mantenuta nella trasposizione cinematografica. A conti fatti, il film dura poco più di un’ora, ma riesce a trasmetterci tutta l’emotività dei personaggi. Gordie, Chris, Verne e Teddy sono ragazzini che potremmo definire “sfigati” , non popolari, emarginati. Weirds (strani) appunto. Gordie arriva da una famiglia piuttosto benestante. Ha la passione per i racconti, soprattutto quelli dell’orrore. Il rapporto con i genitori (specialmente con il padre) si è fatto freddo e distante da quando suo fratello maggiore è morto. Chris è un ragazzino molto intelligente e genuinamente buono. La sua famiglia è disagiata. Il padre è un violento, con precedenti penali e per questo Chris viene visto da compagni e maestre come un poco di buono. Teddy è quello stravagante del gruppo. Ha una vera e propria adorazione per il padre che ha partecipato allo sbarco in Normandia; a causa dello stress post traumatico, in un impeto di rabbia, brucia l’orecchio del figlio poggiandolo su una stufa. Infine abbiamo Vern, logorroico e pauroso, il più immaturo del gruppo, viene bullizzato da un fratello più grande.
Sebbene arrivino da famiglie con dinamiche differenti, sono comunque accomunati dalla difficoltà a capire chi sono, a scrollarsi di dosso le etichette appuntate da una società accecata dal pregiudizio e a trovare il loro posto nel mondo. Il viaggio alla ricerca del corpo darà loro (per Gordie e Chris soprattutto) modo di sfogarsi e urlare le proprie paure, le delusioni e i loro dolori. Il ritrovamento del corpo del ragazzo mette i quattro di fronte alla realtà della morte. Forse è anche quando si è davanti alla presa di coscienza di essa che si diventa grandi. Tornati a casa, non sono più quelli di prima. Sanno che quella è stata la loro ultima estate come bambini, passata insieme.
I Never Had Any Friends Later On Like The Ones I Had When I Was Twelve. Jesus, Does Anyone?
Gordi Lachance
È evidente che il tema centrale del film sia il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Quel momento in cui quella magia che ci accompagna quando siamo piccoli, svanisce. Quando lo guardavo da bambina, mi lasciava sempre un po’ di malinconia, di tristezza, ma non ne afferravo la causa. Riguardandolo ora, che ho suppergiù l’età di Gordie scrittore, tutto si fa più chiaro. La malinconia si trasforma in nostalgia. La stessa che prova lui all’inizio del film.
Nostalgia e amicizia diventano i leitmotiv del film ( tanto quanto le note iniziali della canzone “Stand by me” di Ben E. King). L’amicizia, come quella che ritroviamo in IT. Quella che si ha quando si è ragazzini e che ti aiuta a diventare grande. Quella per cui credi di essere invincibile, e ti da il coraggio per affrontare il mondo. Quella che crediamo durerà per sempre.
Poi, si diventa pian piano adulti, ognuno prende il proprio destino e si finisce per diventare l’uno il ricordo dell’altro (come forse preannunciato nel titolo).
Le cose più importanti sono le più difficili da dire. Sono quelle di cui ci si vergogna. [..] Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto.
Tratto dal racconto “The body”, S. King
Prima ho detto che secondo me questo è il suo racconto più intimo. Penso che Stand By Me sia stato scritto da Stephen King scrittore per Stephen King bambino. Gordie Lachance infatti non è altro che lui, Stephen King. È palese. Proprio come, qualche anno più tardi, lo sarà Paul Sheldon.
Il rapporto problematico con il padre è un altro elemento in comune.
La scena del treno ( una delle più famose) è ispirata da un fatto realmente accaduto, risalente a quando King aveva quattro anni all’incirca. Mentre lui e un suo amichetto giocavano a ridosso dei binari, quest’ultimo venne investito dal treno. King ne rimase del tutto scioccato, tanto da dimenticare l’accaduto per molti anni. Alla fine del racconto lo troviamo a riflettere su sé stesso. Scrittore di successo, non amato particolarmente dai critici, ma che alla fine poco gli importa (lo stesso King per molti anni è stato ampiamente sottovalutato, in quanto l’horror non era considerato un genere “nobile”).
Gordie ha realizzato il suo sogno.
Friends don't lie
“Stranger Things”, 2016
Stand by Me, per noi Millennials, è un must, come lo sono. E.T. o Jurassic Park. Non conosco nessuno della mia generazione che non l’abbia visto. A volte penso che storie così, semplici e potenti allo stesso tempo, non ne facciano più. Perché non ne siamo più capaci. Poi però succede qualcosa di inaspettato.
Nel 2016, i Duffer’s Brothers Matte e Ross (classe 1984) ideano una loro storia. Ne fanno una serie che diventa subito manifesto di un’intera generazione, cresciuta a pane e fantasy: “Stranger things”.
L’influenza che ha avuto il Maestro dell’orrore sui due fratelli è lampante.
Si evince già dalla sigla, perché quelle due parole rosse stampate sullo schermo tanto ricordano il nome dell’autore che appare in copertina.
E poi c’è il riferimento a Stand By Me.
L’amicizia come perno della storia e i quattro piccoli protagonisti che sembrano usciti dalla penna di King. I due fratelli, durante i casting, fecero recitare agli attori estratti del copione di Stand By Me. Successivamente, dedicano un’intera puntata al film: The body (ovviamente), la quarta della prima stagione.
E troviamo la stessa intensità emotiva: Eleven scopre che gli amici si sostengono a vicenda, che possono sbagliare ma l’importante è essere sinceri gli uni con gli altri.
“Friends don’t lie”.
“Gli amici non mentono”.
Adoro Stranger Things. Ha la capacità di farmi tornare bambina e il mondo aveva ancora quel velo di magia e stupore. La serie riesce per 4 stagioni ad emozionare sinceramente il pubblico. Di ieri e di oggi. Per riuscirci, i due fratelli Duffer non hanno fatto che guardare al passato che tanto ci ha lasciato in eredità.
Così, come farebbe Gordie, vi dico che non ho mai più visto film come quelli che vedevo quando avevo dieci anni. E, dio, chi ne ha ancora visti così. Sono trascorsi quasi quarant’anni dall’uscita di Stand By Me nelle sale. E circa trenta da quando lo vidi la prima volta.
La sua forza è uguale a quella di allora.
Long live the King.