In questi giorni ci ha lasciato un grande "occhio" dello scorso secolo, William Klein, fotografo che ammiro e continua fonte di ispirazione per chi, come me, si alimenta quotidianamente di fotografia. Uno di quelli che hanno fatto la "rivoluzione dell'immagine", che ha rotto gli schemi e ha saputo creare un qualcosa di nuovo. Ve lo racconto in questa breve monografia
“La mia parola d’ordine realizzando ‘New York’ era: anything goes. Mi va ancora bene, persino oggi. Niente regole, niente divieti, niente limiti”.
William Klein
Cenni biografici.
William Klein, nato nel 1928 a New York da famiglia ebrea, è senza dubbio uno degli artisti più eclettici, influenti ed innovatori dal dopoguerra ad oggi.
È stato scultore, pittore, fotografo e anche regista con più di 20 film all’attivo.
Il suo anti-conformismo caratterizzante gli è valso il soprannome di anti-fotografo (“Per me, fare una fotografia era fare un anti-fotografia”).
Amante dell’arte fin da ragazzino (il MoMa è la sua seconda casa), studia pittura alla Sorbona di Parigi finché non si innamora della fotografia che, inizialmente, è solo un mezzo di rappresentazione astratta ma poi diviene uno strumento molto efficace per rappresentare il mondo reale.
Il 1954 è un anno molto importante per William, oramai il suo nome inizia a circolare nell’ambiente e viene contattato dall’allora direttore di Vogue, Alexander Liberman, che gli offre un lavoro come fotografo di moda. Alla domanda su cosa volesse fare, Klein risponde che avrebbe voluto ritrarre New York con la sua macchina fotografica come ancora non lo aveva fatto nessuno. Il progetto viene finanziato.
Il reporter si tuffa allora nella sua città natale, ma dalla quale è stato lontano per molti anni, con una prospettiva a metà strada tra chi vi era nato e chi la vedeva e viveva per la prima volta. Gli abitanti di New York sono come una specie vivente mai vista prima che va studiata e documentata. Le fotografie sono lame taglienti e folli, frenetiche e deliranti.Dopo New York nuovi viaggi in nuove metropoli e altri racconti di anime di città: Roma, Parigi, Mosca, Tokyo…
A metà degli anni ’50, quelli del boom economico e della Dolce Vita romana, il fotografo si trasferisce nella Capitale ingaggiato da Fellini per il ruolo di aiuto regista per “Le Notti di Cabiria”. Da questo soggiorno nasce una delle sue opere fotografiche migliori, Roma+Klein, un ritratto impeccabile della Roma dell’epoca e dei suoi abitanti.
Nel 1961 Klein trascura la fotografia per dedicarsi al mondo del cinema, dove è molto prolifico. Porta la sua firma il primo documentario su Muhammad Ali’ (1969). Per citare i titoli più famosi “Who are you, Polly Magoo?, “Mr. Freedom” e “The Model Couple”.
Negli anni 80 riprende in mano la macchina fotografica e tornano alla luce anche molti scatti della giovinezza.
Il fotografo.
In un periodo storico in cui l’accuratezza e l’armonia dello stile di Henri Cartier-Bresson dettava legge, William Klein stravolge tutto, prende e ribalta ogni regola tecnica e ogni canone consolidato di oggettività.
Deciso a dimostrare che la medesima macchina fotografica, usata con mentalità diversa, può dare risultati opposti acquista direttamente da HCB la Leica, fedele compagna del fotografo francese.
Il suo stile è unico: non si tratta di fotografie pulite, nitide e stilisticamente perfette e quindi ossessionate dalla tecnica, ma di immagini grezze, spesso volutamente sfocate e sgranate. Non impiega un obiettivo da 50 mm perché mantiene troppo le distanze, ma uno da 28 mm per addentrarsi ancor di più nella vita che sta scorrendo davanti alla sua pellicola. Un grandangolo che con le sue distorsioni e le sue aberrazioni dona una vitalità, un movimento e un coinvolgimento che ti sembra di essere li.
Quello che per tutti è un’errore in fotografia, lui lo tramuta in un valore aggiunto e così, ciò che era un taglio mal fatto o una composizione improbabile o una foto mossa, si trasforma in un frammento di vita che ti appassiona e ti stravolge, un nuovo modo di scrivere con la luce.
D’altronde, la vita non è perfetta: è caos, precarietà e ferocia. Non è Cartesio ma Nietzsche, non è Raffaello ma Caravaggio. Quindi se la vita è imperfezione, che senso ha ritrarla con una fotografia impeccabile?
“Mi piacciono le foto di Cartier-Bresson, ma non mi piace il suo insieme di regole. Così le ho invertite. Penso che la sua visione della fotografia, che deve essere obiettiva, sia una sciocchezza“.
William Klein