Arrivano i favolosi anni sessanta con una prepotente crescita economica che traina anche il nostro cinema sul tetto del mondo: la “macchina” produttiva – composta da solidi artigiani ai quali si affiancano alcuni geni rimasti nella storia della settima arte – funziona a pieno regime, tanto che Cinecittà diventa la “Hollywood sul Tevere”, meta di divi americani affascinati dalla “Dolce Vita” romana; tra i tanti generi si afferma anche quello della commedia a episodi, la cui vetta insuperata rimane I MOSTRI (1963) del grandissimo Dino Risi: il calcio non poteva mancare all’appello dentro una satira di costume così caustica e sfaccettata, e difatti troviamo – nel segmento intitolato “Che Vitaccia!” – l’istrionico Vittorio Gassman baraccato ed indigente che invece di cercare di provvedere al figlioletto malato spende gli ultimi soldi per andare allo stadio a tifare la Roma…
Un Lucio Fulci alle prime armi (qualche lustro dopo innoverà da par suo l’horror) sforna due pellicole su questa falsariga, naturalmente di livello inferiore ma abbastanza piacevoli; la prima, GLI IMBROGLIONI del 1963, ricicla il soggetto, scritto dallo stesso regista, del precedente Un Giorno In Pretura: uno dei casi riguarda il presidente del Bologna (Raimondo Vianello – nella vita notoriamente grande appassionato di calcio nonché praticante a livello dilettantistico – che gigioneggia scandendo un caricaturale accento emiliano) il quale – mentre tenta di respingere l’“assalto” del direttore sportivo della Roma che sta disperatamente cercando di rifilargli un giocatore mezzo infortunato per una cifra spropositata – comincia a fare sogni erotici su una ragazza che vede passare dalla finestra del suo ufficio; la procace fanciulla, però, è sposata proprio col summenzionato direttore, che non potrà tollerare a lungo la situazione equivoca…Segue poi la querelle tra il dottor Mario Corti (Walter Chiari) e la fidanzata Liliana Ferri (Luciana Gilli), fidanzati in lite per i loro reciproci comportamenti sopra le righe: resta impagabile la scena di un corteo funebre dove Chiari inizia a seguire per radio la partita Italia-Inghilterra trascinando pian piano intorno a sé tutti gli altri uomini presenti; al gol della nostra Nazionale il gruppo prorompe in un’accesa esultanza, alla quale partecipa persino il cocchiere che lancia il carro in una corsa sfrenata…
Nel secondo episodio de I MANIACI (1964), “Lo Sport”, ritroviamo Vianello stavolta nei panni di un inflessibile capoufficio il quale allo stadio si trasforma in accanito tifoso: mal gliene incoglie, poiché in conseguenza di un calcio di rigore sbagliato da Mazzola (le immagini reali si riferiscono alla partita Italia-Urss del novembre 1963 valida per le qualificazioni europee dove il giocatore dell’Inter si fece parare il tiro dal leggendario “Ragno Nero” Lev Jashin) perde una scommessa ed è così costretto a far prostituire la moglie (interpretata dall’icona dell’horror Barbara Steele) per una sera; in più, mentre staziona sul Lungotevere, la donna viene abbordata da un suo sottoposto (Franco Fabrizi), il quale, una volta resosi conto della fortunata circostanza, non esita a ricattarlo per avere totale libertà sul posto di lavoro…
Sempre Risi dirige nel 1966 OPERAZIONE SAN GENNARO, una sorta di riproposizione de I Soliti Ignoti (anche qui Totò svolge il ruolo di “consulente”) che cala l’heist-movie all’americana nel contesto folcloristico partenopeo; in una sequenza nella quale il protagonista Nino Manfredi viene raggiunto da un complice dentro uno stadio San Paolo in piena “ebollizione” si omaggia, utilizzando le immagini di una partita contro l’Inter, quell’Omar Sivori che per la città ha rappresentato un vero e proprio Maradona ante-litteram.
Nel decennio successivo il calcio al cinema continua ad essere trattato perlopiù in maniera “leggera”, anche se qua e là si cominciano a scorgere altre angolazioni più aderenti ad un contesto sociale sempre più pregno di turbolenze ed inquietudini.
La coppia di comici siciliani Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, già reduce da una carriera variegata e di grande successo popolare, è protagonista de I DUE MAGHI DEL PALLONE (1970); sceneggiato da un solido professionista come Roberto Gianviti (autore, tra gli altri, di molti script proprio per Lucio Fulci) e diretto da Mariano Laurenti, il film segue il solito schema un po’ a sketches, satireggiando in modo indulgente su personaggi reali (il “Mago” ingaggiato per
risollevare le sorti della squadra allude chiaramente a Helenio Herrera, celebre allenatore della Grande Inter così soprannominato, mentre il Concettino Lo Brutto di Tiberio Murgia si rifà all’arbitro più famoso degli anni sessanta e settanta, il siracusano Concetto Lo Bello) e dando modo agli interpreti di sfoderare tutto il loro repertorio di “mosse” e calembour linguistici; i due replicano nello stesso anno con DON FRANCO E DON CICCIO NELL’ANNO DELLA CONTESTAZIONE, film che ricalca quelli della saga di Don Camillo (qui lo scontro è tra due preti, uno tradizionalista l’altro più progressista) comprendendo naturalmente anche la scontata resa dei conti (con riappacificazione finale) sul campo da pallone.
Troviamo poi un mestierante come Luigi Filippo D’Amico a dirigere due pellicole che puntano anch’esse sull’interpretazione istrionica dei rispettivi protagonisti e spingono il pedale su accenti parodistici e quasi grotteschi; nella prima, IL PRESIDENTE DEL BORGOROSSO FOOTBALL CLUB (1970), uno scatenato Alberto Sordi eredita dal padre la squadra di calcio del suo paese e, dapprima riluttante, finisce invece per immedesimarsi nel ruolo, ingaggiando addirittura proprio Omar Sivori per tornare nelle grazie dei tifosi dopo un periodo di crisi.
Il film, chiaramente ispirato alle figure dei cosiddetti patron ”vulcanici” che si stavano affermando soprattutto nelle società di provincia (veri e propri personaggi – spesso sgrammaticati e sopra le righe ma non certo privi di competenza – come Costantino Rozzi, Romeo Anconetani ecc.), poggia quasi esclusivamente sulle larghe spalle di un “fuori categoria” come l’attore romano, particolarmente a suo agio quando poteva lasciarsi andare a briglia sciolta; pur offrendo uno spaccato genuino e rappresentando un modello per tutto il successivo filone delle commedie calcistiche, IL PRESIDENTE DEL BORGOROSSO risulta, a conti fatti, un film più famoso che riuscito, penalizzato da una sceneggiatura piuttosto debole e pare anche da problemi di lavorazione.
Per certi versi più interessante è L’ARBITRO del 1974, dove un Lando Buzzanca che di nuovo fa il “verso” al celebre “fischietto” siciliano Concetto Lo Bello porta alle estreme conseguenze alcuni luoghi comuni sulle cosiddette “giacchette nere” (uno per tutti, l’arroganza e l’egocentrismo che nascondono in realtà frustrazioni assortite, soprattutto di natura sessuale…); il film, oltre ad ospitare i soliti volti noti, stavolta in chiave radiotelevisiva (il veterano Nicolò Carosio e il giovane erede Bruno Pizzul, ma anche Maurizio Barendson e Alfredo Pigna), offre un quadro piuttosto veritiero della borghesia di quegli anni con le sue pulsioni contestatarie e libertarie (anche se Joan Collins è un’amante un po’ improbabile), e butta lì anche uno spunto piuttosto originale e in anticipo sui tempi con l’accenno al doping.
Anche il sommo Federico Fellini si concede un piccolo riferimento alle schermaglie tra opposte fazioni in ROMA (1972): nella caotica sequenza ambientata sul Grande Raccordo Anulare a un certo punto transita un pullman di supporters napoletani in arrivo nella Capitale, i quali vengono prontamente ricoperti di insulti dai romanisti presenti sulle altre autovetture.
Si può notare come in questo periodo il tifo calcistico cominci ad essere letto alla luce della cosiddetta “psicologia delle masse”: nel finale del bellissimo IN NOME DEL POPOLO ITALIANO (1971), ad esempio, Dino Risi contrappone l’individuo consapevole e con la schiena dritta – impersonato dal giudice Bonifazi di Ugo Tognazzi – alla folla delirante in tumulto per la vittoria di una partita della Nazionale contro l’Inghilterra; Vittorio Salerno – fratello del grande Enrico Maria, presente nel cast nei panni di un ex commissario – scrive (insieme ad Ernesto Gastaldi) e dirige invece nel 1975 FANGO BOLLENTE, un film piuttosto atipico e degno di nota – situato a metà tra la parabola sociologico-distopica alla Arancia Meccanica e il poliziottesco – nel quale indaga l’alienazione indotta dal progresso tecnologico; il regista a un certo punto, con uno stacco di montaggio repentino, propone un’analogia tra il comportamento delle cavie e quello dei tifosi allo stadio (ci sono sequenze tratte da una partita della Nazionale all’Olimpico di Roma inframezzate da altre al vecchio Comunale di Torino, città dove agiscono i tre protagonisti), con lo scoppio improvviso della violenza insensata (“C’è sempre uno che comincia a mordere gli altri…” “E succede anche agli uomini?” “Se qualcuno li mette in gabbia…”); un accostamento simile (lo stadio come valvola di sfogo di frustrazione e rabbia represse, dove l’aggressività si trasmette di padre in figlio per emulazione) lo farà anche Luigi Zampa nel di poco successivo (1977) IL MOSTRO, notevole ibrido tra commedia nera e thriller – con protagonista un perfetto Johnny Dorelli – che illustra, partendo dall’ambito dei media, una società ormai sempre più intrisa di indifferenza e spietatezza.
Sono però Luciano Salce e Paolo Villaggio, in un celebre segmento di un film ormai leggendario come IL SECONDO TRAGICO FANTOZZI del 1976, a sintetizzare mirabilmente – dopo averci già donato un momento calcistico “stracult” con la sfida “scapoli-ammogliati” nel primo episodio della saga – questa frattura “culturale” della quale il fenomeno calcio è stato spesso oggetto in quanto svago prediletto di proletari e ceto medio e perciò liquidato snobisticamente da una certa “intellighenzia” alla stregua di una colossale “arma di distrazione di massa” (va ricordato però che grandi intellettuali come Pier Paolo Pasolini o Carmelo Bene ne erano appassionati, giudicandolo un vero e proprio “linguaggio” accostabile ad una rappresentazione sacra, ed esaltandone il lato estetico ed artistico): il rito preparatorio davanti alla tv con “frittatona di cipolle, Peroni ghiacciata e rutto libero”, la convulsa telecronaca di Nando Martellini sullo sfondo di una città dove non si incontra anima viva e infine la catartica “uscita” sulla “Corazzata Kotiomkin” davanti all’esterrefatto professor Guidobaldo Maria Riccardelli valgono più di mille trattati di sociologia..