CREEPY
GENERE: thriller
ANNO: 2016
PAESE: Giappone
DURATA: 130 minuti
REGIA: Kiyoshi Kurosawa
CAST: Teruyuki Kagawa, Hidetoshi Nishijima, Takashi Sasano, Yuko Takeuchi, Ryôko Fujino
Lo psicologo criminale Koichi Takakura sta interrogando un omicida seriale: quest'ultimo, approfittando di una distrazione degli agenti di custodia, riesce a fuggire, ferendo poi gravemente una donna presa in ostaggio e Takakura stesso - accorso nel tentativo di farlo arrendere - prima di essere ucciso a colpi di pistola.
Scosso da questa esperienza, l’uomo decide di cambiare vita: si dimette dalla polizia trovando lavoro come docente universitario e si trasferisce in un quartiere periferico insieme alla moglie Yasuko; la donna, che rimane spesso da sola a causa degli impegni del marito, cerca di instaurare un rapporto di amicizia con Nishino, un vicino all’apparenza piuttosto bizzarro il quale abita insieme alla figlia adolescente e alla consorte che non esce mai di casa a causa, così dice lui, di una forte depressione; contemporaneamente Takakura, sollecitato da Nogami, un ex collega venuto a chiedergli un parere, si mette a studiare un caso irrisolto di qualche tempo prima: tre membri di una famiglia erano scomparsi senza lasciare tracce, mentre l’unica persona rimasta, una ragazza di nome Saki, non riusciva a fornire spiegazioni dell’accaduto avendo solo ricordi confusi; Takakura finisce per appassionarsi progressivamente al mistero anche perchè, dopo la scoperta di nuovi e terribili elementi, comincia ad avere la strana sensazione che quella vicenda lo riguardi in qualche modo…
Kiyoshi Kurosawa (omonimo ma non parente dell’immenso Akira) è stato un cineasta chiave per l’affermazione planetaria del cosiddetto J-Horror con pellicole seminali come Cure (1997) e Kairo (2001) nelle quali, mettendo a frutto i propri studi di sociologia nonchè attraverso varie contaminazioni ed una regia inconfondibile, basata soprattutto sull’uso anticonvenzionale del piano sequenza, ha espresso angosce tangibili legate ad uno strisciante disagio sociale amplificato dal ruolo sempre più invasivo della tecnologia (si era agli albori dell’era di Internet); temi che riprende anche in questo bellissimo Creepy, suo esito più felice degli ultimi anni, che potremmo definire un film sull’indifferenza e sulla “cecità”: mentre viviamo esistenze competitive e sostanzialmente vuote non ci accorgiamo dei problemi e delle esigenze di chi ci è più prossimo, sembra ammonire Kurosawa; se in Parasite attraverso il meccanismo della “sostituzione” si affrontava mirabilmente un discorso sulla fine della lotta di classe (chissà se Bong ha visto il film di Kurosawa, prendendone magari spunto…), qui tale espediente si pone invece come metafora della crisi di identità dell’individuo contemporaneo – che si riverbera soprattutto nell’istituzione familiare -, talmente omologato da essere ridotto, nella sua ormai totale interscambiabilità, ad un ammasso di carne né più né meno assimilabile a quelli pronti per essere impacchettati e collocati sullo scaffale di un supermercato – geniale e macabra allegoria veicolata attraverso l’agghiacciante modus operandi del killer -; dice tutto la magnifica inquadratura del furgone con a bordo un’umanità ormai “inebetita” – l’unico essere vitale è il cane Max, per il quale infatti è prevista un’eliminazione cruenta – che sembra fluttuare in un limbo post-apocalittico (come nella parte conclusiva di Kairo) e ci trasporta ad un finale per nulla catartico, nonostante uno squarcio di consapevolezza, poiché non basta eliminare il sintomo per guarire dalla malattia…
Nishino (o comunque si chiami, perchè a un certo punto ci accorgiamo di avere di fronte nient’altro che un’incarnazione del nostro lato più oscuro simile per certi versi a quella rappresentata dal Mystery Man di Strade Perdute…) – un Teruyuki Kagawa viscido e luciferino davvero da brividi -, “essere” che si nutre delle debolezze e delle frustrazioni del mondo (e che infatti, a dimostrazione della propria disumanità, una volta colpito non perde sangue, cosa che ad uno sguardo non superficiale si evidenzia nel lento allontanarsi della camera dal suo corpo disteso: un’altra di quelle chicche che fanno capire chi è Autore per davvero), è “lombrosianamente”, evidentemente “creepy”, raccapriciante, disgustoso, e Kurosawa non fa niente per nascondercelo, anzi: insomma, il male sta davanti a noi in tutta la sua chiarezza ma tendiamo ad “eluderlo”, forse perchè abbiamo paura che specchiandoci in lui saremmo costretti ad affrontare la nostra stessa “corruzione”: emblematico in questo senso è anche il prologo del film, dove Takakura si dimostra totalmente inadeguato, nonostante la sua presunta competenza, a fronteggiare la “morale” del feroce assassino che ha di fronte…
Cinema eminentemente politico, dunque, per quanto ben ancorato al genere, in questo caso thriller- horror, il quale però, come da tradizione del regista di Kobe, sfocia in suggestioni quasi metafisiche; e altra grande lezione di uno stile personale come pochi altri, nel quale a fare la differenza non è il movimento di macchina in sé, spesso impercettibile ma in realtà, ad un occhio attento, ricercato e tecnicamente virtuosistico, ma lo studio della collocazione di personaggi e cose all’interno dell’inquadratura – sovente accompagnato da variazioni di fotografia repentine, come nel caso della splendida sequenza del colloquio con Saki all’università, dove Kurosawa crea una sorta di “bolla” abbassando le luci della stanza – e il come la camera da statica si faccia dinamica, o viceversa, sfruttando magistralmente la profondità di campo, e magari indugi alcuni secondi in più per trasmettere, attraverso quella sospensione, un senso di inquietudine.
Creepy, presentato con successo alla Berlinale e poi passato anche al Far East di Udine, rappresenta insomma l’ennesima dimostrazione di come i maestri orientali abbiano molto da insegnarci in quanto a lucidità di sguardo e complessità espressiva.