IL COLLEZIONISTA DI CARTE
IL COLLEZIONISTA DI CARTE
GENERE: thriller, azione
ANNO: 2021
PAESE: USA, Gran Bretagna, Cina
DURATA: 112 minuti
REGIA: Paul Schrader
CAST: Oscar Isaac, Tiffany Haddish, Tye Sheridan, Willem Dafoe, Ekaterina Baker
William “Tell” Tillich viene condannato a otto anni di reclusione in un carcere militare; durante la reclusione impara a “contare le carte” a memoria, e una volta scontata la pena mette a frutto questo talento girando per i casinò.
William “Tell” Tillich viene condannato a otto anni di carcere militare per le violazioni dei diritti umani commesse insieme ad altri commilitoni quando era di stanza ad Abu Ghraib; durante la reclusione impara a “contare le carte” a memoria, e una volta scontata la pena mette a frutto questo talento girando per i casinò con l’intento di vincere ogni volta una somma contenuta per non dare nell’occhio, ma soprattutto cercando di dimenticare quel passato che continua a tormentarlo; un giorno si ritrova per caso ad assistere ad una conferenza e scopre che uno dei relatori è il maggiore John Gordo, ovvero colui che lo aveva addestrato alle torture nella prigione irachena; tra il pubblico è presente anche un ragazzo, Cirk – figlio di un altro ex soldato coinvolto in quella vicenda il quale non aveva retto allo scandalo togliendosi la vita – che avvicina William spiegandogli di voler uccidere Gordo per vendicare il padre; Tillich allora cerca di convincere il giovane a non assecondare quella spirale di odio e gli propone di seguirlo promettendogli di aiutarlo economicamente per iniziare una nuova vita; per fare questo accetta l’offerta di La Linda – una mediatrice incaricata di mettere in contatto i giocatori con finanziatori di alto livello – diventando a tutti gli effetti un professionista; i tre cominciano così a viaggiare insieme per i vari tornei, ma le cose saranno destinate a complicarsi ulteriormente…
Paul Schrader è un personaggio che non ha certo bisogno di presentazioni: sceneggiatore e regista cardine della New Hollywood, ha attraversato quasi cinquant’anni di cinema, sia in proprio che per conto terzi – il sodalizio più duraturo è quello con l’amico Martin Scorsese, qui in veste di produttore, ma della sua scrittura si sono avvalsi altri grandi del calibro di Sidney Pollack, Brian De Palma e Peter Weir – , con la sua visione caratterizzata dall’esplorazione della solitudine, del senso di colpa e della redenzione in un ottica calvinista; temi che porta avanti con una lucidità ammirevole anche in questo The Card Counter (e non certo Il Collezionista Di Carte, titolo che ne mistifica il senso…), film che entra dunque in piena corrispondenza con tutta la sua opera aggiungendo un tassello ulteriore alla potente e chirurgica disamina della cattiva coscienza del suo Paese.
L’Iraq di The Card Counter come il Vietnam di Taxi Driver, un eterno ritorno dell’uguale, soprattutto considerando le conseguenze devastanti a livello di inconscio personale, e dunque collettivo, di quel processo di disumanizzazione, necessario a compiere atti così abnormi (che già Kubrick ci aveva illustrato da par suo in Full Metal Jacket), attraverso il quale l’aguzzino e la sua vittima finiscono per rappresentare, in una dinamica sadomasochistica, due facce della stessa medaglia, perchè non puoi ridurre l’altro a cosa senza diventarlo un po’ anche tu stesso.
E poi c’è il gioco, metafora e al tempo stesso microcosmo in tutto e per tutto speculare: scrutare dentro un avversario come si fa col “nemico” per estorcergli un’informazione, col rischio però che chi ti sta davanti non ceda e anzi finisca per guardare lui dentro di te, “leggendoti” le carte e lasciandoti nudo e attonito nella tua vergogna; la camera di tortura, la stanza di un motel, il panno verde, un diario aggiornato meticolosamente (come Travis Bickle, John LeTour, Ernst Toller…), tutto si tiene dentro un’autoimposta disposizione mentale asettica e ipercontrollata, necessaria perchè altrimenti un centimetro più in là c’è la pazzia (stupenda l’idea di sceneggiatura che rappresenta questa condizione: William che, in una sorta di rituale oscuro, fascia con cura ogni mobile con il suo sguardo fisso, freddo, trasmettendoci un’inquietudine palpabile…) – e lodi sperticate merita Oscar Isaac, che dimostra definitivamente la sua grandezza attoriale nel restituirci un personaggio così enigmatico e tormentato – .
Non c’è futuro in un sistema dove il debito è una colpa e la colpa è un debito che può essere solo lenito ma mai espiato; è il cesto ad essere marcio ma l’inferno perpetuo tocca soltanto alle “mele”, mentre mandanti e “alti in grado” possono tranquillamente riciclarsi come soggetti rispettabili nelle pieghe di una società ormai irrimediabilmente votata al baratro perchè avvelenata da retoriche aberranti, paranoie di controllo, pulsioni di vendetta e di morte, insomma una prigione a cielo aperto ben peggiore delle prigioni vere e proprie (fatte le debite proporzioni, è lo stesso tema di fondo di un capolavoro come Old Boy di Park Chan-wook): tutto è finzione, lustrini, cosmesi, Mr. USA mostra i muscoli del vincitore alla sua claque adorante, e nel frattempo c’è un cospicuo numero di emarginati (soprattutto giovani) alla deriva, senza più padri né madri, senza più rapporti affettivi, senza più uno scopo.
L’abisso dell’anima sta tutto nel rigore di una macchina da presa che “asciuga” al massimo i suoi movimenti, salvo poi prorompere in un fish-eye estremo e in uno scarto fotografico violento al momento di restituire “fisicamente”, quasi “olfattivamente”, l’orrore, nonchè in aperture ariose quando il film sembra virare verso una “schiarita” (vanno menzionate anche le belle musiche di Robert Levon Been e Giancarlo Vulcano); William Tell – “nomen omen” – antieroe per antonomasia, prova a tornare un essere umano in mezzo ad altri esseri umani, ma, se ad ogni azione corrisponde una conseguenza, la “mano” finale non può che essere giocata sul tavolo sbagliato – e deve quindi coerentemente restare “fuori campo” – , perchè certifica, nel retrocedere paradossalmente al punto di partenza, l’ennesimo fallimento di ogni possibile senso di giustizia e di catarsi; ma dopotutto, anche se non è stato possibile salvare un “figlio”, qualcosa rimane, e allora eccoci di nuovo, nell’ultima inquadratura, al Pickpocket di Robert Bresson (come in American Gigolo e in Lo Spacciatore)…
Teniamocelo stretto un Autore come Paul Schrader, perchè di film del livello di The Card Counter se ne vedono sempre di meno.