RACE FOR GLORY - AUDI VS LANCIA
GENERE: sportivo, drammatico
ANNO: 2024
PAESE: Italia, Gran Bretagna, Irlanda
DURATA: 109 minuti
REGIA: Stefano Mordini
CAST: Riccardo Scamarcio, Volker Bruch, Daniel Brühl, Katie Clarkson-Hill, Haley Bennett
Sulle orme del duello Ford-Ferrari narrato in ‘Le Mans 66 – La grande sfida’ nasce una produzione italo- britannica che ci racconta il Campionato Mondiale di Rally del 1983, l’ultimo vinto da una vettura a dueruote motrici, la Lancia 037, contro la favoritissima Audi Quattro a trazione integrale. Un racconto costruito, più che per immagini, con la contrapposizione di personalità importanti quali furono i dirigenti ed i piloti dei due team.
Può a buona ragione essere definito la ‘Golden age’ del rally quel periodo che va dalla fine degli anni ’70 all’inizio degli anni ’90, quando gli importanti investimenti delle maggiori case automobilistiche internazionali nella competizione portarono grandi innovazioni tecnologiche, il tutto suffragato da un grande seguito da parte del pubblico e quindi vendite di auto sportive molto significative. Un circolo virtuoso che originò la Lancia Stratos e la Lancia Delta Integrale, passando per Toyota Celica, Peugeot 205 T16, Ford Escort Cosworth ed Audi Quattro, solo per citarne alcune. Si susseguirono quindi una serie di auto leggendarie, rimaste nel cuore di molti appassionati anche a distanza di parecchi anni. Il prezzo da pagare per i mostri del ‘Gruppo B’, presenti nei rally tra il 1982 ed il 1986, esteticamente simili alle vetture di serie con le quali condividevano il nome, ma con potenze nell’ordine dei 600 cv per meno di 900 kg di peso, fu però molto alto. Le auto volavano, letteralmente, nelle prove speciali, tra fiumi di folla festanti sempre troppo vicini alla strada, senza che vi fosse alcun tipo di protezione, così alcuni gravissimi incidenti che videro la morte di piloti e spettatori, portarono a modifiche regolamentari che, insieme alla (necessaria) maggior sicurezza, provocarono però una sorta di normalizzazione dello spettacolo, che fece scendere di botto i livelli di quell’adrenalina che era la vera benzina del successo degli anni ruggenti del rally.
Il segreto di quelle automobili, in fondo, era, e lo è ancora, il fatto che non erano una cosa per tutti, risultavano talmente estreme da far veramente paura, ed anche per questo calamitavano i giovani dell’epoca. Fu l’inizio della fine, anche per lo scarso appeal mediatico dell’evento, senza dubbio ‘poco televisivo’ in un’epoca (parliamo degli anni ‘90) che viveva sull’immagine in ogni settore, sport incluso. Sostanzialmente un rally, per come è strutturato, non correndosi su un circuito, ma su un percorso lineare a tappe molto lungo sul quale le auto si muovono singolarmente, è impossibile da coprire con telecamere fisse, ed assai complesso con unità mobili, se non, peraltro con scarsa efficacia visiva ed altissimi costi di gestione, con degli elicotteri, a questo si devono aggiungere i tempi estremamente dilatati della competizione. Anche questo fu uno degli ingredienti che contribuirono a portare in pochi anni il Campionato Mondiale Rally a diventare quello che è oggi, una competizione disertata da quasi tutte le grandi marche e con un seguito di pubblico davvero esiguo rispetto ad una quarantina di anni fa.
Questo film è dedicato a quei tempi, ed è una cosa non solo lodevole ma anche necessaria, se vogliamo persino tardiva, un’impresa però tecnicamente non semplice, nella quale si sono tuffati il regista Stefano Mordini e la produzione italo-inglese, guidata dall’esperto Jeremy Thomas, del quale si ricordano le collaborazioni con Bertolucci e Wenders, con il prezioso aiuto di alcuni dei protagonisti dell’epoca, l’ingegner Sergio Limone, progettista della Lancia 037 e della Lancia Delta, oltre a numerose altre vetture del gruppo FIAT che hanno trionfato nelle varie competizioni automobilistiche internazionali (Alfa Romeo 156 nel turismo internazionale, ad esempio) ed ovviamente Cesare Fiorio, Direttore Sportivo di Lancia nel periodo in cui il film è ambientato.
La pellicola si sofferma su un anno specifico del Campionato del mondo di rally, il 1983. Due anni prima aveva debuttato un’auto destinata a rivoluzionare il rally, l’Audi Quattro, un mezzo che, perfezionato ed alleggerito, quell’anno avrebbe dovuto dominare la competizione. Audi è una azienda nata nel 1909 a Zwickau per opera di August Horch che negli anni ’30, in crisi finanziaria, si fuse con DKW per formare il nuovo brand ‘Auto Union’. L’azienda venne rilevata da Daimler-Benz e poi venduta al Gruppo Volkswagen nel 1964, per venire successivamente incorporata con un’altra nobile decaduta tedesca, NSU, nel 1969. Volkswagen andò a rispolverare per questo conglomerato il vecchio nome ‘Audi’, con l’intenzione di renderlo il marchio di lusso del gruppo, ma in quel momento il nome era pressochè sconosciuto, soprattutto all’estero. In quest’ottica Volkswagen non badò a spese per cercare di dare visibilità al brand e tentò di rilanciarlo attraverso il Mondiale Rally, affidando a Roland Gumpert l’ambizioso progetto di creare un’auto da corsa a quattro ruote motrici, anche grazie ad un cavillo regolamentare che glielo permetteva.
Dopo un buon esordio nel 1981, in cui corse poche gare, nel 1982 Audi vinse il mondiale costruttori, ma perse quello piloti a favore di una Opel Ascona. La francese Michelle Mouton, coadiuvata dalla navigatrice italiana Fabrizia Pons, arrivò ad un passo dalla storica prima vittoria di un mondiale rally di un equipaggio femminile, ma fu battuta dal tedesco Walter Rohrl, alla sua seconda affermazione in carriera e considerato uno dei più forti piloti della storia del rally. In quegli anni FIAT doveva sostituire la gloriosa 131 Abarth, ormai giunta a fine carriera e, per farlo, decise di usare il marchio Lancia, che faceva parte di FIAT dalla fine degli anni ‘60. Tutto il gruppo di lavoro di Abarth, capitanato da Cesare Fiorio, si era quindi spostato a lavorare su questo progetto che era già in stadio molto avanzato quando arrivò, dirompente, Audi Quattro, facendo risultare quindi anacronistica la vettura in realizzazione, ancora prima di esordire. Invece di ripartire da zero, visto che il tempo mancava, Fiorio ed i suoi decisero di estremizzare ancora di più la nuova Lancia 037, rendendola una sorta di auto da corsa su strada (non a caso il progetto condivideva molto con la Lancia Beta Montecarlo), ed alleggerendola il più possibile, così da sfruttare le sue caratteristiche peculiari in alcuni rally specifici, perché se Audi aveva un difetto, questo era relativo al suo peso enorme.
A guidare l’auto vennero chiamati due ex campioni del mondo in FIAT, il finlandese Markku ‘Maximum Attack’ Alen e Walter Rohrl. Quest’ultimo, sulle caratteristiche del quale l’auto era stata letteralmente modellata, aveva però deciso di ritirarsi dopo il titolo vinto nel 1982, quindi accettò di prender parte solo a 6 gare sulle 12 previste dal mondiale. La storia del film, un po’ romanzata, ci mostra anche un giovane pilota, Kurt, inesistente nella realtà, ed utilizza questo personaggio per introdurre vari fatti che spesso sono veri (o quasi), ma accaduti in altre stagioni, si veda l’incidente nel quale è coinvolto il giovane pilota, che richiama quello in cui morì nel 1985, al Tour de Corse, Attilio Bettega con la Lancia 037 ed ancor di più quello dell’anno successivo nel quale persero la vita Henri Toivonen ed il suo navigatore Sergio Cresto nella medesima gara, ma con la nuova Lancia Delta S4.
Il film si muove tra immagini di gara e carte bollate, visto che furono molte le contestazioni da entrambi i lati (il sale sull’asfalto di Montecarlo gettato dal team Lancia per sciogliere il ghiaccio, l’inganno alla federazione sull’omologazione dell’auto ordito da Fiorio, l’interpretazione fantasiosa dei limiti del regolamento di Audi) ma si dedica soprattutto alla rivalità tra i direttori sportivi ed i piloti dei team in gara.
In merito però ai fatti accaduti quell’anno (ma anche i precedenti e successivi), su Youtube è disponibile gratuitamente una lunga intervista di Davide Cironi all’ingegner Sergio Limone che, oltre ad essere molto divertente, è anche più affine alla realtà di quanto ci racconta la pellicola di Mordini. Se non conoscete a fondo gli accadimenti narrati oppure se, vedendo il film, ne siete incuriositi, vi consiglio senza dubbio di vederla. E’ curioso notare come Matteo Rovere, che girò un film su Carlo Capone (‘Veloce come il vento’, del 2016), attivo nelle competizioni rallistiche proprio in quegli stessi anni, sia stato collaboratore di Mordini in questa pellicola, nella quale regista e produzione sembrano divertirsi ad inserire collegamenti multipli, ci sono infatti anche una serie di cammei molto ricercati, in particolare compare Lapo Elkann nel ruolo del nonno, l’Avvocato Agnelli, ed è presente anche Cesare Fiorio, visibile seduto in una sedia alla festa per la vittoria del Rally di Montecarlo.
Non è sorprendente che la pellicola tenda a privilegiare i (presunti) underdogs, soprattutto perché alcuni di loro hanno collaborato attivamente alla realizzazione del film, avrebbe però giovato all’operazione sia estendere il discorso a livello temporale, senza fermarsi ad un solo anno di competizioni, sia dedicare qualche scena in più al vulcanico Gumpert (interpretato ottimamente da Daniel Bruhl), ridotto ad una macchietta, che lasciata Audi si immerse in una serie di progetti estremamente ambiziosi, ma di scarso successo commerciale, il più noto dei quali portò alla nascita della supercar Gumpert Apollo.
Mentre vedevo il film al cinema ho avuto la sensazione che a Cesare Fiorio, torinese, l’accento romano di Scamarcio non si addicesse particolarmente, ma riflettendoci meglio nei giorni successivi mi è parso che fosse, più in generale, il doppiaggio del film, che infatti nasce in lingua inglese, a risultare poco efficace. Sono convinto, pertanto, che visto in inglese ‘Race for glory’ renderebbe di più, migliorando sicuramente alcuni dialoghi in cui gli attori sembrano quasi incespicare.
Vedendo il trailer prima di recarmi al cinema avevo avuto la netta impressione che ‘Race for glory’ fosse una versione rallystica del duello Ford vs Ferrari di ‘Le Mans 66 – La grande sfida’, diretto un pugno di anni fa da James Mangold, e l’idea di un tentativo di scimmiottare un film americano con un budget per forza dicose molto più basso, finendo per banalizzare una storia con potenzialità enormi, francamente non mi entusiasmava. A conti fatti però, anche se la pellicola si focalizza troppo su dei protagonisti che a tratti sono un po’ troppo stereotipati (i DS Fiorio e Gumpert ed i piloti Rohrl e Mikkula), e nonostante i numerosi difetti, il film resta comunque piacevole, risultando migliore di quello che mi aspettassi. Il trailer di ‘Race for glory’ però evitate di vederlo se potete, perché a mio modesto parere non fa un buon servizio al film.