UN BACIO E UNA PISTOLA
GENERE: thriller, noir
ANNO: 1955
PAESE: USA
DURATA: 105 minuti
REGIA: Robert Aldrich
CAST: Paul Stewart, Ralph Meeker, Cloris Leachman, Albert Dekker, Juano Hernandez, Wesley Addy
Oggetto di culto per cineasti del calibro di David Lynch e Quentin Tarantino, Un Bacio E Una Pistola del grande Robert Aldrich è un film che a quasi settant'anni di distanza dalla sua uscita non ha perso un grammo di quella carica eversiva grazie alla quale ha posto in opera la decostruzione del genere pulp-hard boiled.
Il detective privato Mike Hammer soccorre una ragazza che sta correndo affannosamente lungo il ciglio della strada: ha indosso solo un impermeabile, dice di chiamarsi Christina, di essere appena fuggita da un manicomio dove era stata rinchiusa con la forza e che alcuni imprecisati individui la stanno inseguendo.
I due, evitato con astuzia un posto di blocco, si fermano ad una stazione di servizio per prendere tempo e decidere il da farsi, ma, una volta ripartiti, vengono speronati da un’auto; i delinquenti, dopo aver torturato a morte Christina, mettono il suo cadavere e Hammer semisvenuto nella macchina di quest’ultimo facendola precipitare da un dirupo.
L’investigatore si salva per miracolo e, una volta risvegliatosi, si trova pressato dalle forze dell’ordine che vogliono vederci chiaro su quanto gli è accaduto; l’uomo, un po’ per spirito di rivalsa e un po’ perchè capisce che dietro alla vicenda c’è qualcosa di molto grosso, comincia a condurre un’indagine privata che lo porterà a scoprire una verità inaudita.
Parlare di Robert Aldrich significa evocare, né più né meno, uno dei più importanti registi della storia, il quale, grazie al suo anticonformismo, alla sua indipendenza e alla sua duttilità, ha dato grandissimo impulso alla trasformazione del cinema americano negli anni cinquanta, confermandosi poi nel tempo (ricordiamo, tra i suoi film più significativi, il western Vera Cruz con i divi Gary Cooper e Burt Lancaster, il kammerspiel di derivazione teatrale Il Grande Coltello, spietato atto d’accusa del marciume dello star system hollywoodiano, il dittico Che Fine Ha Fatto Baby Jane/Piano… Piano, Dolce Carlotta, capolavori del dramma/thriller a tinte sadomasochistiche e grand guignol sfocianti nel puro horror, graziati dalle interpretazioni straordinarie di Bette Davis, Joan Crawford, Olivia De Havilland e Agnes Moorehead, il dramma d’azione e guerra Quella Sporca Dozzina – dal quale Quentin Tarantino, al pari di Quel Maledetto Treno Blindato di Enzo G. Castellari, ha tratto ispirazione per il suo Bastardi Senza Gloria -, il prison-movie in chiave sportiva Quella Sporca Ultima Meta con un magnifico Burt Reynolds; ma ne potremmo citare altrettanti…).
Quando nel 1955 decide di cimentarsi col noir, lo fa adattando (e un po’ stravolgendo) un racconto di Mikey Spillane (Bacio Mortale) uscito tre anni prima; Spillane era esponente dell’ala “sporca” dell’hard boiled, e il suo personaggio simbolo, Mike Hammer (addirittura, si dice, quasi una sorta di alter ego…) risultava di conseguenza cinico, violento, misogino, amorale, a differenza ad esempio di un Philip Marlowe che sotto la corazza da duro era mosso da principi ai quali non derogava e celava un lato malinconico e disincantato.
Scritto da A. I. Bezzerides (un omaggio a questo sceneggiatore – famoso soprattutto per aver lavorato ai cosiddetti film di “coscienza sociale” della Warner negli anni quaranta -, è rintracciabile nella seconda serie di True Detective, non a caso molto sbilanciata su un registro neo-noir debitore di David Lynch come di James Ellroy: la protagonista, interpretata da Rachel McAdams, si chiama infatti Antigone “Ani” Bezzerides…), Un Bacio E Una Pistola rappresenta un “ponte” tra il noir classico e quello postmoderno: meno “filosofico” e romantico del primo, pur partendo sempre da un plot piuttosto astruso lo sviluppa in una narrazione dal taglio più secco (forte del combinato disposto di una regia che alterna vari registri, da uno più canonico fatto di long take, primi piani stretti e un uso magistrale della profondità di campo ad un altro maggiormente sperimentale con inquadrature oblique e dal basso, di una fotografia del grande Ernest Laszlo che restituisce le varie sfumature – in particolar modo quelle diurne californiane, scelta anch’essa piuttosto anticonvenzionale per il genere – di uno splendido bianco e nero, e di un montaggio di potente dinamicità) e caratterizzata in misura minore da momenti ironici (relegati solo ad alcuni brevi siparietti con personaggi secondari), non lesinando anzi squarci di violenza brutale a tratti fuori campo (famosa l’inquadratura dei piedi nudi di Christina mentre viene seviziata, che idealmente si raccorda con quella iniziale della ragazza che corre scalza chiedendo aiuto) ma anche mostrata esplicitamente (l’Hammer di un convincente Ralph Meeker, tenendo fede alla sua caratteristica di “nomen omen”, usa sovente la mano pesante, e quando lo fa mostra persino un certo sadico piacere nell’espressione del volto…), nell’ambito, però, di un contesto strada facendo sempre più iperrealistico e paranoico (ricordiamo che la società americana stava appena uscendo dal maccartismo) che sfocia in un finale (a proposito del quale va menzionato un aneddoto: si dà il caso che, tempo dopo l’uscita del film, venne arbitrariamente accorciato con un taglio di circa un minuto e venti secondi, in modo da suggerire la morte dei due protagonisti; il girato originale, come concepito e montato da Aldrich, venne poi reintegrato successivamente) dalle derive apocalittiche, dove vengono evocate apertamente la guerra fredda e la minaccia nucleare (idea non presente in origine).
Non stupisce allora nemmeno il fatto che la dark lady archetipica, manipolatrice e dall’animo irrimediabilmente corrotto, venga qui rimpiazzata da personaggi femminili altrettanto ambigui ma più sfaccettati: se la misteriosa Christina (nome che omaggia la poetessa inglese Christina Georgina Rossetti), la cui già citata corsa iconica lungo una provinciale vestita solo di un trench apre il film in maniera memorabile, è una presenza allo stesso tempo erotica, “fantasmatica” ed esoterica (è colei che legge perfettamente la più intima essenza del protagonista – “Lei ha soltanto un unico grande amore: sé stesso.” -, lasciandogli poi, quasi a mo’ di testamento, un messaggio criptico dal quale partire per dipanare la matassa), e Gabrielle cela tutti i suoi doppi giochi dietro un’apparente fragilità, pagando infine la sua hybris nel modo più terribile, è la Velda Wickman di Maxine Cooper, ufficialmente segretaria ma in realtà amante e complice di Hammer (di fatto il detective è anche e soprattutto un ricattatore che si serve della donna per incastrare le sue vittime…), a stagliarsi come figura forte e molto moderna poiché capace, pur non rinunciando ad una spiccata sensualità, di giocare alla pari col “machismo” dal quale è circondata, in primis quello del compagno di avventure al quale rimane tuttavia fedele sin nella cattivissima sorte.
Va altresì sottolineato che molti riferimenti a Un Bacio E Una Pistola, utili a ribadire quanto questo sia un lavoro seminale ancorchè piuttosto dimenticato ai giorni nostri, si trovano ad esempio nel cinema di Steven Spielberg, di Quentin Tarantino, di John Frankenheimer, di David Lynch (la celeberrima valigetta/vaso di Pandora appare, declinata in vari modi, in I Predatori Dell’Arca Perduta, in Pulp Fiction – dove, in casa di Mia Wallace, ritroviamo anche il registratore a bobine usato da Hammer per la segreteria telefonica… -, in Ronin, in Mulholland Drive, ma persino in quel piccolo cult di Alex Cox che risponde al nome di Repo Man-Il Recuperatore); sempre a proposito di David Lynch, bisogna dire che soprattutto le affascinanti corrispondenze tra Un Bacio E Una Pistola e Strade Perdute (citiamo ad esempio i titoli di testa dove, sulle note di Nat King Cole, un’auto sfreccia nell’oscurità diretta chissà dove, l’officina piena di curiosi personaggi, la casa sulla spiaggia in fiamme, l’atmosfera “sospesa” e vagamente oniroide – il film, a ben vedere, potrebbe anche essere letto come un incubo del protagonista in limine vitae -) sono così evidenti da far sospettare che il genio di Missoula, notoriamente innamorato degli anni cinquanta a trecentosessanta gradi, sia partito da queste suggestioni, ampliandole e arricchendole con ossessioni più personali, per concepire, con una delle sue pellicole più radicali, una sorta di omaggio in forma di cripto-remake.
Un Bacio E Una Pistola ha dunque contribuito in maniera decisiva, anche se molti non ne hanno contezza, a forgiare l’immaginario che ha traghettato un certo tipo di cinema thriller-fantastico nella contemporaneità, ed è per questo un’opera che merita la fama imperitura nonchè una riscoperta da parte delle nuove generazioni.