LO CHIAMAVANO TRINITÀ...
GENERE: commedia, western
ANNO: 1970
PAESE: Italia
DURATA: 117 minuti
REGIA: Enzo Barboni
CAST: Terence Hill, Bud Spencer, Farley Granger, Remo Capitani, Steffen Zacharias, Gisella Hahn
Nel rivedere un film come Lo Chiamavano Trinità... - per di più nella versione fiammeggiante riproposta in questi giorni dopo il restauro in 4k effettuato dalla meritoria Cineteca di Bologna -, non si può che tornare, nell'immediato, un po' bambini, ma anche, passata questa piacevole sensazione, riflettere su una stagione perduta nella quale la finezza di un artigianato creativo tipicamente nostrano era capace di rispondere alle esigenze di cassetta senza sacrificare il lato puramente artistico.
Il pistolero Trinità, detto “la mano destra del diavolo” per la fulminea velocità nell’estrarre l’arma e sparare, vaga nel deserto apparentemente senza meta; fermatosi in una locanda per rifocillarsi, vi incontra alcuni cacciatori di taglie che stanno trasportando un messicano ferito e, dopo averli messi fuori combattimento, lo porta via con sé; in seguito giunge in un paese dove ritrova il fratello, soprannominato Bambino, il quale, con sua grande sorpresa, ha assunto il ruolo di sceriffo; si scopre che l’uomo, in realtà abile razziatore di cavalli, ha sottratto la stella al legittimo proprietario dopo uno scontro a fuoco e si è stabilito in quel luogo sotto copertura in attesa di ricongiungersi con due suoi complici, Faina e Il Timido, e poter così effettuare un colpo ai danni di una mandria non ancora marchiata appartenente al maggiore Harriman; quest’ultimo spadroneggia insieme ai suoi scagnozzi e punta a far suo un grosso appezzamento di terra nel quale vive una pacifica comunità di Mormoni, minacciata anche dai banditi messicani di Mezcal che sovente varcano il confine per condurre le loro scorrerie.
La tensione tra le parti in causa sale sempre di più, acuita anche dal fatto che Trinità a un certo punto si invaghisce di Sarah e Giuditta, due ragazze mormone, prendendo così a cuore i diritti di quella popolazione inerme, alla quale pensa di unirsi rinnegando la vita randagia; si arriva così ad un’inevitabile resa dei conti…
Nel rivedere un film come Lo Chiamavano Trinità… – per di più nella versione fiammeggiante riproposta in questi giorni dopo il restauro in 4k effettuato dalla meritoria Cineteca di Bologna -, non si può che tornare, nell’immediato, un po’ bambini, ma anche, passata questa piacevole sensazione, riflettere su una stagione perduta nella quale la finezza di un artigianato creativo tipicamente nostrano era capace di rispondere alle esigenze di cassetta senza sacrificare il lato puramente artistico; eh sì, perchè Trinità – uno dei più grandi campioni d’incasso della storia del cinema italiano, ricordiamo – è un film “leggero” ma per nulla sciocco, a cominciare dalla geniale intuizione con la quale Enzo Barboni (conosciuto come E. B. Clucher, perchè allora la prassi imponeva l’uso di pseudonimi stranieri) – direttore della fotografia, sceneggiatore, regista, insomma uno di quelli che il mestiere lo padroneggiava a tutto tondo -, decide di unire il western – già portato da Sergio Leone, nella sua versione cosiddetta “spaghetti”, ad un livello di ironico cinismo sino ad allora estraneo al genere – con la commedia “slapstick”, facendo emergere compiutamente le potenzialità comiche di Terence Hill e Bud Spencer (ancora inespresse nei tre film che la coppia aveva girato in precedenza con la regia di Giuseppe Colizzi) – l’uno belloccio, indolente e “faccia da schiaffi”, l’altro burbero ma sotto sotto bonario -, e trasformandoli di fatto in due vere e proprie icone (nel solco tracciato da Stan Laurel e Oliver Hardy); ma la stessa cura si ritrova nello sviluppo dei personaggi di contorno (tutti affidati a caratteristi di vaglia come ad esempio Steffen Zacharias – il tuttofare chiamato Jonathan Swift come l’autore de I Viaggi Di Gulliver… -, Remo Capitani, Ezio Marano o Luciano Rossi, sino a coinvolgere addirittura l’“hitchcockiano” Farley Granger…) e nella scrittura di dialoghi frizzanti e dai tempi comici perfetti, serviti poi da una regia per niente scolastica o sciatta ma anzi, a ben vedere, punteggiata di vari preziosismi, perchè Barboni era uno che sapeva dove piazzare la macchina da presa e aveva gusto per l’inquadratura, senso del ritmo e capacità di gestione delle sequenze più complicate (si vedano le coreografie delle mitiche scazzottate, marchio di fabbrica di questo sottogenere, che restano anche come tangibile tributo alla straordinaria professionalità degli stuntman, vere e proprie “colonne” di quei set avventurosi), senza dimenticare la grande abilità nello sfruttamento delle location, che lo accomuna a molti registi dell’epoca (qui in particolare il West viene ricreato tra Lazio e Abruzzo…).
Poteva mancare, poi, un adeguato commento sonoro? No di certo, ed è Franco Micalizzi a incaricarsi di comporre un motivetto “fischiettante” capace di rimanere nella memoria collettiva tanto da venire riproposto da Quentin Tarantino in una scena clou del suo Django Unchained del 2012.
Barboni, visto il successo clamoroso del film, girerà l’anno dopo un valido e fortunato sequel (…Continuavano A Chiamarlo Trinità), ancor più sbilanciato sul versante comico, continuando poi il sodalizio con Hill e Spencer sino alla fine degli anni ottanta con pellicole sempre caratterizzate da un registro garbato e di grande presa popolare; Lo Chiamavano Trinità… rimane però il suo esito più felice ed un vero e proprio cult intergenerazionale da guardare e riguardare magari davanti ad un bel piatto colmo di fagioli nel sugo…