UNA STORIA VERA
GENERE: drammatico, biografico
ANNO: 1999
PAESE: USA, Francia
DURATA: 111 minuti
REGIA: David Lynch
CAST: Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Everett McGill
Il mio rapporto con il cinema di David Lynch è a dir poco ondivago, se ho apprezzato molti dei suoi film, soprattutto quelli meno recenti, non ho però amato troppo i momenti nei quali si è lasciato andare ad acrobazie registiche e giochetti intellettuali fini a se stessi, cosa che, negli ultimi suoi lavori è accaduta troppo spesso.
Fa eccezione ‘Una storia vera’, datato 1999, nel quale Lynch mette il suo innegabile talento visivo a disposizione di una storia il cui titolo originale, ‘The Straight Story’, che gioca con il fatto di essere un evento realmente accaduto ed insieme il cognome del protagonista, Alvin Straight, non è ovviamente altrettanto efficace tradotto in italiano.
In definitiva il film è un road movie dedicato all’America rurale, alle sue contraddizioni ma anche alla sua bellezza, un inno ad un paese lontano dal nostro per le sue infinite distanze, dilatato come dilatata è la storia del viaggio del suo protagonista che lascia il suo paesino dell’Iowa per raggiungere il fratello Lyle, colpito da un infarto, con il quale non parla da anni per futili motivi. Lyle però risiede a Mount Zion, in Wisconsin, a 400 km di distanza da Laurens, dove vive Alvin con la figlia Rosie, che oltretutto non ha la patente ed è quindi costretto a muoversi con un piccolo trattore tagliaerba alla velocità di 5 km/h. Durante il lungo viaggio che lo ricongiungerà al fratello l’anziano Alvin avrà modo di incontrare una giovane donna incinta scappata da casa, un gruppo di ciclisti, una coppia di coniugi, due buffi e litigiosi meccanici gemelli ed un sacerdote, ad ognuna di queste persone Alvin sarà in grado di dare qualcosa grazie alla sua determinazione ed esperienza, ottenendo in cambio compagnia, sostegno od anche un aiuto materiale nella sua impresa.
Una citazione la merita lo straordinario protagonista del film, Richard Farnsworth, che al momento delle riprese era malato terminale di cancro, la sofferenza che trasmette allo spettatore la sua interpretazione, che è quindi assolutamente autentica, pervade e perfino valorizza la pellicola. L’attore, prostrato dalla sofferenza fisica, morì suicida poco dopo la fine delle riprese di questo che rimane anche il suo testamento artistico, purtroppo non premiato con un Oscar che avrebbe certamente meritato (senza nulla togliere all’ottimo Kevin Spacey di American beauty, vincitore quell’anno).