NOCTURAMA
GENERE: drammatico, thriller
ANNO: 2016
PAESE: Francia
DURATA: 130 minuti
REGIA: Bertrand Bonello
CAST: Vincent Rottiers, Finnegan Oldfield, Laure Valentinelli, Jamil McCraven, Hamza Meziani, Manal Issa, Martin Petit-Guyot, Rabah Nait Oufella
Nocturama. Parigi, un giorno qualunque: seguiamo i movimenti coordinati di alcuni giovani scanditi da un timer in sovraimpressione; poi, ad un tratto, esplosioni e incendi simultanei squarciano alcuni luoghi simbolici della città; gli autori degli attentati, intanto, convergono all'interno di un grande magazzino...
Questo è, in estrema sintesi, Nocturama del regista francese Bertrand Bonello; difficile dire di più, perchè quasi nulla di più viene detto; i protagonisti infatti sono ragazzi di varia estrazione sociale ed etnica ma piuttosto anonimi (si va dallo studente universitario alto borghese all’adolescente di colore della banlieu); un raffinato meccanismo di flashback, flashforward e moltiplicazione dei punti di vista (con uno stile di regia quasi alla Brian De Palma: si veda, ad esempio, l’uso dello splitscreen, marchio di fabbrica del cineasta americano) ci illustra i dettagli della realizzazione del piano e fa intuire in quali contesti possano essersi conosciuti, ma non verremo a sapere quasi nulla dei loro legami interpersonali; non ci sono leader conclamati, per quanto alcuni abbiano più incombenze e ascendente di altri; nessuno manifesta particolari prese di posizione ideologiche (anzi, il fascino del fondamentalismo islamico viene espressamente smitizzato).
Si coglie, però, da segnali minimi (brandelli di conversazione, flash su tv e pagine internet, ecc.) la percezione di un’Europa (ma dovremmo forse dire un Occidente) in pieno tramonto, che ha perso i suoi valori di riferimento, la sua identità, la sua capacità di elaborare una visone del futuro, dove gli spazi di democrazia sono sempre più esigui e rimangono disponibili soltanto dei surrogati nocivi (“Bisognava far saltare Facebook e i centri per l’impiego” dicono due di loro, ossia chi ti dà l’illusione della comunità e quella del lavoro, al contrario isolandoti e precarizzandoti sempre di più); il tutto confluisce in un malessere inesprimibile (“Questo posto uccide il pensiero”) e perciò di stampo profondamente nichilista (“Se rinascere significa morire?”).
La spiegazione dell’atto risiede forse, allora, nella sua ineluttabilità: semplicemente, come afferma a un certo punto con candore una ragazza per strada, “Ciò che è successo prima o poi doveva succedere”…
Quarant’anni dopo George Romero eccoci di nuovo asserragliati in un centro commerciale, stavolta al di qua dell’oceano, in compagnia di “manichini” in carne ed ossa il cui ultimo soffio vitale si esprime nella fascinazione per le merci e il glamour (il titolo del film, non a caso, oltre a riprendere quello di un disco di Nick Cave, è ispirato anche al romanzo Glamorama di Bret Easton Ellis); lo scopo non è rivendicare qualcosa ma far passare la nottata: qualche ora da vivi morenti per poi tornare ad essere i morti viventi di sempre…
Però l’attesa è logorante, il castello di sabbia dell’autodisciplina pian piano crolla, diventa sempre più chiaro come il loro sia l’urlo inascoltato del suicida (uno butta giù due righe per chiedere l’autopsia che accerti il suo stato mentale, un altro manda un messaggio alla madre come per congedarsi cripticamente) e questo desiderio inconscio di farla finita (d’altronde sanno di aver commesso varie imprudenze e di aver lasciato più di un indizio) fa venire fuori, paradossalmente, l’umanità a lungo repressa: allora si esce a fare due passi, come se niente fosse, invitando al banchetto due clochard; si confessa un amore che sarà evidentemente impossibile; si fa sesso (chi
realmente, chi in modo simulato) e si fantastica sul matrimonio, quasi per allontanare l’idea della morte; c’è chi infine, come il Dean Stockwell di Velluto blu, si lancia in una dolente My Way in playback (sequenza magnifica che fa il paio con quella che mostra il gruppo la sera prima di entrare in azione in una sorta di tacita condivisione al ritmo alienante della techno), ma più che la furia iconoclasta di Sid Vicious viene in mente l’orchestrina del Titanic…
Se da una parte impressiona la leggerezza con la quale i ragazzi tendono ad autoassolversi, dall’altra però suscita un sottile disagio il tiro al piccione sotto lo sguardo freddo delle videocamere a circuito chiuso col quale termina la vicenda: il sistema deve perpetuare se stesso a qualunque costo, così annienta ogni simulacro della propria decadenza…
Una chiusa che rende il film, già di per sé profetico (concepito cinque anni prima, doveva uscire a ridosso degli attacchi terroristici in Francia del 2015 ed ha perciò incontrato vari ostracismi e problemi di distribuzione – in Italia è tuttora inedito, pur essendo stato proiettato alla Festa del Cinema di Roma – ), ancora più potente e controverso (a maggior ragione, vista la stretta attualità… ); Bertrand Bonello, filmando i suoi protagonisti come animali in cattività, ci consegna un agghiacciante “documentario” sul nostro presente, che spaventa più di qualsiasi horror perchè ci colloca come davanti ad uno specchio, e quello che vediamo riflesso non è per niente piacevole.