LA CURA DEL BENESSERE

LA CURA DEL BENESSERE

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GENERE:        horror

ANNO:             2017

PAESE:            USA, Germania

DURATA:         145 minuti

REGIA:            Gore Verbinski 

CAST:              Dane DeHaan, Jason Isaacs, Mia Goth, Celia Imrie, Lisa Bane

La Cura del Benessere. Lockhart (il bravo Dane DeHaan), rampante broker di Wall Street, viene incaricato di rintracciare l'amministratore delegato della sua compagnia, Roland Pembroke, per fargli firmare i documenti necessari ad una fusione aziendale; si dà il caso, infatti, che Pembroke, tramite una lettera, abbia informato il consiglio di amministrazione di essere ormai nauseato da una vita votata esclusivamente al potere e al denaro e perciò di non voler più fare ritorno a New York.

Lockart raggiunge le Alpi Svizzere e si dirige al centro benessere nel quale si è rifugiato Pembroke, situato all’interno di un vecchio castello; durante il tragitto, il taxista che lo accompagna lo informa di una leggenda nera riguardante quel luogo, il quale in effetti, dietro un aspetto fiabesco, si rivela piuttosto sinistro; il giovane, ancor più deciso dopo queste parole a sbrigare in fretta la faccenda, si ritrova invece suo malgrado imprigionato in una sorta di bolla spazio-temporale all’interno della quale scoprirà segreti sempre più agghiaccianti…

Gore Verbinski rappresenta il caso piuttosto anomalo di un regista ben inserito nel mainstream ma capace di donare ad ogni sua pellicola una visione personale e fuori da schemi consolidati; non sorprende allora che la sua carriera sia una sorta di viaggio sulle montagne russe, con vette stellari (The Ring, remake dell’omonimo J-horror, la trilogia dei Pirati Dei Caraibi, il western d’animazione Rango, addirittura premiato con l’Oscar) e tonfi più o meno clamorosi (la commedia pulp The Mexican, l’intimista The Weather Man e il western fumettistico The Lone Ranger); La Cura Dal Benessere si situa in questo secondo gruppo, poiché risulta ad oggi il suo film forse più ambizioso e al contempo più ostico e spiazzante, trattandosi di un corposo excursus che tocca gli estremi del grande cinema d’autore e del b-movie.

L’incipit, con la camera che passa in rassegna i grattacieli del distretto finanziario in una serata cupa e il sottofondo di un’inquietante nenia infantile, si rifà chiaramente a quello di Rosemary’s Baby di Roman Polanski; anche qui, come nel capolavoro del cineasta di origine polacca, il tema portante è quello dell’ossessione faustiana che, pretendendo di superare ogni limite, snatura l’essere umano rendendolo potenzialmente un mostro; essa può manifestarsi in varie forme, tutte facce di una stessa medaglia, che vanno dalla ricerca spasmodica del successo e dei beni materiali (Lockhart stesso si è fatto travolgere da questa dinamica: nel film, non a caso, non conosciamo il suo nome di battesimo, come se avesse perso la propria identità; la pellicola può essere letta anche come un percorso di redenzione – significativo, a questo proposito, il “dal” nel titolo – nel quale il giovane scioglie alcuni nodi cruciali legati sia al suo ambito lavorativo sia a quello familiare e può così salvare dal suo tragico destino anche l’altra anima in pena rappresentata dalla misteriosa Hannah) al vagheggiamento di un ideale di purezza assoluta o addirittura dell’immortalità da raggiungere attraverso un delirio scientista (aspetto simboleggiato dal mad-doctor Heinreich Volmer, un luciferino Jason Isaacs).

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Quando l’azione si sposta in Europa, e precisamente nella location principale del film (il castello di Hohenzollern, vicino a Tubinga, dove è stato ricostruito il centro di cura), si palesa immediatamente la principale fonte letteraria dell’opera di Verbinski, ossia il fondamentale romanzo di Thomas Mann La Montagna Incantata (il regista difatti ne mostra una copia nelle mani di un sorvegliante); non mancano, va detto, anche echi kafkiani e lovecraftiani, poiché la pellicola pian piano scivola da un piano di realtà ad uno più oscuro e metafisico.

Tornando al cinema, inizia qui una lunga parte dove si palesa un evidente debito con le atmosfere del Martin Scorsese di Shutter Island e con lo Stanley Kubrick più claustrofobico di opere come Shining o Eyes Wide Shut, dove i lunghi corridoi e le stanze che sembrano sempre senza via d’uscita generano un senso di oppressione sempre più marcato; sono presenti poi elementi di matrice più prettamente fantasy, soprattutto nelle sequenze in esterni nelle quali compare la già citata Hannah, interpretata da Mia Goth; vanno poi sicuramente segnalate alcune suggestioni argentiane, in particolar modo legate a Suspiria, rintracciabili sia nell’immagine ricorrente della ballerina di un carillon connessa alla figura della ragazzina, sia nella colonna sonora (Luca Guadagnino ha dato senza dubbio uno sguardo a La Cura Dal Benessere nell’approntare la sua rilettura, scritturando tra l’altro Mia Goth come coprotagonista), nonchè varie autocitazioni riguardanti soprattutto The Ring.

Annunciato da inserti via via sempre più corposi (c’è, ad esempio, la sequenza dell’estrazione cruenta di un dente che può rimandare sia al sotto-filone “torture” che ad esempi di cinema “alto” tipo Il Maratoneta di John Schlesinger), il genere prende poi decisamente il sopravvento nella parte finale della pellicola, dando modo a Gore Verbinski di sbizzarrirsi in una rivisitazione/omaggio del cinema horror (soprattutto dei primordi) nelle sue svariate forme: tocchiamo così l’eco-vengeance fantascientifico alla Esperimento Del Dottor K. con un twist legato alle onnipresenti anguille, il gotico morboso in stile Hammer poi ripreso da grandi del nostro cinema come Riccardo Freda e Mario Bava (si colgono riferimenti soprattutto a film come I Vampiri, L’Orribile Segreto Del Dr. Hichcock e Gli Orrori Del Castello Di Norimberga, quest’ultimo a sua volta fortemente debitore de La Maschera Di Cera di André De Toth del 1953, che qui viene espressamente citato nella scena dello schiaffo di Hannah nei confronti di Volmer) e a un certo punto vengono addirittura evocati gli zombi di romeriana memoria; insomma, di carne al fuoco il regista ne mette tantissima, e forse non sempre riesce a cuocerla nel modo più equilibrato, però averne di film girati con questa padronanza assoluta del mezzo (Verbinski crea inquadrature di una studiata geometricità sfruttando riflessi, chiaroscuri, visioni panoramiche, e così facendo, complice il rimarchevole lavoro di Bojan Bazelli alla fotografia, che passa con disinvoltura da un verdognolo slavato a una tavolozza di colori quasi irreale e fatata, ci consegna parecchie sequenze davvero mozzafiato) e con questa voglia di osare.

La Cura Dal Benessere, film piuttosto incompreso ma ragguardevole, è in definitiva una delizia per il cinefilo ma può essere goduto appieno anche da un pubblico più generalista che sia alla ricerca di un prodotto di qualità e non convenzionale.

Anton Chigurh

Mi chiamo Mattia, alias Anton Chigurh, classe 1975, ho fatto studi classici e sono orgogliosamente spezzino; cosa chiedo ad un film o ad una serie tv? Di farmi riflettere, di inquietarmi, di lasciarmi a bocca aperta, di divertirmi... Per sapere dove trovo tutto questo, leggete le mie recensioni su I Cinenauti!