GUINEA PIG 2 - FLOWER OF FLESH AND BLOOD
GENERE: Horror estremo, vm 18, torture porn, snuff
ANNO: 1985
PAESE: Giappone
DURATA: 42 min
REGIA: Hideshi Hino
CAST: Hiroshi Tamura, Kirara Yûgao, Anja Blagojevic
Il secondo capitolo della controversa saga di film horror estremi 18+, probabilmente il più disturbante, è ispirato ad un manga di Hideshi Hino. "Guinea Pig 2: Flower of Flesh and Blood" narra la storia di un serial killer che, dopo aver rapito una donna, la sottopone a un brutale massacro, sembrandole il corpo.
La trama è a dir poco banale. Inizia con una giovane donna che, mentre torna a casa dal lavoro, viene seguita e poi rapita da un uomo misterioso. Dopo essere stata narcotizzata, si risveglia legata a un letto, di fronte a un individuo di mezza età mascherato da samurai che affila coltelli. La scena che segue è emblematica: il rapitore le sgozza una gallina addosso, dichiarando che quella sarà la sua fine. Questo momento rappresenta l’inizio di un rituale macabro, che culminerà con lo smembramento totale, pezzo per pezzo, arto per arto, organo per organo, della donna col fine di aggiungere ogni singola parte alla straziante collezione del folle assassino.
“Guinea Pig 2: Flower of Flesh and Blood” è non solo sconvolge per la sua rappresentazione grafica della violenza, ma solleva anche questioni profonde riguardo al ruolo della donna nella società nipponica e alla sua disumanizzazione. La pellicola, parte della controversa saga di film horror estremo, è nota per aver spinto i confini del genere a livelli raramente esplorati all’epoca, diventando uno degli esempi più estremi e disturbanti del cinema horror.
Il medio metraggio (la pellicola dura infatti 42 minuti… e aggiungerei “per fortuna”) può essere interpretato come una rappresentazione estrema della disumanizzazione della donna, un tema che già emergeva nel primo “Guinea Pig Devil’s Experiment”, ma qui viene portato a nuovi livelli. Se nel primo capitolo la vittima era impotente di fronte alla brutalità maschile e non accennava nessuna reazione, in “Flower of Flesh and Blood” vediamo la martire che tenta in una fase iniziale di ribellarsi alla sua sorte. Tuttavia, il suo rapitore, vestito con abiti tradizionali, potrebbe simboleggiare l’ideologia maschilista più radicale della società giapponese, che, nonostante i tentativi di opposizione della donna, riesce comunque a sopraffarla attraverso la sedazione e la violenza.
Il killer, in una svolta narrativa inquietante, si rivolge direttamente alla telecamera in pieno stile mockumentary, spiegando nel dettaglio le sue azioni. Questo espediente trasforma il film in una sorta di documentario disturbante, girato dal punto di vista del maniaco. Egli descrive come la droga somministrata alla vittima le faccia percepire il dolore come piacere sessuale, un elemento che aggiunge un ulteriore strato di perversione alla narrazione. Gli effetti speciali estremamente realistici e l’audio di una qualità mostruosa – le ossa che si spaccano e spezzano mettono i brividi – infondono una sensazione di realismo che rende questo prodotto godibile solo agli stomaci più forti.
Non si può parlare del forte realismo di questo film senza menzionare l’aneddoto leggendario legato a Charlie Sheen. L’attore americano, infatti, entrò in possesso di una copia in VHS del film e lo scambiò realmente per uno snuff movie, al punto da coinvolgere persino l’FBI. Una serie di indagini e la visione del making-of del film rivelarono che si trattava semplicemente di una produzione cinematografica. Tuttavia, ancora oggi, il film viene spesso considerato, a causa delle sue caratteristiche, come un vero e proprio snuff movie.
Un aspetto che ho trovato particolarmente disturbante è il modo in cui il killer giustifica le sue azioni, dichiarando di voler trasformare il corpo della donna mutilandolo in un “fiore che sboccia”, un ideale di bellezza per lui. Questa visione perversa della bellezza può essere interpretata come una critica alla società giapponese, che impone alle donne di conformarsi a determinati standard, negando loro la possibilità di esprimere la propria individualità. La donna diventa così un oggetto da plasmare secondo il desiderio maschile, una rappresentazione perfetta di come la disumanizzazione possa avvenire non attraverso la meccanizzazione, come nel mondo cyberpunk, ma attraverso l’annientamento psicologico e fisico.
In conclusione, “Guinea Pig 2: Flower of Flesh and Blood” è un’opera che non si limita a scioccare, ma che a mio avviso invita anche a una riflessione profonda, seppur scomoda, su temi che rimangono rilevanti nella società nipponica contemporanea.