HANNIBAL

GENERE: drammatico, horror, crime
ANNO: 2012
PAESE: USA
DURATA: 3 stagioni, 39 episodi (conclusa)
DA UN’IDEA DI: Bryan Fuller
CAST: Hugh Dancy, Mads Mikkelsen, Laurence Fishburne, Caroline Dhavernas, Gina Torres, Gillian Anderson, Lance Henriksen, Zachary Quinto, Aaron Abrams
Hannibal è una serie tv statunitense che segue le vicende del profiler Will Graham e del famoso psichiatra forense Hannibal Lecter mentre lavorano insieme per catturare i serial killer più pericolosi del paese. La serie esplora la relazione complessa tra i due personaggi, con Graham che inizia a sviluppare una dipendenza dall'aiuto di Lecter nella risoluzione dei casi, nonostante le sue preoccupazioni per la sua sanità mentale.
Will Graham, docente di criminologia e profiler per l’FBI, ha la capacità di immedesimarsi nelle gesta dei più efferati serial killer al punto da ricostruire con precisione i loro processi mentali; questo “dono” però, nonostante gli garantisca stupefacenti successi professionali, finisce per minare a poco a poco la sua stabilità emotiva; il suo superiore Jack Crawford, capo della sezione di scienze comportamentali, decide così di affiancargli lo stimato psichiatra Hannibal Lecter, senza sospettare che, dietro l’apparenza di uomo colto e raffinato, celi in realtà un abisso di perversione; i due daranno vita ad un rapporto giocato sul filo sottile tra attrazione e repulsione e non privo di clamorosi colpi di scena…
Quando Bryan Fuller, sino ad allora produttore e sceneggiatore di serie tv quali Star Trek: Voyager e Dead Like Me, decise di focalizzare la sua attenzione sul cannibale più famoso del globo, erano già usciti quattro romanzi e cinque film concernenti un personaggio (e il mondo ad esso correlato) che, grazie all’interpretazione “iconica” di Anthony Hopkins e il conseguente successo planetario de Il Silenzio Degli Innocenti – opera spartiacque per quanto riguarda la rappresentazione della figura dell’assassino seriale -, era ormai entrato indelebilmente nell’immaginario collettivo; cosa restava quindi ancora da dire?
L’impresa di risultare originali senza però tradire troppo un qualcosa di ormai così “sedimentato” e amato da schiere di devoti appariva destinata a fallire in partenza: eppure Fuller, dimostrando coraggio e chiarezza di idee, ha centrato in pieno l’obiettivo.

Hannibal parla dei recessi più oscuri della psiche e conseguentemente è una serie cerebrale a livelli quasi parossistici, non solo negli snodi di sceneggiatura e nei dialoghi ma anche per quanto riguarda la sua “confezione” a trecentosessanta gradi: maniacale nelle scenografie, nei tagli di montaggio, nella scelta delle inquadrature, nei cromatismi della fotografia (spettacolare il lavoro di James Hawkinson), ogni momento sembra frutto di uno studio approfondito che da un lato punta a condensare il meglio dell’universo creato sulla pagina da Thomas Harris (partendo però dal Lecter pre-manicomio criminale – solo accennato nei libri dello scrittore del Tennessee -, fascinoso dandy amante del bello che rivelerà strada facendo la propria vera natura…) e dall’altro a dialogare costantemente con ciò che è già stato portato sullo schermo da registi talentuosi (Mann, Demme, Scott) o da semplici mestieranti (Ratner, Webber) – in pellicole che abbracciano uno spettro che va dall’eccellenza assoluta sino alla mediocrità – per poi operare delle “deviazioni”, mescolare alcune carte, anche in modo provocatorio e inaspettato (si tratti del cambiamento di genere di alcuni personaggi – come lo psichiatra Alan Bloom o il giornalista scandalistico Freddy Lounds – o altre intuizioni di sceneggiatura che è meglio non rivelare per non guastare la sorpresa), rimanendo però sempre dentro quel “mood” (Fuller per la regia dei singoli episodi si è affidato a una pletora di ottimi professionisti del calibro di John Dahl, Peter Medak, Vincenzo Natali e altri).
Siamo di fronte ad un’operazione meta-letteraria e meta-cinematografica raffinatissima e leggibile a più livelli: l’aspetto “procedural”, infatti, viene ben presto marginalizzato per puntare ad un’estetica del macabro (molto esplicita per quanto riguarda il “mostrare”) mediata da suggestioni noir (ad esempio quando è in scena una straordinaria Gillian Anderson in versione dark lady anni quaranta, e alla quale Fuller riserva un colpo di coda sublime; o, più in generale, per un “decor” anacronistico che qua e là fa capolino…) e financo tendenti al gotico (il segmento in Lituania sembra uscito da un film di Dracula), senza contare una dimensione onirico/delirante debitrice di certo Lynch; “l’assassinio come una delle belle arti”, dunque, in una “corrispondenza di sensi” tra la dissezione dei corpi, le visioni di Hieronymus Bosh, Sandro Botticelli, William Blake e l’alta cucina; ma il genio di Fuller sta nell’aver donato ad Hannibal, cavalcando un apparente paradosso, un “cuore” romantico, poiché dentro ad un universo dove, a ben vedere, non esiste qualcuno che sia scevro da doppiezza ed intenti manipolatori, ha raccontato quella che a conti fatti si rivela come un’incredibile storia di empatia quasi “amorosa” tra due individui che hanno la sfortuna di comprendersi talmente bene per non accorgersi di essere “alieni” rispetto al mondo: ecco il significato ultimo della “trasformazione”, non più uomini che diventano mostri ma mostri che si fanno umani, troppo umani…
E due mostri sono gli attori chiamati a dare corpo e anima a tale percorso, un Hugh Dancy capace di restituire “fisicamente” i tormenti di Will Graham e un Mads Mikkelsen che, a costo di essere tacciato di blasfemia, non esito a definire come il miglior Hannibal mai apparso sullo schermo, avendo sfrondato il personaggio di alcuni eccessi quasi caricaturali per evidenziarne invece la glaciale lucidità ma al contempo un tratto sentimentale molto terreno; e non va dimenticato, come necessario “ago della bilancia”, un Laurence Fishburne sornione e perfettamente centrato nei panni di Jack Crawford.
Non saranno magari per tutti i palati (mi si passi la battuta…) ma le tre stagioni di Hannibal rappresentano senza tema di smentita uno dei vertici della serialità televisiva contemporanea.