TOKYO FIST

TOKYO FIST

Tokyo fist i cinenauti recensioni film serie tv cinema

GENERE:         drammatico, azione

ANNO:             1995

PAESE:            Giappone

DURATA:         87 minuti

REGIA:            Shinya Tsukamoto

CAST:              Shinya Tsukamoto, Kahori Fujii, Kôji Tsukamoto

Aggiungi qui il testo dell’intestazioneShin'ya Tsukamoto è regista eclettico, visionario, geniale nonché padre del cyberpunk con Tetsuo e non potevamo aspettarci da lui un prodotto banale o scontato. Tokyo Fist è infatti un dramma dalle tinte horror che ruota intorno ad un classico triangolo amoroso ma che si presta a diversi piani di interpretazione. Opera considerata la più efficace del regista giapponese ha come protagonista l'uomo e il suo corpo in una Tokyo claustrofobica ed annichilente.

Tsuda (interpretato dallo stesso Shinya Tsukamoto) è un’impiegato di una ditta di assicurazioni, è il dipendente modello, non sgarra mai, dice sempre si e mette nel lavoro tutta la sua vita e tutte le sue energie. È sposato con Hizguru (Kaori Fujii) e il loro rapporto imputridisce nella noia e nella monotonia, la vita sessuale è assente ed è come se la donna non esistesse agli occhi del marito che prova solo una morbosa gelosia. Anche Hizguru è vittima degli schemi che la società giapponese impone, intrappolata nel ruolo di moglie succube e perfetta donna di casa.

Un giorno Tsuda incontra un suo vecchio compagno di scuola, Kojima (Kôji Tsukamoto), diventato negli anni un pugile professionista. Da quel momento Kojima inizia ad intrufolarsi sempre di più nella vita della coppia e mette al centro delle sue attenzioni la donna, profondamente attratta da un’uomo atletico, virile e che la fa sentire finalmente desiderata. Questa situazione manda inevitabilmente in escandescenza il marito fintantoché Hizguru abbandona il tetto coniugale per andare a vivere col boxeur. La reazione di Tsuda è drammatica. Fuori controllo decide di diventare anche lui un pugile e si sottopone ad estenuati allenamenti spesso condotti dallo stesso Kojima.

Ma c’è un vecchio segreto, un dramma irrisolto dai tempi del college, che unisce i due uomini: furono testimoni dell’omicidio di una ragazza da parte di un branco di stupratori e giurarono insieme di vendicarla. La vita però scorre e prende le sue strade: mentre Kojima ha passato gli anni a pianificare la vendetta, Tsuda, incentrato sulla carriera e sulla realizzazione di se, si è dimenticato del patto stretto con l’amico. Intorno a questo evento inizia a diventare determinante la figura di Higzuro che, quasi come reincarnazione della ragazza non vendicata, tira le fila della rivalità dei due uomini mettendoli costantemente contro e logorandoli singolarmente nel fisico e nell’animo. Una vendetta per la vendetta promessa e non perpetrata, una simbologia del senso di colpa che in un modo o nell’altro ti dilania.

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Tokyo Fist è un’esplorazione del corpo visto come un’involucro che imprigiona l’energia dei protagonisti e la violenza insieme al dolore sono gli unici modi per sentirsi vivi. Il corpo è main character nei fisici dei due uomini, martoriati e deformati dai duelli ma anche splendidi nella loro muscolatura tonica e lucida dal sudore; il corpo è il fulcro anche in Hizguro che vuole uscire dagli schemi soffocanti in cui è relegata dalla bigotta società giapponese ed inizia a ribellarsi tatuandosi e infilandosi sotto pelle qualsiasi tipo di ferraglia.

Per tutti i 90 minuti di proiezione sentiamo sul nostro corpo la costrizione della società e il desiderio di strapparci via pelle e carne per essere finalmente liberi. L’intero film è un’inno alla ribellione, alla frustrazione imposta dalle regole, al senso di sopraffazione causato dai nostri errori le cui conseguenze ci condizioneranno fino alla morte.

Shin’ya Tsukamoto (che non è solo il regista del film ma anche attore, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore) ci regala un’ora e mezza di adrenalina, di immagini frenetiche a ritmo di musica e pugni, di inquadrature inaspettate, di violenza e sangue, tanto sangue, perchè il corpo, simbolo dell’alienazione nella quale viviamo, deve esplodere per permetterci di essere liberi.