ELLE

ELLE

elle cinenauti recensioni film serie tv cinema thriller

GENERE:        thriller, drammatico

ANNO:             2016

PAESE:            Francia

DURATA:         130 minuti

REGIA:             Paul Verhoeven

CAST:                Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira

Elle. Un gatto sta osservando qualcosa mentre in sottofondo si sentono dei gemiti sempre più accentuati; controcampo, scopriamo un uomo mascherato (simile a Diabolik!) che sta abusando di una donna sul pavimento; concluso l'atto il tizio si allontana rapidamente; lei, invece, passato un attimo di smarrimento, si rialza, si dà una rassettata, raccoglie i cocci e poi dopo un bagno ristoratore, come se nulla fosse, ordina la cena per telefono.

Inizia così, in modo decisamente spiazzante, Elle, ultima fatica di Paul Verhoeven; ma il bello deve ancora arrivare…

Si dà il caso infatti che Michèle Leblanc, questo il nome della protagonista, sia una signora dalla vita particolarmente movimentata: è figlia di un uomo che quarant’anni prima ha compiuto una strage nel suo quartiere, e di una donna che, superati abbondantemente i settanta, sta meditando di risposarsi con un gigolò che potrebbe essere suo nipote.

Ha un ex marito, scrittore e insegnante spiantato, che corre dietro alle sue allieve, e un figlio mezzo tonto che sta per avere un bambino dalla fidanzata, una svitata che lo tratta come uno zerbino; per non farsi mancare nulla, poi, intrattiene una relazione sessuale con il marito della sua migliore amica nonché socia in affari (hanno un’azienda informatica che sviluppa videogiochi).

Michèle gestisce questo circo con polso fermo e notevoli abilità manipolatorie; ribalta il clichè che la vorrebbe vittima e si muove come farebbe l’eroina di una delle sue creazioni virtuali, superando ostacoli e rinascendo ogni volta più forte e determinata; così indaga per scoprire l’identità del suo assalitore e quando questi si ripresenta nella sua abitazione lo smaschera, iniziando con lui un gioco dal sapore sadomasochistico che finisce per intersecarsi con tutti gli altri nodi da sciogliere della sua vita.

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Se dal punto di vista della messa in scena Paul Verhoeven non calca troppo la mano e gira in modo più sobrio ed elegante rispetto al solito, non si risparmia davvero invece sul versante della sceneggiatura; adattamento di un romanzo dello scrittore francese Philippe Djian intitolato Oh, Elle, a dispetto di tematiche piuttosto “forti”, è un film pieno di un sarcasmo micidiale e di situazioni decisamente grottesche.

Nessuno scampa alla furia dissacratoria del regista olandese: perversioni sessuali, religione, morte, ipocrisia borghese, strumentalizzazione del dolore da parte dei media, Paul Verhoeven mena fendenti a destra e a manca e, minuto dopo minuto, si percepisce chiaramente quanto gusto provi nel sovvertire ogni regola (chi se non lui sarebbe capace di mostrare una donna che prima viene stuprata selvaggiamente – scena peraltro impressionante per realismo – senza fare una piega e in seguito si masturba osservando il vicino che sistema le statue del presepe?).

Pare che la pellicola si dovesse girare negli Stati Uniti ma vista la riluttanza di molte attrici americane ad interpretare la protagonista Verhoeven abbia dovuto spostare la produzione in Europa; è stata decisamente la sua (e la nostra) fortuna, perchè nessuno meglio della grande Isabelle Huppert avrebbe potuto portare al cinema un personaggio così sfaccettato ed ambiguo, al quale ha aderito con tutta la sua versatilità espressiva e anche la sua avvenenza (risultando perfettamente credibile nonostante una certa differenza di età rispetto a Michèle).

L’attrice francese, infatti, dà notoriamente il meglio di sé nei panni di donne algide e dalle emozioni controllate: chiare le similitudini, ad esempio, col ruolo di Erika Kohut ne La Pianista di Michael Haneke che le valse la Palma d’oro al festival di Cannes; stavolta la sua performance (coadiuvata da una serie di comprimari di ottimo livello) è stata invece gratificata con il Golden Globe (e la candidatura all‘Oscar), mentre il film ha ricevuto lo stesso premio come miglior pellicola straniera: una sorta di riconoscimento alla carriera piuttosto inaspettato ma meritato per un autore certamente discontinuo ma sempre arguto e originale, troppo spesso e a torto considerato invece solo un semplice mestierante.


Lunga vita a vecchi leoni come Paul Verhoeven che continuano a graffiare indicando ai più giovani la strada di un cinema anticonformista e pieno di verve.