LO SQUARTATORE DI NEW YORK
LO SQUARTATORE DI NEW YORK
GENERE: horror, thriller, vm18
ANNO: 1982
PAESE: Italia
DURATA: 91 minuti
REGIA: Lucio Fulci
CAST: Jack Hedley, Howard Ross, Almanta Keller, Andrea Occhipinti, Daniela Doria, Paolo Malco
Sangue, sesso e lacrime nella Grande Mela marcia, il paperino stavolta sevizia… Ecco in tutto il suo splendore malato Lo Squartatore Di New York, il vertice della cattiveria fulciana.
Siamo a New York: un serial killer che imita il verso di un papero uccide giovani donne con terribile sadismo; del caso si occupa il tenente Williams, ormai prossimo alla pensione, con l’aiuto del dottor Davis, docente universitario di psichiatria; grazie ad alcune testimonianze viene individuato come possibile autore un personaggio poco raccomandabile, l’immigrato greco Mikos Scellenda; alla base degli omicidi c’è però una verità più tragica e sconvolgente…
Per il suo ritorno in grande stile al thriller (genere che non frequentava dal 1977 con Sette Note In Nero) Lucio Fulci si rivolge a due sceneggiatori collaudati come Gianfranco Clerici e Vincenzo Mannino i quali inizialmente scrivono un copione incentrato su un assassino seriale affetto da progeria, una rara patologia che causa l’invecchiamento precoce; in un secondo tempo subentra Dardano Sacchetti che revisiona lo script cambiando le caratteristiche dell’omicida e aumentando considerevolmente, su imput di Fulci, il livello di efferatezza dei delitti (il soggetto originale, peraltro piuttosto interessante, verrà portato sullo schermo nel 1987 da Ruggero Deodato col titolo Un Delitto Poco Comune).
Prende così forma uno degli slasher più crudeli e radicali di sempre, un’opera nella quale Fulci riversa tutto il nichilismo e la disperazione che gli derivavano da una visione piuttosto cinica e disillusa dell’esistenza, acuita in quegli anni anche dalle note tragedie private (il suicidio della moglie e l’incidente a cavallo che rese disabile la figlia Camilla).
Teatro di questo incubo ad occhi aperti è una Grande Mela laida e corrotta, che è poi la stessa di lavori coevi come I Guerrieri Della Notte di Walter Hill (c’è un rimando a questa pellicola, quando assistiamo all’annuncio di uno speaker radiofonico del quale vengono inquadrate solo le labbra), Maniac di William Lustig o Cruising di William Friedkin, dove nessuno sembra essere al sicuro ma nemmeno innocente (ed anche chi lo è, e forse proprio per questo, subisce la condanna ad un destino infame, come vediamo nella straziante parte finale); Fulci prende di mira in special modo una borghesia da pubbliche virtù e vizi privati (sintetizzata nell’incredibile personaggio della ninfomane dalla doppia vita Jane Lodge, interpretata da Alexandra Delli Colli) e, oltrechè, come abbiamo rimarcato, con quello di altri autori contemporanei (compreso il John Landis di Un Lupo Mannaro Americano A Londra, espressamente citato in una sequenza di inseguimento in metropolitana e poi attraverso la locandina del film ben in vista) dialoga a più riprese col proprio cinema passato (la voce del killer che allude a Non Si Sevizia Un Paperino, uno dei suoi film più importanti e riconosciuti, creando un effetto macabro e straniante; la mano mozzata e l’occhio asportato con un rasoio che provengono direttamente da Zombi 2 e da L’Aldilà) gettando allo stesso tempo i semi per tante opere future (i notevolissimi cromatismi del grande Luigi Kuveiller – il quale non fa rimpiangere il collaboratore di vecchia data Sergio Salvati -, che raggiungono l’apoteosi nella sequenza dell’omicidio nel teatro a luci rosse, laddove Fulci crea una geniale soggettiva “interna” del corpo contundente, sono elementi omaggiati ad esempio da quei cultori della materia che rispondono al nome di Helene Cattet e Bruno Forzani nei loro sublimi Amer e Lo Strano Colore Delle Lacrime Del Tuo Corpo).
Spinge così il pedale sulla violenza grafica (gli omicidi sono tra i più sanguinari mai visti, grazie anche al lavoro al make up di Franco Di Girolamo e Rosario Prestopino, i quali per l’occasione sostituirono un altro elemento cardine dei set fulciani come Giannetto De Rossi) ma anche su quella psicologica, concedendosi persino un contorno di sesso ai limiti dell’hard, in un tour de force scandito dal ritmo incalzante della colonna sonora di Francesco De Masi (altro cambio in corsa vista l’indisponibilità del sodale Fabio Frizzi).
Non c’è catarsi possibile nello Squartatore Di New York, è un film dal quale si esce con una sensazione di disagio e di sfiducia palpabile nei confronti del mondo; ed anche certe traversie che ne hanno sempre condizionato la fruizione (esistono vari montaggi, alcuni dei quali minano a tratti la coerenza interna della pellicola) hanno contribuito al fascino maledetto di un’opera che può essere considerata come uno dei vertici della poetica del “terrorista dei generi” e al contempo probabilmente il suo canto del cigno, poiché da lì in avanti, assecondando una triste parabola fatta di problemi di salute sempre più invalidanti abbinati ad una progressiva marginalizzazione da parte dell’industria produttiva, questa forza sovversiva andrà spegnendosi (l’ultimo guizzo è rappresentato dal cult Un Gatto Nel Cervello del 1990, nel quale Fulci riflette con grande autoironia sulle ossessioni del proprio lavoro e della propria vita).