ROSEMARY'S BABY
ROSEMARY'S BABY
GENERE: horror
ANNO: 1968
PAESE: USA
DURATA: 136 minuti
REGIA: Roman Polansky
CAST: Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon, Sidney Blackmer, Maurice Evans, Ralph Bellamy
Rosemary's baby. Guy e Rosemary Woodhouse (interpretati rispettivamente dal regista John Cassavetes e da Mia Farrow) sono una coppia fresca di matrimonio appena giunta a New York; lui sta cercando di affermarsi nel mondo del cinema ma fatica ad ottenere parti importanti, lei invece è una dolce e genuina ragazza di campagna.
Finiscono per stabilirsi in un appartamento all’interno di un grande e austero palazzo; i loro vicini, Roman e Minnie Castevet (Sidney Blackmer e Ruth Gordon, premiata con l’Oscar per la miglior attrice non protagonista), che incontrano fortuitamente per la prima volta una sera in conseguenza di un tragico evento (il suicidio di una ragazza che gli anziani coniugi avevano accolto nella loro casa), si dimostrano subito amichevoli e colmi di attenzioni nei loro confronti, quasi al limite dell’invadenza; dopo un certo fastidio iniziale Guy sembra cominciare ad apprezzare la cosa, tanto da stringere un buon legame di amicizia con Roman, mentre Rosemary continua a viverla con un certo imbarazzo, gelosa com’è della propria intimità.
Guy viene finalmente scritturato per un ruolo da protagonista a causa di un incidente occorso ad un altro attore, e comunica a Rosemary il desiderio di avere un figlio; l’uomo insiste perchè il concepimento avvenga in un determinato giorno, nel quale organizza una serata a lume di candela; la ragazza però, dopo aver mangiato un dolce preparato da Minnie, accusa un mancamento e durante la notte ha un incubo nel quale i Castevet la consegnano a un essere mostruoso che la possiede.
Un mese dopo Rosemary scopre di essere effettivamente incinta, ma la gravidanza comincia a presentare un decorso problematico mentre la ragazza avverte sempre di più la sensazione di essere entrata in una trama assurda e incomprensibile; convintasi di un complotto ai suoi danni dopo aver scoperto alcuni segreti su Roman Castevet, prova una fuga che non va a buon fine; dopo il parto dovrà così fare i conti con una rivelazione sconcertante…
Per il suo primo film americano Roman Polanski decide di adattare l’omonimo romanzo di Ira Levin e gira quello che rimane l’archetipo insuperato del filone satanico, un concentrato di pura atmosfera che inquieta e suscita sgomento unicamente mettendo a nudo le contraddizioni e le perversità del quotidiano e di un’intera società che stava subendo profondi cambiamenti economici e di costume (non dimentichiamo che il film è del 1968).
Roman Polanski, attraverso la metafora del patto col diavolo per ottenere successo e ricchezza, squarcia il velo di Maya su un Occidente che ha ormai metabolizzato la “morte di Dio” e, guidato da una borghesia massonica, si sta incamminando verso un materialismo e un arrivismo esasperati che finiranno irrimediabilmente per corromperne le fondamenta (discorso che il regista polacco continuerà in altre sue opere, basti pensare alla figura del magnate Noah Cross di Chinatown, simbolo di un capitalismo sfrenato e senza limiti, o ai torbidi retroscena sulla gestione del potere alla base de L’Uomo Nell’Ombra); la pervasività di questo sistema sta diventando tale, dice il regista, che chi non avrà intenzione di conformarvisi o tenterà di porsi di traverso rischierà di venire emarginato, fatto passare per mentalmente disturbato quando non addirittura eliminato fisicamente (come Hutch, l’amico dei Woodhouse).
Rosemary stessa finirà per aderirvi nel modo più atroce possibile, ed è attraverso il suo personaggio che Polanski sviluppa un’interessante riflessione sul ruolo della donna all’interno di questo mutamento di prospettiva; Mia Farrow è impareggiabile nel restituire tutto il travaglio interiore e il candore di una ragazza schiacciata tra la responsabilità della maternità e il disagio che le provoca una vita sempre più distante dai valori con i quali è stata cresciuta; tutto il film potrebbe benissimo essere riletto come una proiezione delle sue paure più nascoste, aspetto che gli dona un ulteriore carico di ambiguità.
Dal punto di vista tecnico siamo davanti ad un’autentica lezione di cinema: ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni espressione facciale degli attori sono studiate per restituire un senso di claustrofobia e di disagio immanente (ricordiamo che questo è il secondo film della cosiddetta “trilogia dell’appartamento”, che comprende anche Repulsion del 1965 e L’Inquilino Del Terzo Piano del 1976) ); la nenia infantile di Krzysztof Komeda, che accompagna i titoli di testa e di coda dove Polanski omaggia il piano sequenza iniziale di Psycho, contribuisce a rendere l’insieme ancora più sinistro.
Vanno citate almeno una lunga sequenza onirica tra le più potenti della storia della settima arte (nella quale alcuni accreditano un cameo ad Anton LaVey, il fondatore della Chiesa di Satana, cosa però sempre smentita sia dal regista che dal diretto interessato) e il finale, dove Roman Polanski attraverso una gestione clamorosa degli spazi, del montaggio e delle performance degli attori crea un climax che gioca sull’antitesi tra il grottesco e il terrificante, arrivando addirittura a suggestionare non pochi spettatori che hanno creduto di vedere una fugace inquadratura del neonato, in realtà inesistente: magie che riescono solo ai fuoriclasse.
Rosemary’s Baby è anche uno dei film maledetti per eccellenza: un anno dopo la sua uscita l’attrice Sharon Tate, moglie del regista e incinta di nove mesi, venne barbaramente assassinata a Los Angeles da alcuni membri della setta del fanatico Charles Manson, in un tragico gioco di specchi tra realtà e finzione cinematografica; nel 1980, poi, John Lennon fu ucciso con cinque colpi di pistola da Mark David Chapman davanti all’entrata del Dakota Building (il palazzo dove risiedeva, lo stesso abitato dai Woodhouse nel film…).
Al di là di questi aspetti Rosemary’s Baby è un capolavoro assoluto, citato innumerevoli volte e continua fonte di ispirazione per chi nel cinema ricerca l’elemento occulto e perturbante che si cela dietro la vita di tutti i giorni.