SUSPIRIA

SUSPIRIA

Suspiria di guadagnino i cinenauti recensioni film serie tv cinema

GENERE:        horror

ANNO:             2018

PAESE:            Italia, USA

DURATA:         152 minuti

REGIA:            Luca Guadagnino

CAST:               Dakota Johnson, Tilda Swinton, Mia Goth, Lutz Ebersdorf, Jessica Harper, Chloë Grace Moretz

Il progetto di una nuova versione di Suspiria, lanciato e poi messo in naftalina da Hollywood, giunge infine nelle mani di Luca Guadagnino, il quale, desideroso di omaggiare un cult della sua adolescenza e al contempo dimostrandosi un cineasta dalla spiccata personalità, non si fa imbrigliare nella mera riproposizione pedissequa, ma, al contrario, reinventa radicalmente il materiale di partenza.

L’idea chiave del regista e dello sceneggiatore David Kajganich (già co-autore di A Bigger Splash e apprezzato poi nella serie The Terror) è quella di ambientare il film nella Berlino del 1977 (anno di uscita della pellicola di Argento), allargandone quindi il contesto e legandolo alla realtà storica; da fiaba orrorifica ammantata di suggestioni esoteriche (grazie soprattutto alla spinta propulsiva di Daria Nicolodi, cultrice della materia) Suspiria si trasforma così nella riflessione sui prodromi del mutamento di un’epoca, sul senso di colpa e sulle logiche perverse del potere, risultando una pellicola che si presta a varie chiavi di lettura.

Guadagnino condensa in un prologo criptico e schizofrenico i nessi causali sui quali si regge la struttura metaforica dell’opera: il dottor Klemperer (personaggio chiaramente ispirato alla vita e all’opera di Victor Klemperer, filologo ebreo-tedesco il quale scrisse “LTI: La Lingua Del Terzo Reich”, una chirurgica disamina, in forma diaristica, della corruzione del linguaggio da parte del regime nazista al fine di manipolare le masse), anziano psicanalista tormentato da orrori passati e da rimorsi mai sopiti (non riuscì ad impedire la deportazione della moglie; il vero Klemperer, al contrario, fu perseguitato e si salvò grazie alla moglie “ariana”), riceve una ragazza, in evidente stato di alterazione, che gli parla di una scuola di danza governata, a suo dire, da una congrega di streghe, mentre fuori dalla finestra si ascolta l’eco dei tumulti del presente; il plot, partendo dal dramma privato dell’uomo, va a tracciare l’autobiografia di un continente e della sua nazione cardine, illustrandone al contempo i fremiti in atto: all’ombra del muro che incombe sotto un cielo perennemente plumbeo – dove convivono i retaggi striscianti del nazismo, i movimenti protestatari con tutte le loro contraddizioni, le avanguardie artistiche, il terrorismo, le trame occulte – prende forma un percorso di espiazione “allucinatorio”, individuale e collettivo, con la Tanz Akademie a fungere da “loggia nera” all’interno della quale un’intera società si trova a fare i conti con i propri “dèmoni”.

Susie Bannion rappresenta allora quella “fine della storia” che, giunta da oltreoceano, spazzerà via le vecchie logiche (non solo a livello politico, ma anche nel costume e nelle forme di comunicazione), imponendo un nuovo ordine solo apparentemente “aperto” e pacifico (l’era dell’edonismo e del “disimpegno” che sfocerà in quella che verrà chiamata “globalizzazione”) ma che in realtà comporterà il prezzo della rinuncia alla memoria (simbolicamente cancellata con un gesto) e quindi la perdita di radici e punti di riferimento.

Forte di questa ricchezza tematica e di questo ribaltamento di prospettiva Luca Guadagnino riesce a bilanciare efficacemente l’anima più cerebrale della pellicola con quella maggiormente di genere (con un amplissimo spettro di influenze che può partire, per citarne solo alcuni, dallo Zulawski di Possession, transitare per Fassbinder ed approdare a Fulci), e si dimostra un virtuoso della macchina da presa: l’impressionante “disarticolazione” di una ballerina, il lungo piano sequenza della votazione delle streghe, le scene di danza splendidamente coreografate, i sogni angoscianti, le soggettive insolite, tutto il film è costellato da momenti di grande impatto visivo e di perfezione formale; nel prefinale poi il regista siciliano osa con un sabba sopra le righe, tripudio di grottesco e “gore” che culmina in una sorta di performance di videoarte (condensando i finali della trilogia delle Madri argentiana: un convegno stregonesco, l’apparizione della morte e l’uccisione di Helena Markos).

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La realizzazione tecnica è di primissimo livello, con una fotografia desaturata dai toni prevalentemente rossi, grigi, verdi e marroni (all’opposto dei colori accesi di Tovoli), le scenografie curate nei minimi dettagli (l’accademia è stata ricostruita dentro un albergo abbandonato nei dintorni di Varese), gli effetti speciali perlopiù “artigianali” (la cgi, non a caso, diviene protagonista, in un modo un po’ ridondante e kitsch, solamente nel momento in cui il “nuovo” si fa largo in maniera cruenta) e un montaggio (curato da Walter Fasano) che fa la parte del leone dovendo assecondare una certa maniacalità nella sottolineatura dei particolari e incastrare sequenze alternate, flashback e momenti onirici; il commento musicale è affidato a Thom Yorke, leader dei Radiohead, che compone per l’occasione un tappeto sonoro fatto di note di pianoforte e arrangiamenti orchestrali, mentre la sua voce malinconica dona un sottile senso di inquietudine ai momenti salienti della pellicola.


Menzione speciale merita il cast quasi esclusivamente femminile: una Dakota Johnson mai così in parte come nei panni di Susie Bannion regge il confronto con la meravigliosa Madame Blanc di Tilda Swinton (presente, sotto mentite spoglie, in altri due ruoli cruciali…), “modellata” sulla figura della famosa ballerina e coreografa tedesca Pina Bausch; significativo anche il contributo di talentuose interpreti come Mia Goth, Chloe Grace Moretz, Sylvie Testud e delle veterane Angela Winkler e Ingrid Caven; come doveroso tributo compare in un cameo Jessica Harper, la Susy originaria.


Film complesso e coraggioso, Suspiria 2018 è cinema vibrante, che non lascia indifferenti, e rappresenta una sfida decisamente vinta (anche in barba ai pregiudizi di molti ultrà argentiani); l’invito pertanto è quello di non fare troppi confronti perchè quest’opera brilla di luce propria, affermandosi come uno tra i più interessanti e peculiari horror (anche se qui la definizione va presa un po’ in senso lato) degli ultimi anni.