STRADE PERDUTE
STRADE PERDUTE
GENERE: thriller
ANNO: 1997
PAESE: USA
DURATA: 134 minuti
REGIA: David Lynch
CAST: Bill Pullman, Patricia Arquette, Balthazar Getty, Robert Blake, Robert Loggia
Un corto circuito criptico e sensuale, malato e perturbante, l'inizio del viaggio nell'impero della mente da parte di un artista immenso: signore e signori, Strade Perdute di David Lynch.
Il sassofonista Fred Madison e la moglie Renee hanno un menage piuttosto complicato: l’uomo non riesce a soddisfarla sessualmente e sospetta che la consorte lo tradisca, visti anche i legami di lei con personaggi poco raccomandabili e i trascorsi equivoci; un giorno qualcuno suona al citofono del loro appartamento e quando Fred va a rispondere ascolta una voce misteriosa che gli annuncia la morte di un certo Dick Laurent; la cosa sembra non turbarlo più di tanto, ma le stranezze non sono finite: si dà il caso infatti che i due coniugi comincino a ricevere delle videocassette con riprese della loro abitazione, prima all’esterno e poi addirittura sino in camera da letto mentre stanno dormendo; i poliziotti, non trovando segni di effrazione o altri elementi sospetti, si limitano a suggerire loro di riattivare il sistema di allarme; una sera ad una festa, poi, Fred viene avvicinato da un inquietante personaggio il quale, porgendogli un cellulare e invitandolo a comporre il proprio numero, dimostra di essere in quello stesso momento anche a casa del musicista… Fred sprofonda così in un lento delirio allucinatorio, sino a quando, improvvisamente, è costretto a prendere coscienza di una terribile realtà…
Reduce dal successo planetario di una serie a dir poco seminale come I Segreti Di Twin Peaks, David Lynch nel 1992 presenta a Cannes – dove due anni prima aveva ottenuto la Palma d’oro con Cuore Selvaggio grazie al presidente di giuria Bernardo Bertolucci, conquistato dal lavoro del Nostro – Fuoco Cammina Con Me, sorta di prequel attraverso il quale svela alcuni enigmi relativi ad essa (naturalmente creandone di nuovi, come è sua abitudine…) ma allo stesso tempo rimescola le carte sino a prendere simbolicamente le distanze da quel mezzo televisivo del quale aveva sì sfruttato le enormi potenzialità, ma al prezzo di venire “castrato” nella libertà creativa, ricavandone un forte senso di frustrazione (ricordiamo che la ABC impose di rivelare la soluzione del mistero a circa metà della seconda stagione, cosa che portò il regista e il co-sceneggiatore Mark Frost, decisamente contrari, a seguire con distacco gran parte degli sviluppi successivi – effettivamente caratterizzati da sottotrame più deboli e da un registro maggiormente farsesco che tradiva quell’alone di mistero e di tensione concepito dai creatori -, salvo poi tornare al timone per le puntate conclusive); il pubblico e la critica però non recepiscono il messaggio voltandogli clamorosamente le spalle (va detto che l’opera col tempo è stata ampiamente rivalutata, complici anche le edizioni in home video che hanno recuperato e reintegrato molte parti di girato non incluse nel montaggio iniziale, contestualizzandola in modo più ampio), insomma a tutti pare che Lynch abbia perso il tocco magico e la via maestra; perciò quando nel 1997 esce nei cinema, un po’ in sordina, il suo nuovo lavoro intitolato Strade Perdute, viene spontaneo pensare ad un’operazione di basso profilo se non squisitamente autoironica: niente di più lontano dalla realtà…
È notte, David Bowie canta “I’m deranged” mentre in soggettiva siamo su un’automobile che corre follemente lungo la mezzeria di una strada deserta e completamente buia: il film sta già tutto qui, in un incipit folgorante che deve qualcosa a quello di Un Bacio E Una Pistola di Robert Aldrich, pellicola spartiacque tra il noir classico e quello postmoderno (della quale cita anche, in seguito, l’immagine della baracca in fiamme), ed è la storia di un individuo che ha perso definitivamente l’equilibrio, che è in fuga da sé stesso, dai sensi di colpa, dalla propria vita e dalla propria morte; ma facciamo un passo indietro…
Lynch concepisce la sceneggiatura insieme allo scrittore Barry Gifford (la cui serie di racconti incentrata sui personaggi di Sailor e Lula aveva costituito il soggetto di Cuore Selvaggio), facendovi convergere molteplici suggestioni: di quelle prettamente attinenti alla settima arte si è già accennato poco sopra, ma possiamo sicuramente integrarle chiamando in causa due capolavori hitchcockiani come La Donna Che Visse Due Volte e Psycho (anche qui abbiamo la protagonista femminile che si “sdoppia” ed un personaggio centrale che a metà film scompare facendo ripartire da capo la narrazione), senza contare Viale Del Tramonto, uno dei suoi film del cuore (in fondo anche Strade Perdute è il viaggio nella psiche di un uomo in procinto di essere giustiziato o forse al momento stesso del trapasso); ex post si possono aggiungere un paio di considerazioni: l’idea delle videocassette sarà ripresa da autori quali Hideo Nakata in The Ring dell’anno successivo e Michael Haneke in Niente Da Nascondere del 2005, mentre è curiosa la coincidenza legata alla scelta di Robert Blake (il Baretta dell’omonima serie tv) per interpretare il sinistro Mystery Man: l’attore venne infatti arrestato nel 2002 con l’accusa di uxoricidio (al processo fu però assolto), esattamente lo stesso tema sul quale è incentrata la pellicola…
Lynch non si fa mancare altresì alcuni suoi cavalli di battaglia come le tende che “fluttuano” nell’oscurità, il fuoco, l’elettricità e quell’atmosfera da “anni cinquanta che incontrano gli anni novanta”, aggiungendo poi elementi desunti direttamente dal proprio vissuto: la famosa sequenza del citofono, che ci consegna un altro tormentone iconico – da “Chi ha ucciso Laura Palmer” a “Dick Laurent è morto” il passo è breve – si riferisce ad un episodio accadutogli realmente, mentre il mood generale dello script riflette la vera e propria ossessione con la quale in quel momento stava seguendo il processo a O.J. Simpson, l’ex campione di football americano accusato di aver ucciso la moglie e il di lei amante (e poi assolto con un verdetto molto controverso); Lynch era rimasto colpito soprattutto dall’apparente tranquillità dell’imputato di fronte ad accuse così gravi, come se fosse riuscito ad “estraniarsi da sé stesso”: eccola l’idea-chiave del film, quella “fuga psicogena” la quale a sua volta innesca un loop di azioni e reazioni che vanno a formare un costrutto metaforico/filosofico altrimenti denominato in termini matematici “nastro di Moebius”; assistiamo così ad una destrutturazione del tempo, dello spazio e dell’identità che a livello di messa in scena si serve dei clichè del noir – la dark lady, il gangster, il passato torbido che ritorna ecc. – per smontarli e superarli, immergendoci dentro ad un incubo kafkiano ma allo stesso tempo molto “tangibile”; Strade Perdute è infatti, insieme a Eraserhead, il film più realmente “horror” di David Lynch, pregno però di un orrore legato a sentimenti, paure e pulsioni quotidiane, comuni (che qui attengono alla vita di coppia mentre là invece più specificamente alla genitorialità), ed è perciò leggibile anche in chiave freudiana attraverso il conflitto tra Io (Fred), Super Io (Dick Laurent/Mr. Eddie) ed Es (Mystery Man); non a caso risulta anche tra i meno inclini a virate grottesche – l’unico “scarto” evidente è forse rappresentato dalla macro-sequenza del viaggio in macchina di Pete con Mr. Eddie (uno splendido Robert Loggia), che rimanda a quella piuttosto analoga presente in Velluto Blu, altra fondamentale opera di “reinvenzione” dell’hard boiled, in quel caso a sfondo voyeristico e sadomasochistico -.
Tuttavia un approccio meramente interpretativo di Strade Perdute, per quanto stimolante, non può che risultare riduttivo, poichè, come sempre per quanto riguarda il genio di Missoula, è preferibile attenersi alla prescrizione di “vivere” i suoi film come un’esperienza sensoriale, che qui risulta oltremodo appagante: l’impasto tra i movimenti di macchina sinuosi che vanno a lambire i corpi dei protagonisti (i perfetti ed enigmatici Bill Pullman, Patricia Arquette e Balthazar Getty, oltre a quelli già nominati) e ad esplorare gli spazi con una concezione pittorica e metafisica (una curiosità: Lynch si è occupato personalmente di arredare la casa di Fred e Renee realizzando i mobili e dipingendo i quadri che vediamo alle pareti – del resto sappiamo che è un apprezzato artista anche in questo campo, tanto da aver tenuto mostre in gallerie di tutto il mondo -), le luci cangianti di Peter Deming unite al montaggio magistrale di Mary Sweeney nel sottolineare i vari passaggi emotivi e percettivi, il maestoso sound design curato come di consueto dallo stesso regista e l’incredibile colonna sonora che affianca a pezzi originali del fido Angelo Badalamenti (che approfittiamo per ricordare con deferenza) capolavori che spaziano dal già citato David Bowie ai Nine Inch Nails, agli Smashing Pumpkins, a Lou Reed, ai This Mortal Coil, a Barry Adamson, ai Rammstein e a Marylin Manson (presente all’interno del film insieme al chitarrista Twiggy Ramirez in un videoclip porno-snuff!) – tutti fattori, per inciso, esaltati dal nuovo restauro in 4k visibile in questi giorni al cinema e curato dalla Cineteca di Bologna su supervisione dell’autore – rappresenta infatti un esempio preclaro di arte cinematografica allo stato puro.