LA TALPA

GENERE: drammatico, thriller
ANNO: 2011
PAESE: Gran Bretagna, Francia
DURATA: 127 minuti
REGIA: Tomas Alfredson
CAST: Gary Oldman, Colin Firth, Tom Hardy, John Hurt, Toby Jones, Mark Strong, Benedict Cumberbatch, Ciarán Hinds, Stephen Graham, Simon McBurney
La Talpa. Siamo a Londra nel 1974: George Smiley, ex vice-capo dell'MI6 britannico (qui chiamato Circus) messo a riposo in seguito ad un incidente diplomatico scaturito dal fallimento di una missione coperta a Budapest, viene reclutato in via ufficiosa dal sottosegretario del tesoro Oliver Lacon per indagare sulla possibile presenza di una talpa ai vertici del servizio segreto; Smiley accetta l'incarico e con l'aiuto di un paio di fidati collaboratori inizia a dipanare una matassa intricata nella quale si intrecciano questioni di sicurezza nazionale con aspetti legati alla sua vita privata...
George Smiley è un personaggio chiave nell’immaginario creato dal grande scrittore britannico John Le Carrè (scomparso proprio in questi giorni): appare per la prima volta in due opere a cavallo dei primi anni sessanta, Chiamata Per Il Morto (dal quale il grande Sidney Lumet ha tratto un bel film nel 1966, interpretato da James Mason) e Un Delitto Di Classe, ma è con la trilogia composta da La Talpa (versione romanzata dello scandalo dei “Cinque di Cambridge”, tra i quali il famoso doppiogiochista Kim Philby, che terremotò l’MI6 quando Le Carrè era ancora un agente in servizio, e il cui titolo originale, ispirato ad una celebre filastrocca inglese, è Tinker, Tailor, Soldier, Spy), L’Onorevole Scolaro e Tutti Gli Uomini di Smiley (la BBC ha prodotto, nel 1979 e nel 1982, due miniserie di grande successo – grazie soprattutto all’interpretazione di Sir Alec Guinnes nei panni del protagonista – basate sul primo e sul terzo libro) che la sua figura si staglia come una delle più interessanti ed anche anomale all’interno della letteratura spionistica.
Smiley viene descritto da Le Carrè come uno che “somiglia ad un rettile perchè sembra abbassare la sua temperatura fino a che non diventi la stessa della stanza in cui si trova”, insomma una sorta di “travet” dotato sì di grande intelligenza e cinismo nel gestire le delicate questioni lavorative ma mediocre ed inadeguato nell’esistenza quotidiana; non a caso è stato efficacemente definito come l’“anti-Bond” per eccellenza.
Caratteristiche che Gary Oldman, scelto per interpretarlo in questa nuova trasposizione de La Talpa, riproduce in modo perfetto e quasi maniacale attraverso una performance tutta in sottrazione affidata a piccoli gesti e impercettibili movimenti del viso e degli occhi; il film asseconda il “passo” lento e inesorabile del suo protagonista, procedendo per ellissi (gli sceneggiatori Peter Straughan e
Bridget O’Connor – precocemente scomparsa durante le riprese – hanno condensato mirabilmente il materiale di partenza in una struttura a matrioska, poi esaltata da un montaggio preciso al millimetro) e calandosi dentro il contesto plumbeo, paranoico e burocratico tratteggiato dalla penna dello scrittore di Poole grazie alla strepitosa regia di Tomas Alfredson (già autore, con Lasciami
Entrare, di uno dei migliori horror della prima decade degli anni duemila); il quale a questo scopo sceglie, insieme al direttore della fotografia Hoyte Van Hoytema (che in seguito diventerà sodale di Christopher Nolan), di affidarsi a colori “smorti” e ad un’immagine granulosa e “analogica” (il film è girato appositamente in pellicola), filmando i personaggi con un taglio “voyeristico” (da lontano,
semi-nascosti o attraverso porte, finestre ecc.) in modo da suscitare la sensazione che qualcuno sorvegli costantemente le loro mosse – come se fossero pedine sulla scacchiera di un gioco spietato -, ma anche ponendo in risalto oggetti o piccoli dettagli importanti a livello narrativo, memore soprattutto della lezione hitchcockiana.

Molte sono le qualità di questo adattamento, sostanzialmente fedele allo spirito del testo (ne conserva, oltre all’impianto di fondo, quel sottile humour british – ad esempio i nomignoli affibbiati ad apparati ed agenti dei servizi segreti, nemici compresi come il mitico capo del KGB Karla; l’ironia suprema rimane comunque quella di aver dato il nome “Smiley” ad un personaggio così grigio… – ) ma anche piuttosto “libero” (per precisa volontà dello stesso Le Carrè, coinvolto nelle vesti di consulente e coproduttore, nonché visibile in un cameo durante una festa di Natale messa in scena dal regista svedese come un ritrovo dopolavoristico quasi in stile “fantozziano”…): dalle scenografie curatissime (si veda come sono stati concepiti gli interni della sede del Circus) alle straordinarie location (tra le quali spicca la splendida galleria Parizsi di Budapest dove è girata una delle sequenze più importanti ed elaborate del film), per non parlare di un cast che annovera tre generazioni della grande scuola attoriale britannica (oltre ad Oldman, abbiamo tra gli altri John Hurt, Colin Firth, Benedict Cumberbatch, Tom Hardy, Mark Strong, Ciaran Hinds, Toby Jones…); ma colpisce soprattutto la sua dimensione profondamente sentimentale, che gli conferisce, sotto la parvenza di un solido film di spionaggio, anche la statura di grande melodramma intimista.
La Guerra Fredda di Le Carrè ed Alfredson mette in ballo la complessità dell’animo umano e dei rapporti interpersonali più che quella delle questioni geopolitiche: sono l’amore tradito, quello perduto o quello mai confessato (viene mantenuto anche tutto il sottotesto omoerotico che fece da sfondo alla vicenda reale) a innescare potenti reazioni a catena, con i sensi di colpa, la nostalgia, la solitudine, la doppiezza necessaria ma alla lunga insostenibile, la fede in un ideale incrinata dall’insofferenza verso quello che ormai è percepito come un ridicolo teatrino a fare da corollario; non è strano, allora, che quasi tutti i personaggi principali de La Talpa a un certo punto si ritrovino a piangere, perchè anche dietro ad una spia c’è una persona comune con le proprie fragilità interiori; ed è con una lacrima di sangue – tocco di classe sopraffino – sulle note del classico francese La Mer cantato da Julio Iglesias all’Olimpia di Parigi nel 1976 (è l’altro Iglesias, Alberto, invece, a occuparsi di una colonna sonora che punta su atmosfere soffuse con qualche inserto jazzato) che Tomas Alfredson congeda colui che ha rinnegato un Occidente ai suoi occhi ormai imbruttito e in decadenza, prima di regalare un finale catartico al suo antieroe.
La Talpa, accolto tiepidamente dal grande pubblico per la presunta astrusità della trama e per un ritmo giudicato troppo macchinoso (tanto da bloccare sul nascere la progettata trasposizione degli altri due capitoli della saga di Smiley), è in realtà un’opera preziosa, da guardare e riguardare per coglierne sfumature sempre nuove, che riporta alla luce ed aggiorna con stile e personalità, attraverso uno dei suoi generi cardine, un’idea di cinema “classico” purtroppo ormai quasi del tutto scomparsa.