BACURAU
GENERE: thriller, drammatico
ANNO: 2019
PAESE: Brasile
DURATA: 92 minuti
REGIA: Juliano Dornelles, Kleber Mendonça Filho
CAST: Udo Kier, Sonia Braga, Chris Doubek, Jonny Mars, Alli Willow, Karine Teles
A Bacurau, villaggio situato nella regione brasiliana del Sertão che prende il nome da un uccello notturno, sono giorni di lutto per la morte della novantaquattrenne matriarca Carmelita; nonostante una situazione di povertà resa ancor più difficile dalla costruzione di una diga che ha di fatto tagliato loro gli approvvigionamenti di acqua, gli abitanti trascorrono l'esistenza con dignità e fierezza; il peggio, però, deve ancora arrivare, poiché ad un tratto si accorgeranno di essere diventati i bersagli di un sadico gioco al massacro...
A tre anni dall’interessante Aquarius – con protagonista assoluta l’intensa e bravissima Sonia Braga, anche qui presente nel ruolo dell’eccentrica dottoressa del paese – torna il regista brasiliano Kleber Mendonça Filho, coadiuvato per l’occasione dal suo scenografo Juliano Dornelles; già la pellicola precedente – storia di una donna in lotta contro gli speculatori edilizi che le vorrebbero portare via il suo appartamento sul lungomare di Recife – metteva in campo il tema della preservazione dell’identità e delle radici in un contesto sempre più avviato verso l’omologazione di vite e di pensieri; in Bacurau, se vogliamo, l’aspetto politico si accentua maggiormente, ma viene anche risolto in maniera più originale e spiazzante.
Si parte da un’introduzione quasi western (strizzando l’occhio a Leone e Corbucci quando lungo la strada compaiono misteriosi ed inquietanti cumuli di bare…), con l’arrivo in un paesino dimenticato da Dio – e in seguito anche da quella divinità “terrena” chiamata tecnologia, nel momento in cui, con una geniale svolta narrativa, scompare improvvisamente dalle mappe satellitari… – , del quale piano piano scopriamo volti, caratteri, usanze, tradizioni; ma il film si fa ben presto “obliquo”, ci sono piccoli flashback che rimandano a qualcosa di poco chiaro, forse visioni lisergiche, forse un passato oscuro; l’apparizione di un drone che ha le sembianze di un disco volante sembra trasportarci dalle parti della fantascienza distopica, ma basta poco per tornare sulla terra: un massacro terribile in una fattoria, due “turisti” in motocicletta apparentemente innocui e spaesati, qualcuno che ha sete di sangue innocente e dà il via alle “danze”…
Ci vuole un attimo, allora, per approdare su lidi “carpenteriani” e per avvertire addirittura, in un segmento finale che non lesina squarci splatter, la presenza di Monsieur Cannibal Ruggero Deodato, senza dimenticare i riferimenti al genere denominato Cangaço, ispirato al banditismo di inizio novecento (qui incarnato soprattutto dall’ambigua figura di Lunga).
Mendonça Filho tiene le redini di questo “pastiche” con mano ferma e notevoli intuizioni a livello di regia e di fotografia (il suo cinema, in questo caso, è abbastanza accostabile a quello del Craig Zahler di Bone Tomahawk): il film, infatti, è ambientato in un futuro prossimo che è già, di fatto, il nostro presente, ma è girato in uno stile che rimanda a tratti al B-movie anni settanta, con l’uso di lenti anamorfiche, dissolvenze e cambi di scenario cosiddetti “a tendina” tipici del periodo; l’insieme è reso poi ancora più straniante dall’inserimento di un commento musicale – dove a un repertorio più tradizionale si mescolano i ritmi della techno, ma anche un cantastorie locale con la sua chitarra… – spesso volutamente dissonante rispetto a ciò che viene mostrato sullo schermo.
Il pregio di Bacurau, Premio della giuria al festival di Cannes 2019, è, in definitiva, quello di affrontare temi estremamente seri senza prendersi troppo sul serio, anzi donando un gustoso taglio “weird” a tutta l’operazione, col risultato che, paradossalmente, la parte più “militante” ne esce rafforzata; partendo dall’attuale situazione del suo Paese, Mendonça Filho va infatti a fotografare le piaghe purulente del modello socio-economico liberista: chi ha ancora la pretesa di vivere in comunità, senza demonizzare il progresso (gli abitanti del villaggio usano cellulari e tablet) ma nemmeno facendone un feticcio, tramandando una sapienza antica che insegna, in sostanza, un rapporto più equilibrato e armonico con le cose della vita e quelle della morte (divenuta, invece, quest’ultima, un tabù nel mondo occidentale), rifiutando di essere usato come cavia da laboratorio (significativo l’accenno alla somministrazione di farmaci in funzione del controllo sociale) ma battendosi per avere ciò che a tutti spetta di diritto per la sopravvivenza, sarà sempre più emarginato e “cacciato”, qui da intendere proprio nel senso di divenire preda; e non è più soltanto questione di imperialismo o di neo-colonialismo, che dir si voglia (benchè la strategia geopolitica degli Stati Uniti nei confronti del Sudamerica salga ovviamente sul banco degli imputati): ci si misura ormai con un potere totalmente intangibile, perso nel suo nichilismo e nel suo delirio di onnipotenza, agli occhi del quale coloro che considera sudditi sono niente più che animali dentro ad una riserva, e che può contare su fiancheggiatori e utili idioti sempre pronti alla bisogna…
Ma chi ha una storia e ne conserva gelosamente la memoria (in paese, non a caso, esiste un museo con fotografie e “oggetti” inequivocabili…) sarà sempre disposto a lottare, con ferocia uguale e contraria (o persino superiore) a quella dell’oppressore; questo è il grido di speranza che lancia Bacurau: la resistenza è possibile, anche se vincere qualche battaglia non significa che si vincerà la guerra; perchè, come ringhia alla fine un allucinato Udo Kier, quasi redivivo colonnello Kurz, “Questo è solo l’inizio…”
Che gran film!