LE DOULOS - LO SPIONE

GENERE: poliziesco, thriller
ANNO: 1962
PAESE: Francia
DURATA: 108 minuti
REGIA: Jean-Pierre Melville
CAST: Jean-Paul Belmondo, Serge Reggiani, Jean Desailly, Fabienne Dalí, Michel Piccoli
Storie di vita e di malavita, l'amicizia, l'onore e il tradimento nella Parigi degli anni '60. Un ladro che tradisce altri criminali si prepara al colpo della sua vita aiutato dell'amico fidato che, tuttavia, potrebbe essere altrettanto inaffidabile quanto lui. Questo è "Lo spione", probabilmente l'opera più significativa del Maestro Melville.
Il rapinatore Maurice Faugel uccide un ricettatore e lo deruba di svariati gioielli, bottino di una grossa rapina; nascosta la refurtiva si reca nella propria abitazione, dove lo aspetta la fidanzata Thérèse, con l’intento di crearsi un alibi; lì riceve la visita del vecchio amico Jean e di un altro conoscente del “giro”, Silien: quest’ultimo gli illustra il piano per un colpo in una villa, che Maurice alla fine accetta di compiere insieme ad un complice, Remy; le cose però si mettono male perchè la polizia, avvertita da una soffiata, giunge sul posto innescando un conflitto a fuoco nel quale restano uccisi sia il commissario Salignari che Remy, mentre Maurice, ferito e semisvenuto, viene soccorso provvidenzialmente da uno sconosciuto che lo porta via in auto. Una volta ripresosi, il ladro comincia a fare ipotesi su chi possa averlo tradito, individuando come primo sospettato proprio Silien; inizia così una sorta di “partita” a distanza tra i due malviventi destinata a concludersi in modo sorprendente e beffardo.
Personaggio dotato di una coerenza rara e dai tratti caratteriali tendenti alla misantropia (fondamentale, per farsi un’idea dell’uomo e dell’artista, è il libro di Rui Nogueira intitolato Il Cinema Secondo Melville, composto dalle conversazioni avute col cineasta pochi mesi prima della sua scomparsa), Jean-Pierre Grumbach, ribattezzatosi Melville come il grande scrittore di Moby Dick, per il quale provava una sconfinata ammirazione (lo pseudonimo venne adottato durante la militanza nella Resistenza francese – periodo al quale dedicherà nel 1969 uno dei suoi capolavori, L’Armèe Des Ombres-L’Armata Degli Eroi -), è oggi considerato, dopo un’opportuna riscoperta critica (ricordiamo, a questo proposito, l’ostracismo decennale dei Cahiers Du Cinema, iniziato quando Melville, nel 1968 – dopo esserne stato considerato un precursore guadagnandosi l’ammirazione di esponenti di punta quali Francois Truffaut, Claude Chabrol e Jean Luc Godard -, prese le distanze dall’allora in voga movimento della Nouvelle Vague), uno dei più importanti uomini di cinema europei del secolo scorso.
Amante della settima arte sin dalla più tenera età e infatuato della cultura americana, Melville, in accordo con un temperamento refrattario ai compromessi, ha sempre perseguito un’ideale di indipendenza produttiva, arrivando a creare in Rue Jenner a Parigi, dentro ad alcuni magazzini abbandonati, dei teatri di posa dedicati esclusivamente alla realizzazione delle proprie pellicole; Le Doulos (tradotto in italiano con “spione”, ma il cui significato nel linguaggio segreto di polizia e criminali, come è scritto all’inizio del film, è quello di “confidente”) è un film chiave non solo per l’autore transalpino, che qui inaugura la stagione più significativa della sua purtroppo breve carriera (morirà improvvisamente nel 1973 all’età di cinquantasei anni), ma anche per un certo tipo di filone poliziesco-noir del quale rappresenta un’indiscutibile pietra miliare.

Libero adattamento del romanzo omonimo di Pierre Lesou appartenente alla famosa collana Série Noire dell’editore Gallimard, con Le Doulos Melville comincia a codificare un “linguaggio” che nel tempo diverrà marchio di fabbrica attraverso ulteriori perfezionamenti ed “asciugature”; l’autore parigino parte da un universo ben conosciuto (in gioventù aveva frequentato i bassifondi ed era venuto in contatto con personaggi poco raccomandabili) e anche riconoscibile dal pubblico (in sostanza, l’incontro-scontro archetipico tra il milieu criminale e quello poliziesco) per declinarlo gradatamente in termini antirealistici, sia attraverso precise scelte stilistiche di ripresa e di fotografia sia chiedendo agli attori una recitazione in “underplay” (marginalizzando ad esempio l’“argot”, il tipico gergo della “mala”, per privilegiare un registro più normalmente colloquiale); la stella polare alla quale guarda con deferenza è quella dei grandi noir americani degli anni trenta e quaranta con le loro atmosfere plumbee e piovose e i loro tagli di luce quasi espressionistici; con il futuro regista Volker Shlöndorff (una sorta di “figlioccio”, la cui amicizia lo accompagnerà per tutta la vita) come aiuto e il direttore della fotografia Nicolas Heyer, Melville crea un intreccio complesso, cupo e labirintico (grazie anche all’uso sapiente del flashback) pedinando i suoi protagonisti con movimenti di macchina stupefacenti e studiati al millimetro: l’incipit nel quale grazie ad una carrellata in long- take seguiamo la camminata di Serge Reggiani (“L’Italien”, straordinario attore-cantante originario di Reggio Emilia che offre un saggio della sua bravura nella parte di Maurice Faugel; e non sono da meno Jean-Paul Belmondo nei panni di Silien, Jean Desailly in quelli del commissario Clain e Michel Piccoli, il quale tratteggia in poche sequenze con la consueta classe un losco proprietario di night club, tal Nutteccio) in un sottopasso è già memorabile, ma realmente strabiliante, per le difficoltà tecniche di realizzazione (ricordiamo che il film è del 1962), è l’interrogatorio di Silien negli uffici della polizia (ricalcati da quelli di Le Vie Della Città di Rouben Mamoulian del 1931, i quali a loro volta riproducevano il commissariato di New York) tutto girato in un piano sequenza della durata di ben nove minuti e trentotto secondi!
Melville asseriva che le sue sceneggiature erano in realtà degli western trasposti: non a caso un film come Le Doulos, rinunciando quasi del tutto ai toni più “leggeri” dell’antecedente Bob Il Giocatore per passare ad un registro decisamente più duro, cinico e disincantato, è già pregno di quel senso di ambiguità e di sconfitta immanente appiccicato addosso ai protagonisti come uno stigma (il discrimine semmai è come si affronta la propria sorte, se da infami o a testa alta; e questo indipendentemente dallo status di delinquenti o di uomini di legge, essendo poi spesso il confine piuttosto labile…), al quale fa da contraltare una sorta di lealtà “virile” (da non interpretare però necessariamente come misoginia), portata anche alle estreme conseguenze, che, nonostante tutto, orienta le azioni di alcuni esponenti dei due lati della barricata; abbiamo dunque, al nocciolo delle cose, l’uomo che si trova a fare i conti con la propria doppia natura (Melville chiarisce subito come stanno le cose nella “giungla d’asfalto” apponendo dopo i titoli di testa una frase secca di Celine: “Bisogna scegliere… morire… o mentire?”), in una metafora ben esplicitata dall’uso ricorrente di inquadrature allo specchio. Questi temi sarano poi ripresi e approfonditi in opere altrettanto straordinarie come Le Deuxieme Souffle-Tutte Le Ore Feriscono L’Ultima Uccide, Le Samourai-Frank Costello Faccia D’Angelo o Le Cercle Rouge-I Senza Nome, le quali diverrano punto di riferimento per tanto cinema a venire – citofonare Michael Mann, John Woo, Takeshi Kitano, Quentin Tarantino tra gli altri -.
Concludendo, non possiamo che invitare a riscoprire, partendo magari proprio da Le Doulos, la filmografia di colui che era, secondo la definizione del critico Claudio G. Fava, “Così francese nei sentimenti, così americano nei sogni”, per godere di una radicalità autoriale che ancora stupisce per la modernità dello sguardo e per l’avanguardia delle soluzioni.