L'ODORE DELLA NOTTE
L'ODORE DELLA NOTTE
GENERE: poliziesco, thriller
ANNO: 1998
PAESE: Italia
DURATA: 100 minuti
REGIA: Claudio Caligari
CAST: Valerio Mastandrea, Alessia Fugardi, Giorgio Tirabassi, Eva Vanicek, Pino Ferrara, Marco Giallini, Serena Bonanno
Arancia Meccanica in salsa romana, con rabbia e adrenalina a mille, armi in pugno, dalle borgate all'assalto dei quartieri alti. Un regista sempre in direzione ostinata e contraria e un manipolo di giovani attori dal talento cristallino: torna al cinema L'Odore Della Notte, il noir di culto del compianto Claudio Caligari.
Siamo nel 1979: Remo Guerra è un giovane romano dalla doppia vita; di giorno presta servizio a Torino come poliziotto della squadra mobile, di notte invece compie delle rapine insieme a dei colleghi fidati. Dopo alcuni episodi di insubordinazione lascia le forze dell’ordine e torna nella sua borgata di origine; qui, spinto da una sorta di volontà di riscatto ai danni di quella parte di società ricca e potente che tiene quelli come lui ai margini, mette in piedi una banda: lo scopo iniziale è quello di compiere aggressioni e furti per strada, ma in seguito avviene un salto di qualità con l’irruzione negli appartamenti; per quattro anni diventano il terrore della Roma “bene”, ma per Remo e i suoi sodali non c’è alcuna possibilità di redenzione.
Destino ingrato quello toccato al regista piemontese Claudio Caligari, nato come documentarista negli anni settanta, poi autore di sole due pellicole nell’arco di una trentina d’anni (ma con almeno altri dieci progetti nel cassetto mai realizzati a causa di varie vicissitudini, riconducibili al fatto che il nostro era considerato nell’ambiente un soggetto scomodo e poco “malleabile”) e infine riscoperto postumo dopo essere finalmente riuscito nel 2015, grazie soprattutto al forte sostegno dell’amico Valerio Mastandrea, a mettere in cantiere e ad ultimare, nonostante fosse già malato terminale, il suo terzo lungometraggio, Non Essere Cattivo, vero e proprio testamento spirituale ed artistico.
L’Odore Della Notte, prodotto nel 1998 dalla Sorpasso Film di Marco Risi (il quale, per inciso, nello stesso anno realizzò un film di genere altrettanto geniale ed incompreso, L’Ultimo Capodanno) e che ora possiamo di nuovo apprezzare nei cinema grazie al restauro in 4k compiuto dalla Cineteca Nazionale con la supervisione del direttore della fotografia Maurizio Calvesi, è ispirato, come il debutto Amore Tossico del 1983, a storie di vita vissuta: là, complice la collaborazione alla sceneggiatura da parte del sociologo Guido Blumir, l’obiettivo si focalizzava sul flagello dell’eroina che stava mietendo vittime tra i giovanissimi (tanto che per i ruoli principali Caligari non si affidò ad attori professionisti ma coinvolse alcuni tossicodipendenti che frequentavano il Sert); qui invece – appoggiandosi al libro Le Notti Di Arancia Meccanica del giornalista Dido Sacchettoni, che ne rielaborò la storia in forma romanzata -, si esplora il sottobosco criminale romano al quale apparteneva appunto la cosiddetta “banda dell’Arancia Meccanica”, capitanata dall’ex poliziotto Agostino Panetta, che tra il 1979 e il 1983 compì la bellezza di circa settecento rapine nelle zone benestanti della capitale (tra le vittime anche alcuni volti noti dello spettacolo come l’attore Fabio Testi, il cantante Peppino Di Capri e il produttore cinematografico Franco Cristaldi con la moglie Zeudi Araya).
Caligari in questo caso, pur non abbandonando del tutto lo spiccato neorealismo dell’opera prima, sceglie di integrarlo con un registro stilistico più iperrealista e sperimentale (tramite espedienti quali lo sfondamento della quarta parete, la voce-off, il fermo immagine, la camera che si muove in modo frenetico e obliquo) ed un senso dell’ironia e del grottesco affini, se vogliamo, alla corrente pulp esplosa in quegli anni (ricordiamo la scena cult nella quale Little Tony viene costretto, sotto la minaccia di una pistola, ad intonare Cuore Matto comprese le parti di basso…), incorporando influenze disparate che vanno da Pickpocket di Robert Bresson al polar di Jules Dassin e soprattutto Jean Pierre Melville (sia nella fotografia volutamente livida e fredda sia nella caratterizzazione del protagonista, che nel suo solipsismo ricorda i personaggi interpretati da Alain Delon e Jean Paul Belmondo), senza dimenticare gli omaggi a Taxi Driver dell’amato Martin Scorsese (i rabbiosi soliloqui allo specchio) e addirittura alla pietra miliare The Great Train Robbery di Edwin S. Porter del 1903 (considerato il primo western d’azione del cinema americano e un vero e proprio antesignano degli odierni blockbuster), una celebre sequenza del quale – quella dove il capo dei banditi spara in camera verso gli spettatori – si vede alla tv nel bel mezzo di una rapina, venendo poi ripresa nell’iconico finale.
Il cineasta di Arona fotografa un momento di frattura decisivo nel paese all’indomani dell’omicidio Moro, quando il potere democristiano mostra le prime crepe e si va affermando un paradigma improntato ad un edonismo nichilista la cui onda lunga, complice la caduta del Muro di Berlino, deflagrerà in Tangentopoli e nel berlusconismo (Heather Parisi canta e balla Cicale, preconizzando l’avvento della tv commerciale, mentre le note crepuscolari di Pivio e Aldo De Scalzi si alternano ai ritmi delle hit funk, disco e cantautorali dell’epoca); il borgataro sottoproletario di matrice pasoliniana (l’eco del quale rimane in parte nella figura del “Rozzo”) si è gradualmente trasformato in un tipo umano più torvo e antisociale, deciso a prendersi la sua fetta di torta a qualunque costo (“Un po’ di roba per me” è la frase che Remo ripete continuamente nel momento di attaccare le sue prede): Remo Guerra è, in questo senso, un vero e proprio “nomen omen”, un ragazzotto che racconta a se stesso di condurre una peculiare di lotta di classe a suon di rapine ma che in realtà è profondamente scisso (e il film asseconda questo tipo di lettura, non potendosi definire nemmeno un poliziottesco tout court poichè il delinquente e l’uomo di legge sono racchiusi nella stessa persona, rimandando semmai all’Elio Petri di Indagine Su Un Cittadino Al Di Sopra Di Ogni Sospetto) e in crisi di identità (i travisamenti immortalati in centinaia di fototessere e il vagheggiamento di una plastica facciale – rivolgendosi, in un altro corto circuito “meta”, al chirurgo plastico dei vip Roy De Vita, prestatosi per un cameo – vanno al di là di un mero aspetto pratico di autotutela, rivelando metaforicamente questa condizione); l’ossessiva coazione a ripetere i raid notturni alzando l’asticella del rischio (tutta la pellicola è strutturata come un loop via via sempre più allucinato all’interno del quale i protagonisti sembrano intrappolati senza via di uscita) diviene allora una dipendenza paragonabile a quella da stupefacenti, nella quale si compenetrano il bisogno di sensazioni forti, la brama di denaro ma anche un malcelato anelito di sconfitta (ben evidente nell’epilogo).
La riuscita del film deve molto anche al talento di Caligari nello scegliere le facce giuste, chiaramente esplicitato nell’assemblaggio di un cast di attori quasi agli esordi e destinati a percorsi luminosi, in primis Valerio Mastandrea (che del regista, come già ricordato, resterà amico sino alla fine dei suoi giorni), il quale dona al suo Remo carisma e allo stesso tempo fragilità in una delle prove a tutt’oggi più significative della carriera, senza dimenticare Marco Giallini, Giorgio Tirabassi (gli amici e compari Maurizio e Roberto) e un sorprendente Emanuel Bevilacqua, scritturato per interpretare Marco “Il Rozzo” dopo essere stato notato casualmente mentre si aggirava nei pressi del set.
L’Odore Della Notte, forte di tutte queste suggestioni e di questi sottotesti, si riafferma dunque anche a distanza di venticinque anni come un noir potente ed innovativo, nonché in un certo senso anticipatore del filone “crime” dei vari Romanzo Criminale (Caligari, non a caso, venne preso in considerazione per girare il film tratto dal best seller di Giancarlo De Cataldo, ma poi come al solito la cosa saltò…) e Suburra che tanto successo ha mietuto negli ultimi anni; quel successo che, ahinoi, a Caligari non ha mai arriso in una vita troppo breve e spesa sempre a testa alta in difesa di una visione politica e di cinema senza compromessi.