TENEBRE
GENERE: thriller, horror
ANNO: 1983
PAESE: Italia
DURATA: 99 minuti
REGIA: Dario Argento
CAST: Anthony Franciosa, Christian Borromeo, Mirella D’Angelo, Veronica Lario, Ania Pieroni, Carola Stagnaro, Lara Wendel, John Saxon, Daria Nicolodi, Eva Robin’s, Giuliano Gemma
Tenebre di Dario Argento. Lo scrittore di gialli americano Peter Neal arriva a Roma per promuovere il suo ultimo best seller, intitolato Tenebre; il suo agente Bullmer gli ha fissato alcune interviste con stampa e tv, ma lo scopo del viaggio è anche quello di allontanarsi per un certo periodo dalla fidanzata Jane, donna dalla psiche instabile con la quale ha una relazione turbolenta, e trascorrere così del tempo con la sua assistente (nonché amante) Anne...
Giunto in albergo si accorge che la valigia con i suoi effetti personali è stata scambiata da qualcuno in aeroporto, ma questo è solo l’inizio delle sue disavventure: ben presto infatti un pazzo comincia a compiere degli efferati omicidi prendendo spunto dalle pagine del libro, e poi lo contatta al telefono per dichiarargli la sua ammirazione.
La polizia brancola nel buio, ma Peter, grazie ad un’intuizione, si convince di aver scoperto l’identità del killer misterioso e lo raggiunge nella sua abitazione; le cose, però, si riveleranno ancora più complicate e sorprendenti…
Lasciatosi alle spalle lo straordinario dittico horror-esoterico Suspiria-Inferno, Dario Argento decide di rimettersi in gioco e gira con Tenebre forse l’ultimo capolavoro della sua carriera, nonché uno degli apici del thriller postmoderno (un film che farà scuola ad un paio di generazioni di cineasti, chiedere ad esempio al Pascal Laugier di Martyrs, la cui prima parte è un dichiarato omaggio alle atmosfere di questa pellicola); da qui in poi infatti il suo cinema, nonostante altri momenti degni di nota (su tutti Phenomena, ma si possono considerare anche Opera – film strampalato ma strabiliante dal punto di vista registico -, la trasferta americana di Trauma e la zampata “nostalgica” di Non ho sonno), tende a sfilacciarsi e a perdere progressivamente ispirazione, salvandosi in alcuni casi con schegge residue di quella visionarietà che ne ha fatto uno dei grandi riconosciuti della macchina da presa sin dai primi anni settanta ma naufragando sempre più spesso nella sciatteria quando non purtroppo nel ridicolo involontario.
Dario Argento è sempre stato un regista di “scene madri” (estremizzando, il suo cinema è paragonabile a quello pornografico, con l’omicidio, messo in scena nei modi più fantasiosi ed estremi possibili – come “una delle belle arti”, direbbe il Thomas De Quincey di Suspiria De Profundis, per restare in tema… – che sostituisce l’amplesso), trascurando quasi consciamente la logica “matematica” degli script (peccato mortale, secondo i suoi detrattori, soprattutto quando si tratta di plot basati sulla risoluzione di casi criminali).
Questo ha in realtà rappresentato uno dei lati della sua carica innovativa, riassumibile nel virtuosismo – in particolare per quanto riguarda la moltiplicazione delle soggettive – combinato all’uso della musica come vera e propria coprotagonista e amplificatore sensoriale (tanto che la fama di alcune colonne sonore – quella di Profondo Rosso su tutte – ha superato persino quella dei film stessi), spesso per mezzo di arditi patchwork (classica più heavy metal, ad esempio).
Tenebre risulta forse la sua sceneggiatura più coesa e ben costruita, condensando, dentro una storia avvincente e mai scontata sino all’ultimissima inquadratura, una sorta di summa delle ossessioni e dei modelli del cineasta romano: si va dalle suggestioni psicanalitiche al feticismo, passando per amori letterari quali Arthur Conan Doyle, senza dimenticare inserti prettamente autobiografici (l’idea nasce nella testa di Dario Argento quando a Los Angeles nel 1980 subisce le attenzioni di uno stalker, e costituisce anche una risposta ironica a tutti quei bacchettoni che hanno sempre accusato i film truculenti – in particolare i suoi – di traviare le menti degli spettatori).
Dal punto di vista della messa in scena qui il “manierismo” argentiano raggiunge vette assolute: stavolta le “tenebre” della mente, con un geniale ribaltamento, vengono rappresentate in una luce abbacinante (Dario Argento volle che il grande Luciano Tovoli, di nuovo alle riprese dopo i capolavori cromatici di Suspiria, sovrailluminasse le inquadrature per renderle ancora più stranianti), all’interno di un perimetro di comprensori, ville, piazze (con l’Eur a fare da centro di gravità) che assumono una dimensione a tratti metafisica, dando quasi la sensazione di essere immersi in una pellicola di fantascienza (spesso è stata fatta notare l’influenza di Michelangelo Antonioni sul cinema di Argento, soprattutto per quanto riguarda il modo di filmare le architetture urbane, e in Tenebre ne troviamo piena conferma).
Dario Argento nell’occasione gira alcune sequenze rimaste a buon diritto nella storia, dal torbido flashback dove vediamo una giovane Eva Robin’s che infila il tacco della sua scarpa rossa fiammante nella bocca di un malcapitato a quella del cruento omicidio di Veronica Lario (Jane), col sangue che fuoriesce a fiotti dal suo braccio amputato andando a disegnare sul muro quello che diventa quasi un affresco di arte contemporanea (scena censurata sulle reti Mediaset per motivi facilmente intuibili…).
C’è anche un interessante gioco di specchi col cinema di Brian De Palma: la sequenza dove si vede un personaggio seduto su una panchina in un luogo affollato che osserva ciò che gli accade intorno (girata all’esterno del centro commerciale di Casal Palocco) rimanda a quella analoga, ambientata dentro ad un museo, presente in Vestito Per Uccidere (citazione, a sua volta, di quella celebre di Vertigo), ma l’intuizione di concluderla con un delitto improvviso va ascritta al Giuliano Carnimeo di Perchè Quelle Strane Gocce Di Sangue Sul Corpo Di Jennifer.
Il maestro americano riprenderà poi certi elementi di Tenebre sia in Omicidio A Luci Rosse che soprattutto in Doppia Personalità (la famosa sequenza del personaggio che si piega scoprendo, dietro di lui, la sagoma dell’assassino); la più impressionante rimane però quella dell’omicidio delle due lesbiche, dove grazie ad un dispositivo chiamato Louma la macchina da presa, in piano sequenza e al ritmo del synth martellante di Claudio Simonetti – qui al lavoro con i due ex compagni dei Goblin Massimo Morante e Fabio Pignatelli – usato in chiave diegetica, scavalca letteralmente un palazzo portandoci a seguire contemporaneamente i movimenti dell’assassino e quelli delle due vittime nel loro appartamento – sino al punto da far percepire la minaccia quasi come onnipresente e onnipotente – per proromprere poi – nella frammentazione più totale dei punti di vista – in un
profluvio di rasoiate e deflagrazioni di vetri assolutamente mozzafiato.
In Tenebre vi sono anche alcune curiose scelte di casting: se Anthony Franciosa (Peter Neal), John Steiner (il giornalista Cristiano Berti) e John Saxon (Bullmer) erano frequentatori abituali del thriller e del noir, altrettanto non si può dire di Giuliano Gemma, più avvezzo a contesti western (ma il suo capitano Germani rimane uno dei personaggi più ricordati ed amati dai fans); già detto di Eva Robin’s e Veronica Lario, che nello spazio di poco più di un cameo disegnano comunque due personaggi chiave dell’intrigo.
Un discorso a parte va fatto per Daria Nicolodi, al tempo compagna e musa ispiratrice del regista – a lei, appassionata di occultismo, si devono importanti contributi agli script di Suspiria e Inferno – la quale inizialmente avrebbe voluto la parte della fidanzata del protagonista, ma poi, pur riluttante perchè riteneva fosse un personaggio piuttosto sgradevole, accettò di prendere parte al film impersonandone l’amante.
Possiamo dire che Daria Nicolodi è riuscita comunque a lasciare un segno indelebile soprattutto in un finale iconico (tra i più belli, se non il più bello, di tutta la filmografia di Dario Argento) che l’ha consacrata come la “scream queen” per antonomasia del cinema della paura italiano; ed è così che voglio ricordarla ed omaggiarla il giorno dopo la sua scomparsa.