È stato definito “The Italian baron of bold, sensual and extreme horror”, è probabilmente il regista indie italiano più prolifico e geniale. Ma non è solo questo… nella sua arte c’è molto di più: regista, sceneggiatore, autore, attore, scenografo, curatore di effetti speciali, performer di body art.
Lui è Domiziano Cristopharo ed è qui, in esclusiva su I Cinenauti, in un’intervista a tutto tondo per parlarci della sua “visione” e dei suoi progetti futuri. Lo ringraziamo per la sua disponibilità e gentilezza ma soprattutto per il suo essere “vero” e concreto, poter scambiare due chiacchiere con lui è stata un’esperienza illuminante oltre che un onore.

Come nasce la tua passione per il cinema? Sono curioso di sapere se vi è stato un particolare momento della tua vita nel quale si è accesa una scintilla e hai pensato “voglio fare il regista”
Ho sempre avuto passione per teatro, cinema, musica e lettura. Fin da bambino leggevo molto e vedevo molta TV, ma la TV di allora passava cose molto fighe, oggi impensabili specie in quegli orari: in pieno pomeriggio films come “Occhi senza volto” o “La rabbia dei morti viventi”, fino alle opere di teatro. I weekend e le estati le passavo in famiglia, in una villa isolata nella campagna Romana… e li non avevo molta compagnia.
L’arte nelle sue varie forme è sempre stata la mia migliore amica.
Mio padre aveva una cinepresa Super-8 (che ho tutt’ora) e ogni tanto giravo – per gioco – delle cose… la mia passione era scrivere e fare effetti speciali. Non avevo alcuna ambizione di fare il regista, e quando dal gioco son passato a lavorare nel cinema, mi sono approcciato proprio come truccatore/effettista (ho lavorato ad esempio per Krisztoff Zanussi, Romano Scavolini, Alessandro Capone) e sceneggiatore.
È grazie allo script di HOUSE OF FLESH MANNEQUINS che ho iniziato a dirigere: il produttore (nonché protagonista) Domiziano Arcangeli (curiosa omonimia) decise che dovevo essere io a dirigere il film, in quanto avendolo scritto ero l’unico a poter avere la giusta visione per trasformarlo in immagini… chissà se aveva ragione. Lo script fu rigettato e criticato da chiunque in Italia (amici del settore compresi, che fecero di tutto per farmi abbandonare l’idea di fare cinema) al punto che stavo per perdere le speranze… fu proprio l’appoggio di Giovanni Lombardo Radice (attore cult ed intellettuale che ho sempre stimato) – che definì lo script uno dei migliori che gli erano mai stati proposti – a farmi tentare la carta USA.
Se in Italia sprecai 5 anni invano, in soli 6 mesi dall’invio dello script, la lavorazione di “House of Flesh Mannequins” divenne realtà. E capii che il modo migliore per realizzare i propri sogni è crederci.

Dalle tue opere traspare chiaramente che sei un cineasta raffinato: i soggetti, le citazioni mai banali, la ricerca di soluzioni visive mai scontate, una ricerca estetica anche nelle inquadrature più estreme… chi sono i modelli a cui ti ispiri?
Ho studiato arte, decoro ecclesiastico e sono stato un attore di teatro, danza e performer di body art. È parte del mio percorso artistico e della mia formazione quindi un bagaglio visivamente e culturalmente ricco di spunti. Non mi rifaccio tanto a registi, quanto più a movimenti artistici (non a caso cito spesso Delvaux, Picasso, Max Ernst, Magritte) ma non nego l’influenza che le opere di Fellini, Jodorowski e Bunuel possano aver avuto su di me.

Il corpo e la componente erotica/sessuale sono spesso centrali nelle tue opere. Ce ne vuoi parlare?
Il corpo e la componente erotica/sessuale sono credo centrali nella vita di ognuno, nel quotidiano… o sbaglio? Chi non fa sesso, chi non si masturba, chi non vede porno almeno qualche volta a settimana? Quindi perché in un film è sempre lecito toccare argomenti lontani dal quotidiano di ognuno come morte, stupro, rapimenti, sevizie… ma non lo è raccontare il quotidiano nella sua verità? Un personaggio può sgozzare gente e perfino evocare il demonio come nulla fosse, ma guai a farlo pisciare, masturbare o scopare.
Da che ho memoria io, questi temi son sempre stati alla base dell’arte… e anche del cinema (Genet? Fassbinder? D’amato? Meyer? Pasolini?) non vedo perché oggi facciano tanto scalpore.
Ripeto, ho una formazione di belle arti, son stato danzatore e performer di Body Art, non faccio che usare linguaggi a me conosciuti, naturali, funzionali, consoni e ovvii.
Per citare di nuovo Picasso: “L’arte non è mai casta, e quando è casta vuol dire che non è arte.”
Apprezzo il tuo cinema estremo perché è veicolo di tematiche spesso forti e non si limita a stimolare uno sterile voyeurismo. Come mai la scelta di sfruttare questo tipo di comunicazione?
Siamo tutti un po’ voyeur. Lo spettatore è messo in uno stato di voyeurismo forzato… i generi erotico ed horror poi, basano tutto sulla stimolazione di queste curiosità morbose, inutile fingere il contrario. Si può decidere di fare puro intrattenimento (e non c’è nulla di male) o dare alla propria opera anche diversi livelli di lettura. Io preferisco la seconda opzione. Spesso sento/leggo pubblico e critica molto divisi: c’è chi dice che i miei film sono vuoti, chi dice che sono pieni di significati.
A me stanno bene onestamente entrambe le interpretazioni. Sicuramente nei miei film c’è un primo impatto di violenza, effetti speciali e messa in scena accattivante… c’è a chi basta e chi si ferma qui; se si vuole invece andare oltre, sicuramente il linguaggio cinematografico che uso fornisce molte chiavi (visive) per leggere gli eventi appena visti, sotto altre luci.
Di recente l’università di Amsterdam ha organizzato dei dibattiti sui temi di STAGING GENDER AND VIOLENCE e mi ha invitato a discutere con gli studenti in due occasioni, proiettando i miei film. E fino ad oggi ho collezionato comunque oltre 15 tesi di laurea (internazionali e non) che sviscerano il mio lavoro nel cinema indie: questo mi ha riempito di soddisfazione, è evidente che sotto la superficie qualcosa di “oltre” c’è. Io credo che finché certi temi e personaggi sono visti come un taboo in alcune nazioni (sessualità, gay o nudo maschile) è mio dovere di presentarli: in un appiattimento generale e culturale fato di omologazione e perbenismo, ci vuole qualcuno che faccia pesare il piatto della bilancia dall’altra parte. Ogni visione unica diventa pericolosa e stiamo vedendo tristemente le ripercussioni socio politiche di queste scelte.

Dopo aver visto opere come eROTik e Doll Syndrome, dove i protagonisti interpretano ruoli estremamente difficili e vivono situazioni “imbarazzanti”, mi sono chiesto quali fossero i tuoi criteri nella selezione della “persona giusta” per quella parte ma soprattutto il tuo segreto (se si può svelare) nella loro direzione…
Vedi, il concetto di imbarazzante è puramente soggettivo e culturale.
In Cina gli uomini portano i vestiti lunghi, le donne i pantaloni. In India una donna piuttosto si scopre le parti basse per coprire il viso con la gonna. I maschi scozzesi portano il kilt (una gonnellina) senza mutande sotto. I punk o i guerrieri della nuova Zelanda mostrano il sedere (o meglio l’ano) come gesto di sfida ai “nemici” (recentemente è accaduto anche durante alcune partite). Alle Canarie (dove vivo) non è insolito vedere surfisti cambiarsi lungo le strade della città, o vedere documentari nei musei (destinati ai bambini anche) sui Guanchi (i primitivi abitanti dell’isola) rappresentati da attori in nudo integrale.
Spostiamo queste azioni/situazioni in USA o ITALIA e immaginiamo le reazioni dei vari Pillon, Salvini, Meloni e italiani medi a seguire.
Quindi, cosa farebbero di “imbarazzante” i miei attori? Recitare? No, se fossero in imbarazzo non starebbero recitando. Basta vedere poi i backstage allegati nei DVD o Blu-ray dei miei film per vedere che sui set ci divertiamo e ridiamo, pur mettendo in scena situazioni morbose e drammatiche. Il bello del cinema è proprio questo.
La scelta della persona giusta avviene dopo lunghe chiacchierate. Non forzo, ne insisto con nessuno anzi, se fiuto un piccolo segno di titubanza son io a convincere a lasciare perdere. Questo perché purtroppo a parole son tutti sempre pronti a tutto ma nei fatti poi spesso creano problemi fermando la lavorazione. È successo in passato (sia uomini che donne) ed in parte è stata colpa mia che non ho ascoltato i campanelli di allarme che avevo avuto.
Sei tra i registi indipendenti più prolifici in attività, esiste una tra le tue opere che non rifaresti e perché?
Sicuramente BLOODY SIN, il film che la produzione e post-produzione ha snaturato maggiormente. È fra i titoli che non nomino mai.
Non so nemmeno dire se sia un brutto film o meno, sicuramente non è ciò che volevo.
Altri film come SHOCK o TWO LEFT ARMS risentono un po’ dei vari problemi produttivi. Stranamente son film molto amati dal pubblico (e critica), ma forse io sapevo come sarebbero potuti venire e ho un po’ di amaro in bocca!
Se avessi la possibilità di andare a ritroso nel tempo per dirigere un film, su quale pellicola nella storia del cinema ti piacerebbe mettere la tua firma?
Non saprei, ci sono film che amo ma perché non li ho fatti io: METROPOLIS di Lang, CABARET di Bob Fosse, GIULIETTA DEGLI SPIRITI di Fellini, QUELLA VILLA ACCANTO AL CIMITERO di Fulci… vanno bene così. Piuttosto a volte penso che se qualche mio film fosse uscito in quegli anni magari oggi sarebbe un piccolo cult… chissà!
La situazione del panorama cinematografico attuale, secondo me, non è rosea. Noto mancanza di idee, scarsità di contenuti; siamo invasi dalle produzioni delle grandi piattaforme streaming che, al posto di stimolare la creatività, sembra stiano portando ad un’appiattimento totale. Cosa ne pensi di questa situazione?
Il problema esiste da tempo, ed è un problema produttivo più che distributivo, ma da 20 anni e più… lo streaming non c’entra nulla. Son i produttori che non sono più tali… i film son affidati a banche, commercialisti e sponsor, son il risultato di compromessi economici e nulla han a che vedere col voler creare un film che sia un film. Son prodotti.
Molti ce l’han con Netflix, io no. Netflix ha prodotto e distribuito robe interessantissime, anche coraggiose (dai film di Oz Perkins a film come Babysitter) quindi non vedo affatto in esso un nemico. Al cinema stesso in passato si proiettava dal Teorema di Pasolini al Sergio Martino di Cornetti alla crema quindi inutile fare troppo gli intellettuali dalla memoria corta. Il problema è che oggi l’offerta semmai è sbilanciata in qualità.
Noto che, come molti tuoi colleghi dediti ad una certa produzione cinematografica estrema, prediligi lavorare fuori dall’Italia. Acclamato all’estero ma non altrettanto sul territorio nazionale. A cosa imputi questa cosa? Siamo limitati dalla nostra mentalità bigotta o è semplicemente una questione di “gusti”?
Ho sempre lavorato con l’estero. Il mio primo film è una produzione USA (a cui sono seguite coproduzioni con Francia, UK e perfino Albania e Kosovo). Ho sempre e solo distribuito all’estero. Non devo molto al belpaese onestamente. Sicuramente la mentalità bigotta non aiuta (qui son quello che anche se da indie è arrivato ai DAVID DI DONATELLO con un film come RED KROKODIL, è sempre “il regista che mette gli uomini nudi nei film”). Non mi manca l’Italia.
Dai canali social vedo che in questo periodo sei impegnato in svariati progetti. Ce ne puoi parlare?
In realtà ho portato a termine alcuni progetti che si erano fermati causa Covid. Finalmente son pronti WHAT HAVE YOU DONE, DANIEL (il prequel del quarto AMERICAN GUINEA PIG SACRIFICE, da me prodotto e diretto da Poison Rouge) sempre con Roberto Scorza e Lynn Lowry (protagonista di film come La città verrà distrutta all’alba e Il demone sotto la pelle) de il terzo TETROMANIAC (la serie di Tetrovideo dedicata ai serial killer e maniaci) CONFESSIONI DI UNA NECROFILA, ispirato alla storia di Karen Grenlee.
Poi, alle Canarie ho iniziato una trilogia di film NON HORROR, ispirati al tema dell’isolamento, del viaggio e – appunto – dell’isola; fanno parte di questo cambio di stile ELDORADO, un road movie che segue le gesta di un alchimista e LA PERDICION un disturbing drama ispirato ai delitti di Robert Hansen, ma in chiave LGBTQ.
Il prossimo film sarà di genere fantastico/avventuroso ed è ispirato ad un racconto di Lovecraft poco conosciuto.
Per realizzare questi film ho abbandonato le luci ricercate dei movimenti di macchina sofisticati dei precedenti films, per seguire più le regole del DOGMA 95 di Trier.
Immagini in esclusiva di “Eldorado”
Immagini in esclusiva di “La Perdicion”
Domanda di rito quando intervisto chi si nutre di horror, cos’è la paura per te?
Non mi nutro di horror, amo il cinema in generale e onestamente amo molto il cinema del passato. I miei registi “horror favoriti” sono Bava, Fulci, Carpenter e quindi nemmeno una scelta vastissima.
Di recente ho apprezzato solo i film di Eggers e di Lowery, che non so nemmeno se si possono definire horror. Cinematograficamente, facendo questo tipo di film, chiaramente non mi spavento più, perché li vedo/studio sotto un altra ottica.
Sicuramente ciò che mi fa paura (e che è alla base di quasi tutti i miei film, tutti ispirati a storie e personaggi reali) è la cattiveria a cui riesce ad arrivare l’essere umano.